“Mi raccomando, non perdetevi” (cit. signora Luisella, h 7:00).
Detto, fatto: h 9:00, perse. Ecco il racconto di un’ordinaria giornata sul sentiero Roma con Lucia.
Attenzione: percorso adatto solo a escursionisti/runner più che esperti, e occhio al meteo!
L’idea era quella di risalire la val di Mello, andare a intercettare il sentiero Roma nell’austera val Cameraccio, seguire il percorso del Kima (per chi fosse interessato, ecco il link dell’epico giro provato nel 2020) giù per il passo Cameraccio, superare il passo Torrone, raggiungere il rifugio Allievi e da lì scendere per la val di Zocca fino a San Martino. Per aumentare il chilometraggio ed evitare il caos di San Martino Beach, dove orde di bagnanti rendono ormai invivibile la bella val di Mello, abbiamo deciso di partire da Filorera, dove i parcheggi sono gratuiti e le pozze meno affollate.
A Filorera lasciamo l’auto lungo il torrente e prendiamo la pista ciclo-pedonale che in 2 km ci porta a San Martino. Percorriamo così a ritroso gli ultimi 2 km del Kima, nota skyrace a cui Lucia è iscritta per l’ennesima volta e che si svolgerà tra poco, nell’ultimo weekend di agosto. Il sentiero Roma in queste settimane è affollatissimo di atleti che si preparano appunto a questa gara, forse la più selettiva nel panorama dello skyrunning italiano.
Da San Martino prendiamo il sentiero che risale la val di Mello a destra del torrente: dall’altra parte c’è la strada, molto più affollata. Sono le 7 e mezza del mattino e la valle è ancora quieta, complice probabilmente il cielo nuvoloso. Meteo non ideale per il sentiero Roma, ma di sicuro perfetto per la val di Mello!
Sono circa 5 km di sentiero morbido e corribile, prima del vertical che ci aspetta da Rasica al sentiero Roma. Il bosco qua e là si apre lasciando intravedere le famose pozze del torrente Mello, dove si riflettono le imponenti pareti di granito che racchiudono la valle.
Attraversiamo infine il torrente e seguiamo le indicazioni per Rasica, senza prendere il sentiero che sale verso la val di Zocca e il rifugio Allievi. Tra le valli laterali della val di Mello, da cui si può accedere al sentiero Roma, la val di Zocca è l’unica un po’ battuta, con un sentiero degno di questo nome. Tutte le altre, inclusa la val Cameraccio dove ci accingiamo a salire, sono ripide e selvagge, frequentate quasi esclusivamente dagli animali. Il telefono non prende quasi mai e i “sentieri” non sono altro che sequenze di bolli tra l’erba alta, spesso poco visibili. Insomma, un ambiente impervio e ostile, ma proprio per questo estremamente affascinante.
Raggiungiamo Rasica e siamo ormai alla fine della val di Mello. Abbiamo fatto solo 500 m di dislivello in 7 km e non vediamo l’ora che il sentiero si impenni un po’, in modo da avere una buona scusa per smettere di correre. Il bivacco Kima da qui è indicato a 7 ore di cammino, forse un po’ eccessivo anche per i tempi CAI… ci ho messo 7 ore a fare tutto il giro, comprese le ricerche di Lucia!
Ci inoltriamo nel bosco dove incontriamo due signori in cerca della val Torrone: con una certa convinzione li rimando indietro, per poi ricordarmi – troppo tardi – che per la selvaggia val Torrone si segue per un tratto lo stesso nostro sentiero e si prende poi un sentierino secondario verso sinistra. Spero che non mi abbiano odiato troppo!
Fino alla casera di Pioda il sentiero è in ottime condizioni. Oltre la casera, ringraziamo solo che prima di noi siano passate delle mucche, altrimenti non vedremmo neanche la traccia nell’erba alta. La salita è ripida e faticosa, tra zolle di terra che si staccano, rigagnoli da attraversare, erbacce e arbusti che ci graffiano le gambe. Lucia è parecchio avanti, mi fermo un paio di volte per foto e spuntino e tanto basta per perderla completamente di vista.
Man mano che guadagno quota la valle si apre e, nonostante la nebbia, mi perdo nella contemplazione di questo ambiente unico, delle aspre pareti di granito che svettano tutto intorno, della solitudine e del silenzio interrotto solo dai fischi delle marmotte. Arrivo a un bivio: a destra si va per la Ponti (indicata da una scritta sulla pietra), a sinistra per il passo Cameraccio (non indicato, ma è qui che dobbiamo dirigerci). Ora, da che parte sarà andata Lucia? Provo a chiamarla, aspetto un po’, riprovo, ma niente.
