Quando il corpo molla il colpo, si finisce con la testa: quante volte mi sono ripetuta questo mantra! Sei bollita? Stringi i denti e continua a correre. Non hai più energie? Occhi fissi sul traguardo, piuttosto ci arrivi sui gomiti ma ci arrivi. Ti fa male questa o quella parte del corpo? Sopporta e non mollare.
Per anni ha funzionato: le gare le ho sempre (più o meno dignitosamente) finite e nessun problema fisico mi ha mai costretto a fermarmi. Alla testa si è associata una buona dose di fortuna, me ne rendo conto. Sapevo perfettamente che gli infortuni capitano a tutti, a prescindere da quanta forza di volontà ci si metta, ma ero in qualche modo convinta di rappresentare un’eccezione. E invece.
Per la terza volta in un anno sono ferma e ho cominciato a pensare in generale al fenomeno infortunio: visto dall’interno sembra un dramma inenarrabile, mentre osservandolo con distacco e autoironia non si può non trovarci una buona occasione per mettersi in discussione, e magari migliorarsi un po’.
Che cosa mi turba così tanto quando non posso correre? Dopo averci un po’ riflettuto, ho raggiunto la conclusione che il problema sia semplicemente una difficoltà di adattamento, l’incapacità di cambiare delle banalissime abitudini. Un problema che tutto sommato vale la pena affrontare, per vivere meglio lo sport e anche tutto il resto.
Più o meno un anno fa, in Grecia, avevo deciso di fare un giro sui sentieri del monte Olimpo, e non è che potessi cambiare un così bel programma solo perché la notte prima aveva fatto mezzo metro di neve, no? Certo, i sentieri erano impraticabili, ma mi ero fissata che avrei corso lo stesso una ventina di chilometri e la trovata geniale fu quella di usare la strada asfaltata. Spalata, sì, ma coperta da lastroni di ghiaccio.
Com’era naturale che accadesse, caddi all’indietro pestando il sedere e non valutai di fare un salto al pronto soccorso se non due settimane dopo, ormai incapace di muovere un altro passo. In effetti c’era una fratturina del coccige, con cui avevo continuato a correre e gareggiare. Recuperai in un paio di mesi, senza nemmeno dover rinunciare a sport alternativi come nuoto, bici, e infine anche corsa su strada.
Perché allora continuavo a lamentarmi dello stop, se nemmeno di stop si poteva parlare? Ve lo confesso con un po’ di vergogna. Il mio problema era vedere le statistiche di Strava, con chilometraggio settimanale ridotto e dislivello pari a zero.
Superata la breve parentesi del coccige, tornai alle vecchie abitudini come se nulla fosse – salvo prestare più attenzione al ghiaccio – godendomi l’estate su e giù per le mie montagne, come ben sa chi segue questo blog.
Stabilii un nuovo obiettivo: la Black Canyon Ultra, una 100 km nel deserto dell’Arizona, a febbraio 2023. Il dislivello di questa gara è minimo, per cui da settembre diedi inizio a una preparazione da stradista. Recuperai un minimo sindacale di velocità e cominciai a prendere gusto alle corse in pianura a passo costante. Arrivai a correre tranquillamente 40 km su strada e già gongolavo al pensiero di un tempaccio sui 100 km. Per spingermi a fare meglio mi iscrissi alla maratona di Catania con l’obiettivo di chiuderla sotto le tre ore e mezza.
Ma, giusto la settimana prima della maratona, saltò fuori quello che ben presto imparai a conoscere come neuroma di Morton: un nervo del piede ingrossato mi rendeva la corsa insopportabilmente dolorosa. La maratona provai a farla lo stesso, imbottita di Oki, ma fui costretta a ritirarmi dopo 21 km di sofferenza.
Non sono abituata ai ritiri e la delusione fu cocente. L’obiettivo, però, rimaneva la gara in America: arrendersi non era un’opzione. Curai il piede e dopo un paio di settimane dalla mancata maratona riuscii a riprendere la corsa. In attesa dei plantari, pensai bene di auto-correggere la pronazione con la sola forza del pensiero, imponendomi di appoggiare il piede incriminato sull’alluce e non sul nervo dolorante al quarto metatarso. Non serve una grande fantasia per immaginare ciò che può succedere forzando un cambio così radicale – terzo infortunio, questa volta più serio e di difficile risoluzione: un dolore acuto all’inserzione del tendine del gluteo.