Bon, la direzione giusta è a sinistra, ci sono i bolli e per di più l’erba è calpestata. Decido di andare a sinistra. (Se rifate il giro, naturalmente vi conviene prendere il sentiero per la Ponti che vi fa tagliare un po’ di strada rispetto alla mia variante).
Non è stata Lucia a calpestare l’erba lungo il mio percorso e me ne rendo conto quando mi trovo muso a muso con una mucca, sbucata come un fantasma dalla nebbia che ormai pervade completamente la valle. Il nebbione non è anomalo da queste parti, è anzi una costante e rappresenta il primo fattore di rischio sul sentiero Roma.
I bolli e gli ometti qua e là si perdono, o quantomeno io li perdo di vista, ma riesco sempre a individuarne uno in lontananza per capire almeno indicativamente in che direzione muovermi. Un po’ per volta i pascoli cedono il posto alla pietraia: ormai non deve mancare molto al sentiero Roma, intorno ai 2500 m di quota.
Intercetto l’alta via e mi trovo davanti le indicazioni per il bivacco Kima, verso destra. Per il passo Cameraccio bisognerebbe prendere il sentiero Roma verso sinistra, ma so per certo che Lucia non ci sarebbe andata senza aspettarmi. La mia speranza è di trovarla al bivacco Kima e, a quel punto, mi viene l’idea di proseguire poi insieme verso la bocchetta Roma e il rifugio Ponti.
Al bivacco incontro diverse persone che stanno provando il giro del Kima, ma nessuna traccia di Lucia. Che fare? Rimanere qui è inutile, perché è evidente che ormai ci siamo mancate: al bivio deve avere preso l’altro sentiero, che non ho idea di dove porti (porta direttamente al bivacco Kima, come mi spiegherà poi Lucia). Se è scesa a cercarmi, con il ritmo che tiene in discesa difficilmente potrei raggiungerla. Senza contare che piuttosto che tornare da dove sono salita preferirei fare tutto il sentiero Roma fino alla Omio!
Lascio detto a tutti quelli che incontro di riferire a Lucia, nel caso la vedano, che sto bene e che ci rivedremo alla macchina. Non sono troppo preoccupata, Lucia in montagna si muove meglio degli stambecchi! Spero per lei che possa ancora unirsi a qualcuno per provare il passo Cameraccio, uno dei punti più tosti della gara. Da parte mia, so che il modo più veloce per tornare a Filorera è superare la bocchetta Roma, che ogni tanto si intravede tra le nuvole, e scendere al rifugio Ponti. Si tratta del rifugio più vicino e, avendo perso la socia, preferisco tornare il prima possibile nella civiltà e recuperare l’uso del telefono.
Nel 2020 aveva nevicato parecchio e, quando nel mese di luglio provai il giro del Kima, la neve arrivava praticamente all’altezza delle catene più basse: ricordo che appena scesa dalla bocchetta calzai i ramponcini e mi incamminai – con attenzione, ma senza grandi problemi – seguendo le tracce di chi ci aveva preceduto sul nevaio. Oggi scopro che la parte più brutta della bocchetta Roma è quella che allora era coperta dalla neve: un pendio ripido e scosceso con sassi di ogni dimensione che si muovono a ogni passo. Con delicatezza, cercando di non provocare frane, raggiungo le prime catene e da qui è tutto facile: questo tratto è molto più simpatico percorso in salita!
Scollino e mi trovo nell’enorme pietraia dell’alta valle di Predarossa. La bocchetta si trova a poco meno di 2900 m e l’ambiente, anche qui, è severo. Bisogna fare attenzione a non perdere di vista i bolli, che rimangono sempre alti poco sotto le creste. Il telefono risorge (tipo per mezzo minuto) e mi arrivano dei messaggi, tra cui una chiamata persa di Lucia. Provo a richiamarla ma ora è lei ad avere il telefono spento. Niente, scendo alla Ponti e chiedo consiglio a Eleonora, l’esperta rifugista. Secondo lei la cosa più probabile è che Lucia sia scesa a cercarmi e sia rimasta in mezzo alla val di Mello, dove non c’è campo. Rassicurata, continuo la discesa, ora su facile sentiero, e mi trovo nella bucolica valle di Predarossa.
Seguo il corso del torrente e raggiungo il parcheggio, da dove mi limito a seguire la lunga, noiosa ma rassicurante strada asfaltata in discesa. Nella parte alta ci sono dei tagli su sentiero, che evito perché ho le gambe distrutte e preferisco una corsa tranquilla senza colpi, mentre nella parte più bassa il sentiero è fuori uso da anni e bisogna per forza seguire la strada. Ogni pochi minuti provo a far partire una chiamata e finalmente il telefono di Lucia prende: sta scendendo da San Martino, per fortuna sana e salva! Percorro per inerzia gli ultimi chilometri di strada e finalmente la raggiungo, con le gambe a mollo nella pozza accanto a cui abbiamo parcheggiato.
La sua mattinata è andata così: al bivio ha preso il sentiero per la Ponti, senza vedere che ce n’era un altro; il suo sentiero portava direttamente al bivacco Kima, che quindi ha raggiunto molto prima di me; non vedendomi arrivare, è scesa a cercarmi; tornata senza successo in val di Mello, ha pensato di salire all’Allievi (si è presa pure un paio di coroncine Strava lungo la salita) per vedere se fossi finita lì; all’Allievi non c’ero e non ha incontrato nessuna delle persone a cui avevo affidato messaggi, per cui è scesa di nuovo e si è rimessa in marcia verso Filorera. Tutto è bene quello che finisce bene, ma sempre occhio alla nebbia e ai bivi in alta montagna!
Val Grosina, che posto! Non lo conoscevamo ma abbiamo deciso di partire in esplorazione, e di sicuro bisognerà tornare: tra torrenti gorgoglianti, vette di tremila metri, prati bucolici e selvagge pietraie, nel silenzio totale rotto solo dai fischi delle marmotte, il team delle Martas ha trovato il suo ambiente ideale!
Partiamo da Fusino, sopra Grosio, neanche troppo di buon’ora, confidando che il giro sia breve e veloce. A Fusino parcheggiamo davanti all’ex locanda Valgrosina, dove si può eventualmente acquistare il ticket per proseguire lungo la strada che va a Eita (da cui saliremo) o lungo quella per Malghera (da cui scenderemo). Dato che noi siamo Trail Rings e per definizione facciamo solo anelli, ci limitiamo a lasciare l’auto nel punto più comodo all’incrocio tra le due strade.
Le indicazioni sono chiare e puntuali lungo tutto il percorso, per cui la traccia gpx non è indispensabile. Il giro si può fare in entrambi i sensi di marcia: quello da noi scelto ha il vantaggio di percorrere il tratto più ripido in salita anziché in discesa, ma anche al contrario si tratterebbe solo di una discesa un po’ tecnica su ghiaino, niente di impossibile. Partiamo dunque verso Eita e seguiamo la strada asfaltata per circa un chilometro e mezzo, superando il lago artificiale Roasco alla nostra sinistra. Prendiamo poi la strada carrozzabile, seguendo le inequivocabili indicazioni per Eita (sentiero 251.2), con il torrente Roasco sempre a sinistra.
Non ci sono ancora animali al pascolo, ma i tafani sono già pronti e nell’attesa se la prendono con noi. Superiamo il più in fretta possibile la zona infestata seguendo sempre la strada carrozzabile, tutta corribile, che ci fa guadagnare dislivello in modo dolce ma costante. Torniamo sull’asfalto e giungiamo in vista di Eita, un paesino pacifico e grazioso, circondato da montagne e pascoli verdeggianti.
Dobbiamo ora risalire tutta la val d’Avedo fino al passo di Vermolera, il punto più alto del nostro giro. Da Eita il passo è indicato a 4 h 10′, ma ci metteremo molto meno. Le indicazioni da seguire sono quelle per il sentiero n. 201, che coincide anche con il Sentiero Italia (S.I.). Dopo una breve discesa lungo la strada asfaltata, riprendiamo a salire e raggiungiamo dapprima l’alpeggio Vermulèra, poi i laghi di Très (2185 m). Il motivo del plurale non è chiaro, a me sembra un lago solo.
La pendenza da qui aumenta un po’, ma non troppo. L’ambiente invece si fa sempre più suggestivo e la sua bellezza risalta ancora di più nel silenzio generale: abbiamo salutato gli ultimi umani a Vermulèra e non abbiamo più incontrato nessuno.
Il sentiero cede via via il passo alla pietraia, ma rimane sempre visibile. Solo nel punto più alto, in prossimità del passo, si seguono i segnavia saltellando da una roccia all’altra. Questo percorso è indicato nelle relazioni come EE e di sicuro richiede ottime condizioni meteo, assenza di neve e capacità di muoversi in un ambiente severo di alta montagna; tuttavia noi lo abbiamo valutato un giro di livello escursionistico.
Dal passo di Vermolera (2732 m) la vista si apre sull’ampia val di Sacco e lo spettacolo è ancora più bello perché possiamo godercelo in totale solitudine.
Cominciamo la discesa e solo per un breve tratto dobbiamo prestare attenzione, percorrendo una cengia di sfasciumi. Poi il sentiero torna a essere facile e possiamo divertirci a correre spensierate tra la costernazione delle marmotte.
Ben presto arriviamo in vista del Pian del Lago (2320 m), dove incontriamo le prime persone da parecchio tempo. In effetti il giro, veloce per chi corre, risulta lungo e di sicuro scoraggia gli escursionisti, che per risparmiarsi i noiosi chilometri di strada dovrebbero lasciare due macchine in punti diversi. Insomma, la Val Grosina risulta ideale per il trail running!