Mancava poco meno di un mese alla gara e speravo ancora di risolvere il problema con qualche giorno di riposo. Ma la settimana dopo il patatrac, a Barcellona, mi resi conto di non essere in grado di correre un solo chilometro, figuriamoci i cento della Black Canyon.
Barcellona è una città che frequento spesso per lavoro e quella fu la prima volta in assoluto che vi passai qualche giorno senza una corsa al Tibidabo e nel Parc de Collserola. Ci credete se dico che il mio primo pensiero, quando fui costretta a fermarmi e tornare in hotel dopo qualche centinaio di metri, andò sempre a Strava e al fatto che per la prima volta non avrei registrato un’attività a Barcellona?
Adattarsi ai cambiamenti, ecco la chiave della serenità. E allora, Marta, fai un bel respiro e ricordati, nell’ordine, che:
chissenefrega di Strava!
a Barcellona vai almeno due volte all’anno e non cade il mondo se per una volta non ci corri;
sei fortunata ad avere entrambe le gambe, sia pure con mezzo gluteo fuori uso, e poter fare altre cose in attesa di tornare a correre.
Mi ero resa conto fin dall’inizio che, anche se camminavo a stento, riuscivo a pedalare senza dolore. E già avevo trovato il modo di distrarmi nei weekend. Per stancarmi un po’ la sera in settimana, poi, ho fatto qualcosa che non avevo mai considerato prima: mi sono iscritta in palestra. Sì, non è il massimo, ma tutto sommato non è neanche così male. Posso pedalare sulla cyclette e poi dedicarmi a rafforzare i muscoli delle gambe, per prepararmi a tornare in montagna quando sarà possibile.
E la Black Canyon Ultra? Ovviamente è saltata. Sto scrivendo proprio dall’Arizona, dove mi godo panorami mozzafiato, con un po’ di amarezza – come è normale, penso – per essermi persa questa fantastica gara tra i cactus, ma anche infinitamente grata di potere pedalare. C’è sempre un piano B, e il mio è stato noleggiare una mountain bike e godermi lo stesso gli spazi sconfinati del deserto.
Nel frattempo ho recuperato la capacità di camminare, e anche di questo ringrazio tutti i santi e ancora di più la mia fantastica osteopata. Devo imparare a portare pazienza con me stessa, ma piano piano posso ancora arrivare dappertutto. Per correre ci sarà tempo.
E alla fine arriva l’infortunio
19 Febbraio 2023 by marta • Altro 0 Comments
Quando il corpo molla il colpo, si finisce con la testa: quante volte mi sono ripetuta questo mantra! Sei bollita? Stringi i denti e continua a correre. Non hai più energie? Occhi fissi sul traguardo, piuttosto ci arrivi sui gomiti ma ci arrivi. Ti fa male questa o quella parte del corpo? Sopporta e non mollare.
Per anni ha funzionato: le gare le ho sempre (più o meno dignitosamente) finite e nessun problema fisico mi ha mai costretto a fermarmi. Alla testa si è associata una buona dose di fortuna, me ne rendo conto. Sapevo perfettamente che gli infortuni capitano a tutti, a prescindere da quanta forza di volontà ci si metta, ma ero in qualche modo convinta di rappresentare un’eccezione. E invece.
Per la terza volta in un anno sono ferma e ho cominciato a pensare in generale al fenomeno infortunio: visto dall’interno sembra un dramma inenarrabile, mentre osservandolo con distacco e autoironia non si può non trovarci una buona occasione per mettersi in discussione, e magari migliorarsi un po’.
Che cosa mi turba così tanto quando non posso correre? Dopo averci un po’ riflettuto, ho raggiunto la conclusione che il problema sia semplicemente una difficoltà di adattamento, l’incapacità di cambiare delle banalissime abitudini. Un problema che tutto sommato vale la pena affrontare, per vivere meglio lo sport e anche tutto il resto.
Più o meno un anno fa, in Grecia, avevo deciso di fare un giro sui sentieri del monte Olimpo, e non è che potessi cambiare un così bel programma solo perché la notte prima aveva fatto mezzo metro di neve, no? Certo, i sentieri erano impraticabili, ma mi ero fissata che avrei corso lo stesso una ventina di chilometri e la trovata geniale fu quella di usare la strada asfaltata. Spalata, sì, ma coperta da lastroni di ghiaccio.