Continuiamo a seguire il 201/S.I. in direzione Malghera e, senza possibilità d’errore, percorriamo quella che ormai è una vera e propria strada fino a raggiungere il paese. In assenza del nostro Tony, troviamo una fattoria che porta il suo nome e ne approfittiamo per una foto ricordo.
Da Malghera ci aspettano 10 km di noiosa strada, ma lo sappiamo e siamo psicologicamente preparate. Ce la prendiamo con calma e, senza sbatterci troppo, in meno di un’ora siamo a Fusino. Giro davvero super consigliato a tutti i runner, sia per l’ambiente spaziale sia per l’ottimo allenamento di corsa!
Finalmente, dopo quasi due anni di assenza, sono tornata a fare un salutino alla mia amata Val Masino! Questa volta insieme a Lucia, che sul sentiero Roma si muove come un milanese in circonvallazione. Il terreno tecnico è tanto il suo punto forte quanto il mio punto debole, per cui raggiungiamo un compromesso: salita alla Gianetti e discesa dalla Omio ciascuna al proprio passo, mentre insieme faremo il Barbacan, la parte più tosta e divertente del giro – anche perché lassù, tanto per i tapascioni quanto per i top runner, è poco raccomandabile avventurarsi da soli.
Parcheggiamo alle sette di domenica mattina ai Bagni di Masino: troviamo solo un paio di altre macchine, mentre più tardi si prevede il pienone. Partiamo di corsa per un primo, breve tratto in piano, e in un attimo siamo al bivio Omio-Giannetti. Prendiamo il sentiero di destra per il rifugio Gianetti, dato a 3 ore e mezza di cammino, e da qui Lucia parte a tutto gas. Io con calma supero le roccette chiamate “Termopili” e procedo nel bosco su facile sentiero, con una salita per il momento abbastanza morbida.
Uscendo dal bosco mi trovo ad attraversare ruscelli e torrentelli in piena. Fate attenzione ai lastroni di granito: da asciutti tengono benissimo, ma bagnati possono diventare molto scivolosi. La vista si apre sulla spettacolare corona di cime della val Masino, da dove l’acqua scende a cascate.
Dopo un tratto pianeggiante e un po’ fangoso lungo il torrente, la salita diventa più impegnativa e il sentiero si perde un po’ tra l’erba alta e il granito. Nonostante i bolli, sono riuscita a sbagliare strada in un paio di punti, inducendo all’errore anche un simpatico signore con cui ho fatto l’ultimo tratto fino alla Gianetti. Niente di grave comunque, sia io sia il signore siamo arrivati tutti interi al rifugio dove abbiamo trovato Lucia pazientemente in attesa da mezz’ora. Il rifugio è ancora chiuso (apertura prevista per il 13/06/2022).
Il cielo è piuttosto cupo, ma decidiamo di fidarci del radar di Meteo Swiss che non dà rovesci in mattinata. Salutiamo dunque il simpatico signore e imbocchiamo il sentiero Roma verso il passo Barbacan, seguendo le indicazioni per il rifugio Omio.
Prima della salita ci aspetta un tratto pianeggiante dove, arrancando, cerco di tenere il passo con Lucia che ovviamente è partita di corsa. I ricordi vanno indietro di un paio d’anni, quando con Samu e Meme provammo il giro del Kima: questo tratto verso il Barbacan, l’ultimo dei sette passi del Kima, era sembrato infinito. Certo farlo con le energie ancora fresche, dopo neanche un paio d’ore che si è in giro, è tutta un’altra cosa.
Troviamo solo qualche lingua di neve, facilmente superabile: una situazione davvero inusuale per inizio giugno. Viste le difficoltà del sentiero Roma, è sempre meglio accertarsi della praticabilità dei passi chiamando uno dei rifugi, almeno a inizio stagione.
Aiutandoci con le catene, ci arrampichiamo per roccette e ben presto raggiungiamo il passo, a poco meno di 2600 m. Ah, non l’ho detto prima perché di solito il sentiero Roma è preceduto dalla sua fama, ma ovviamente si tratta di un percorso non adatto a runner o escursionisti poco esperti. L’ambiente è spettacolare, ma severo e selvaggio.
Dal passo al rifugio Omio per me è un’agonia. La discesa è infatti un concentrato di pendenze ripidissime, sassi sdrucciolevoli, erba bagnata, fango, acqua che scorre a fiumi su quello che dovrebbe essere il sentiero, buche nascoste dall’erba, bolli sbiaditi e poco visibili. Una trappola mortale, in poche parole. Ne ero consapevole, ma anche questa volta ci resto male. Lucia, invece, in quattro salti è già alla Omio.