Com’era naturale che accadesse, caddi all’indietro pestando il sedere e non valutai di fare un salto al pronto soccorso se non due settimane dopo, ormai incapace di muovere un altro passo. In effetti c’era una fratturina del coccige, con cui avevo continuato a correre e gareggiare. Recuperai in un paio di mesi, senza nemmeno dover rinunciare a sport alternativi come nuoto, bici, e infine anche corsa su strada.
Perché allora continuavo a lamentarmi dello stop, se nemmeno di stop si poteva parlare? Ve lo confesso con un po’ di vergogna. Il mio problema era vedere le statistiche di Strava, con chilometraggio settimanale ridotto e dislivello pari a zero.
Superata la breve parentesi del coccige, tornai alle vecchie abitudini come se nulla fosse – salvo prestare più attenzione al ghiaccio – godendomi l’estate su e giù per le mie montagne, come ben sa chi segue questo blog.
Stabilii un nuovo obiettivo: la Black Canyon Ultra, una 100 km nel deserto dell’Arizona, a febbraio 2023. Il dislivello di questa gara è minimo, per cui da settembre diedi inizio a una preparazione da stradista. Recuperai un minimo sindacale di velocità e cominciai a prendere gusto alle corse in pianura a passo costante. Arrivai a correre tranquillamente 40 km su strada e già gongolavo al pensiero di un tempaccio sui 100 km. Per spingermi a fare meglio mi iscrissi alla maratona di Catania con l’obiettivo di chiuderla sotto le tre ore e mezza.
Ma, giusto la settimana prima della maratona, saltò fuori quello che ben presto imparai a conoscere come neuroma di Morton: un nervo del piede ingrossato mi rendeva la corsa insopportabilmente dolorosa. La maratona provai a farla lo stesso, imbottita di Oki, ma fui costretta a ritirarmi dopo 21 km di sofferenza.
Non sono abituata ai ritiri e la delusione fu cocente. L’obiettivo, però, rimaneva la gara in America: arrendersi non era un’opzione. Curai il piede e dopo un paio di settimane dalla mancata maratona riuscii a riprendere la corsa. In attesa dei plantari, pensai bene di auto-correggere la pronazione con la sola forza del pensiero, imponendomi di appoggiare il piede incriminato sull’alluce e non sul nervo dolorante al quarto metatarso. Non serve una grande fantasia per immaginare ciò che può succedere forzando un cambio così radicale – terzo infortunio, questa volta più serio e di difficile risoluzione: un dolore acuto all’inserzione del tendine del gluteo.
Mancava poco meno di un mese alla gara e speravo ancora di risolvere il problema con qualche giorno di riposo. Ma la settimana dopo il patatrac, a Barcellona, mi resi conto di non essere in grado di correre un solo chilometro, figuriamoci i cento della Black Canyon.
Barcellona è una città che frequento spesso per lavoro e quella fu la prima volta in assoluto che vi passai qualche giorno senza una corsa al Tibidabo e nel Parc de Collserola. Ci credete se dico che il mio primo pensiero, quando fui costretta a fermarmi e tornare in hotel dopo qualche centinaio di metri, andò sempre a Strava e al fatto che per la prima volta non avrei registrato un’attività a Barcellona?
Adattarsi ai cambiamenti, ecco la chiave della serenità. E allora, Marta, fai un bel respiro e ricordati, nell’ordine, che:
Mi ero resa conto fin dall’inizio che, anche se camminavo a stento, riuscivo a pedalare senza dolore. E già avevo trovato il modo di distrarmi nei weekend. Per stancarmi un po’ la sera in settimana, poi, ho fatto qualcosa che non avevo mai considerato prima: mi sono iscritta in palestra. Sì, non è il massimo, ma tutto sommato non è neanche così male. Posso pedalare sulla cyclette e poi dedicarmi a rafforzare i muscoli delle gambe, per prepararmi a tornare in montagna quando sarà possibile.
E la Black Canyon Ultra? Ovviamente è saltata. Sto scrivendo proprio dall’Arizona, dove mi godo panorami mozzafiato, con un po’ di amarezza – come è normale, penso – per essermi persa questa fantastica gara tra i cactus, ma anche infinitamente grata di potere pedalare. C’è sempre un piano B, e il mio è stato noleggiare una mountain bike e godermi lo stesso gli spazi sconfinati del deserto.
Nel frattempo ho recuperato la capacità di camminare, e anche di questo ringrazio tutti i santi e ancora di più la mia fantastica osteopata. Devo imparare a portare pazienza con me stessa, ma piano piano posso ancora arrivare dappertutto. Per correre ci sarà tempo.