La Omio, a differenza della Gianetti, è già aperta e un buon numero di escursionisti sta salendo da quella che sarà la nostra via di discesa per Bagni di Masino. Lucia deve ottimizzare l’allenamento in vista del Kima 2022 e decide quindi di correre a manetta fino a San Martino, dove la recupererò in auto. Io a questo punto smetto di stressarmi e mi limito a corricchiare, cercando solo di mantenere l’equilibrio nel fango.
Man mano che perdo quota, la situazione fango migliora sensibilmente – non al punto da arrivare alla macchina con i piedi asciutti, ma almeno da restare in equilibrio. Rientrando nel bosco, il sentiero diventa più corribile, e ben presto mi ritrovo al bivio Gianetti-Omio incontrato alla partenza. Da qui al parcheggio è un attimo!
Torre di Santa Maria – Sentiero Rusca – Chiesa in Valmalenco – Primolo – Lago di Chiesa (1612 m) – Rifugio Bosio (2086 m) – Piasci – Son – Torre di Santa Maria
Periodo: Giugno 2022
Partenza: Torre di Santa Maria, Valmalenco (780 m)
Ecco un bel percorso trail, tutto (o quasi) da correre! Primo dei molti nuovi giri in Valmalenco che ho in programma per il 2022, si svolge interamente su facili sentieri e strade carrozzabili che collegano gli alpeggi e il rifugio Bosio. Quattro ore esatte per me che sono ancora fuori allenamento, di sicuro voi riuscirete a fare meglio!
Parto di buon’ora da Torre di Santa Maria, paesino alle porte di Chiesa in Valmalenco, dove trovo facilmente parcheggio davanti al cimitero. Ho dormito poco ma sono determinata a sfruttare questo sabato di sole per un bell’allenamento! A fatica mi metto in moto in direzione Chiesa in Valmalenco, attraversando Torre e andando a prendere il sentiero Rusca, che segue il corso del torrente Mallero.
Dopo circa 4 km di saliscendi, dove in realtà sono più i sali dei scendi, arrivo a Chiesa e lascio questa bella pista ciclo-pedonale per prendere la strada in salita. Attraverso il centro del paese e imbocco la strada che sale verso Primolo. Qualche tornante di asfalto e poi, finalmente, trovo un sentiero.
Sbuco di nuovo sulla strada all’altezza del piccolo cimitero di Primolo e la seguo brevemente, fino a incontrare varie indicazioni, tra cui quelle per la Bosio. Attenzione: i cartelli sembrano indicare la strada privata verso sinistra, mentre il sentiero, meno visibile, passa poco sopra – infatti la scritta “Bosio” è accompagnata da frecce verso l’alto.
Riprendo dunque a salire nel bosco lungo un sentiero facile e morbido, coperto da un tappeto di aghi di pino. Si tratta del n. 316 in direzione alpe Pirlo, alpe Lago e rifugio Bosio.
La salita è inframezzata da tratti quasi pianeggianti e corribili. Ben presto arrivo all’alpe Pirlo e qui prendo la strada carrozzabile in direzione Lago di Chiesa: ci sono diversi sentieri che portano alla Bosio, di sicuro più belli e panoramici, ma oggi ho deciso di mettermi alla prova nella corsa in quota e mi attengo al programma.
Evito un ultimo lungo tornante passando per il sentiero bollato che trovo sulla destra e in un attimo arrivo a Lago di Chiesa, che non è un lago ma un alpeggio.
Riprendo qui la strada verso destra, seguendo le indicazioni per la Bosio. Da un cartello apprendo di essere oltre i 1600 m di quota, il che spiega la fatica. Alterno corsa e camminata fino a trovarmi sulla destra un sentiero che mi permette finalmente di camminare senza sensi di colpa, poi riprendo la strada, che sale ora più dolcemente verso l’alpe Airale.
Di fronte a me si stagliano i Corni Bruciati, alla cui sinistra si trova il passo di Caldenno – da cui potrei comodamente tornare a casa, se non avessi la macchina a Torre di Santa Maria – mentre a destra c’è il passo di Corna Rossa, che porta in Val Masino. Siamo qui sull’ultimo tratto di sentiero Roma e infatti trovo le indicazioni per l’ex rifugio Desio, che si trova di là dal passo di Corna Rossa, prima della Ponti. Sulla sinistra, oltre il torrente, compare finalmente il rifugio Bosio.
Mi fermo al rifugio giusto il tempo di una barretta e riparto in discesa verso Piasci e Torre di Santa Maria. Sono qui sul percorso della VUT, che seguo a ritroso: dalla Bosio a Piasci incontro parecchi runner che lo stanno provando. Il sentiero è bello morbido, facile e corribile, e man mano che perdo quota vedo che cominciano a fiorire i rododendri.
La discesa fa ancora qualche scherzetto – brevi tratti di salita, sempre corribili – e in alcuni punti è un po’ bagnata e fangosa, ma ben presto arrivo a Piasci.
Piasci è di gran lunga l’alpeggio più bello di questo versante della Valmalenco, almeno per me. Tenuto benissimo, con baite stupende, fontanelle, mucche al pascolo e bambini che giocano, gode di una vista mozzafiato sul gruppo del Bernina e fino al pizzo Scalino.
Seguo sempre il percorso della VUT, che conosco ma che è difficile percorrere a ritroso! Il segnavia è il triangolo giallo rovesciato. Comincia ora un tratto di sentiero fantastico, corribilissimo, che mi stavo pregustando da tempo e che mi godo in completa solitudine fino al punto in cui si attraversa il torrente e si risale un pezzetto verso l’alpe Son.
Da qui la discesa diventa meno bella, ma sempre facile. Ci sono un po’ di erbacce e ortiche, che di sicuro verranno eliminate a breve in vista della gara. I segnavia della VUT purtroppo si vedono a fatica in questo senso di marcia, per cui se volete rifare il giro consiglio di affidarvi alla traccia gpx. Senza grosse difficoltà, perdendomi forse solo un taglio di tornante, raggiungo comunque Torre di Santa Maria e il parcheggio dove mi aspetta la mia macchina.
Con il primo caldo e una visita di Stefano in Valtellina si apre ufficialmente la stagione dei giri spaziali ad alta quota. Oggi tocca alla selvaggia val Terzana, sconosciuta ai più, che confina con le arcinote Val Masino e Valmalenco e offre paesaggi altrettanto spettacolari, di cui si può godere in completa solitudine. Tra i tanti vantaggi, questo posto meraviglioso ha anche quello di trovarsi sopra a casa mia! Attenzione: sentieri adatti solo a escursionisti esperti.
Al Pizzo Bello ero già stata con Lucia, mentre mi mancava il passo Scermendone, che collega la val Terzana con la val Caldenno e da cui passa una variante del Sentiero Italia. Sia io sia Ste siamo troppo fuori allenamento per spararci 2500 m di dislivello, ma abbiamo voglia di alta montagna, così decidiamo per una volta di fare i fighetti e di salire in macchina fino a Prato Maslino, uno degli alpeggi di Berbenno di Valtellina. La strada per Prato Maslino richiede una certa abilità alla guida e un po’ dimestichezza con tornanti e sterrato.
Da Prato Maslino, seguendo le indicazioni per Prato Isio, partiamo corricchiando per la traversata, circa 3 km e mezzo di saliscendi perfetti come riscaldamento prima della salita vera e propria.
Ho scoperto a mie spese che la traversata Maslino-Isio, facile e divertente nella stagione estiva, con la neve può diventare davvero pericolosa: assolutamente da evitare in inverno. Oggi invece ci godiamo questa corsetta e in meno di mezz’ora raggiungiamo Prato Isio, dove troviamo una prima fontana.
Scendiamo brevemente per prendere la strada carrozzabile verso Caldenno e troviamo le indicazioni del Sentiero Italia, che passa da Prato Maslino verso la val Caldenno nella sua variante bassa, dal passo di Scermendone verso il passo di Caldenno nella sua variante alta. Con il nostro anello passiamo prima dalla variante bassa e poi in senso opposto da quella alta.
Seguendo la strada in leggera salita, sempre corribile, raggiungiamo l’alpe Caldenno, dove troviamo un’altra fontana. Da qui, la pendenza del sentiero cambia radicalmente. Cominciamo a inerpicarci per la bella val Caldenno, seguendo il corso dell’omonimo torrente accompagnati dal fragore della cascata. Man mano che saliamo, si apre davanti a noi la vista dei Corni Bruciati.
Con un ultimo strappo piuttosto ripido raggiungiamo un pianoro dove possiamo, sia pur brevemente, tirare il fiato. Siamo ormai sui 2400 m e la quota comincia a farsi sentire! Troviamo le indicazioni per il passo Caldenno, verso destra, e quelle che interessano a noi per il passo Scermendone, verso sinistra.
Le montagne sembrano una muraglia invalicabile, ma il sentiero c’è e i bolli sono freschi ed evidenti. Li seguiamo fino alla fine del pianoro e lungo una nuova, ripida salita, mentre intorno a noi le marmotte fischiano allarmate: non sono abituate alla presenza degli umani! In effetti da quando siamo partiti non abbiamo incontrato anima viva, e nessuno incontreremo fino alla vetta del Pizzo Bello.
Il sentiero per il passo Scermendone non è difficile, almeno in assenza di neve. Certo si tratta di un ambiente severo di alta montagna, che richiede esperienza e dimestichezza con ghiaioni e pietraie. Ben presto arriviamo al passo, a poco meno di 2600 m di quota, e la vista si apre sulla val Terzana in tutto il suo splendore.
Seguiamo ora le indicazioni verso sinistra per il Pizzo Bello. La cima si vede e sembra vicinissima: pensiamo di raggiungerla in fretta, tornare indietro e scendere al laghetto Scermendone prima di risalire alla cima di Vignone, per un giro totale di una ventina di chilometri. In realtà siamo più lenti del previsto: in quest’ultimo tratto tra il passo e il Pizzo Bello, in assoluto il più selvaggio di tutto il percorso, troviamo ancora della neve ghiacciata e, non avendo con noi i ramponcini, ci tocca ravanare nella pietraia per evitarla.
Una lingua di neve particolarmente ampia mi fa decidere di scendere di qualche decina di metri per attraversare in sicurezza, per cui il dislivello totale della mia traccia potrebbe risultare maggiore del normale.
Riguadagnato il sentiero dopo la ravanata, ci è passata la voglia di tornare indietro per questa via e decidiamo di accontentarci di un giro più breve, scendendo direttamente all’alpe Vignone. Prima, però, saliamo in vetta al Pizzo Bello per goderci il panorama che spazia dal gruppo del Bernina al Disgrazia e al Badile. Qui incontriamo una persona (e un cane) per la prima volta da quando siamo partiti.
Dopo una meritata merenda con vista, torniamo brevemente sui nostri passi scendendo dalla cresta del Pizzo Bello, poi, lasciandoci alle spalle le roccette della val Terzana, cominciamo la discesa per i verdi prati che ci separano dall’alpe Vignone.
I bolli nel prato si vedono e non si vedono. Prestate attenzione e, se li perdete di vista, tornate indietro: anche tra questi verdi pascoli le pendenze non scherzano ed è meglio seguire sempre il sentiero. Poco prima di arrivare all’alpeggio, dove naturalmente ci sono delle fontane, incontriamo un gruppo di tre escursionisti. Con così poca gente in giro, è un piacere fermarsi a salutare e fare due chiacchiere!
Superata l’alpe Vignone, proseguiamo in discesa verso Prato Maslino. Il sentiero, finora piuttosto scosceso, diventa sempre più morbido e corribile, soprattutto quando si rientra nel bosco. Ancora pochi chilometri e arriviamo a Prato Maslino.
Attraversiamo l’alpeggio prima seguendo la strada carrozzabile, poi tagliando un po’ a caso per i prati, e ben presto raggiungiamo la macchina.
La cima della Rosetta (2156 m), oltre che bellissima meta per escursioni e gite di qualsiasi livello, ospita in estate una famosa gara di corsa in montagna, la Rosetta Skyrace. Nella stagione fredda, il versante orobico della Valtellina è meno invitante rispetto al soleggiato versante retico, prestandosi più allo scialpinismo che alla corsa trail. Questo secco inverno 2022, tuttavia, mi ha permesso di tentare un’esplorazione anche da queste parti. E la Rosetta è stata promossa a pieni voti!
È davvero impressionante la differenza climatica tra i due versanti della Valtellina: appena ieri, sul lato retico, correvo a 1700 m di quota in maniche corte, mentre oggi, su quello orobico, non ho mai tolto la giacca dall’inizio alla fine del giro. Le temperature, soprattutto nelle zone che rimangono in ombra, sono davvero rigide e si trova ancora un po’ di neve ghiacciata. Ramponcini necessari per scendere in sicurezza dalla cresta nord-est della Rosetta, per il resto si può fare senza.
Parto da Rasura, dal parcheggio di via Ticc. Qui si trova anche una fontana per riempire la borraccia alla partenza e darsi una (gelida) sciacquata all’arrivo. Il paese è ancora tutto in ombra e scendere dalla macchina è impegnativo, ma tanto comincia subito la salita e ci metto poco a scaldarmi.
Si prende la mulattiera in salita e si attraversa il paese, fino a trovarsi sulla strada asfaltata che sale verso la località Piazza (indicazioni per Baita al Ronco). Ben presto ri-abbandono l’asfalto e continuo a salire per sentieri, inizialmente non indicati ma abbastanza intuitivi, in quanto tagliano i tornanti della strada. Consiglio di seguire la traccia gpx nella parte bassa del giro, mentre in quella alta potrete affidarvi anche alle indicazioni CAI.
Guadagnando quota, raggiungo i primi alpeggi, dove il bosco si apre lasciando il posto ad ampi prati soleggiati, con vista sulle Alpi retiche e in particolare sul Disgrazia.
Il sentiero qua e là si perde nell’erba, ma potete seguire fiduciosamente la mia traccia – in questo giro non mi sono persa né messa inutilmente in pericolo – che vi porterà finalmente alle prime indicazioni. I cartelli da seguire sono quelli per il sentiero 124 – Cima della Rosetta. Si troveranno anche le indicazioni della skyrace, che però vanno in senso opposto al mio.
Quando finalmente arrivo in vista della Rosetta, vedo una traccia nella neve che sale diretta in cima – suppongo sia il sentiero indicato come “Direttissima”. Sembra un bel muro di neve ghiacciata e preferisco evitarlo, dato che non ho attrezzatura alpinistica e nemmeno i bastoncini. Decido di salire dal versante sud, seguendo le indicazioni per Cima Rosetta via lago Culino, e imbocco il sentiero pianeggiante verso sinistra – che poi, scopro, non è altro che la G.V.O., la Gran Via delle Orobie.
Il sentiero disegna un’ampia curva intorno alla Rosetta e mi porta all’inizio della salita. Su questo versante, come era facilmente prevedibile, il sole ha sciolto quasi tutta la neve e si sale senza ramponcini. Con il senno di poi, avrebbe avuto più senso fare il giro in senso contrario, salendo dal versante nord e scendendo da quello sud. Di sicuro la discesa senza ghiaccio sarebbe stata più veloce.
Dal lago Culino, che deve essere molto piccolo e coperto di neve, perché non lo vedo, impiego poco tempo a raggiungere la vetta, circondata da un panorama mozzafiato a trecentosessanta gradi sulle Orobie e le Alpi retiche.
Con un po’ di preoccupazione osservo la cresta che percorrerò in discesa e metto i ramponcini: in realtà la discesa risulta meno difficile di quanto temevo, ma c’è qualche punto un po’ ripido che con la neve ghiacciata richiede attenzione.
Ho seguito in discesa le impronte di chi mi ha preceduto che, come ho scoperto quando la neve è finita, portavano leggermente fuori traccia rispetto al sentiero. Poco male, attraverso un ampio pratone e mi rimetto sul sentiero G.V.O., che gira intorno alla cima della Rosetta, imboccandolo questa volta in direzione rifugio della Corte (sentiero 140). Da questa parte è rimasta della neve ghiacciata e, per evitarla, a un certo punto abbandono il sentiero e passo poco più in alto.
La deviazione in realtà risulta provvidenziale, perché mi porta a un bellissimo alpeggio, che non ho identificato, e sulla dorsale del monte Olano (1718 m). Al monte Olano sarei arrivata in ogni caso, quindi molto meglio passare sulla facile e panoramica dorsale piuttosto che dal traverso ghiacciato nel bosco.
Proseguo dunque in facile discesa su neve relativamente morbida fino al monte Olano, un ampio pianoro con un bel laghetto ghiacciato.
Prendo ora il sentiero in discesa verso Tagliate di Sopra e, da qui, proseguo per sentieri verso Mellarolo. Da Tagliate conviene riprendere a seguire la traccia gpx invece che i cartelli. Arrivata sulla strada asfaltata, dove trovo alcune case e una fontana, prendo la mulattiera in discesa verso sinistra, che mi porterà a incrociare di nuovo il percorso della skyrace.
Seguo le frecce della gara fino a Mellarolo e, da qui, la strada asfaltata che riporta a Rasura.
Ecco un altro anello panoramico in bassa Valtellina! Partenza dalla stazione di Ardenno, salita all’Alpe Granda con vista spaziale sulla Val Masino, discesa dalla via dei Terrazzamenti.
Periodo: Febbraio 2022
Partenza: Ardenno
Distanza: 22 km
Dislivello: 1700 m
Acqua: varie fontane lungo tutto il percorso (quelle più in alto chiuse in inverno)
L’Alpe Granda, storico alpeggio di Ardenno, è diventato uno dei miei posti preferiti da quando l’ho scoperto, più o meno un anno fa. Spettacolare balcone da cui ammirare la maestosa catena di vette della Val Masino, facilmente accessibile per strade e sentieri escursionistici, questo enorme pianoro a 1600 m di quota rimane sconosciuto ai più, silenzioso e poco frequentato.
Il giro che avevo in mente era in realtà più ambizioso: pensavo di salire anche al monte Scermendone e da lì arrivare alla chiesetta di San Quirico. Si tratta però, come immaginavo, di un percorso poco frequentato e senza indicazioni di alcun tipo, che ho eliminato dalla traccia gpx perché non mi sento di raccomandarlo. Oltre tutto, arrivata a quella che pensavo fosse la cima del monte Scermendone, che però era il Mercantelli (2070 m), anziché proseguire in cresta ho pensato bene di seguire una traccia in discesa nel bosco e ho perso quasi un’ora a ravanare più o meno a caso per riguadagnare la strada carrozzabile che passa poco più in basso.
Vi propongo quindi un giro un po’ più breve e decisamente più sicuro di quello che ho fatto effettivamente. La partenza è da Ardenno, dove approfitto come sempre del grande parcheggio gratuito della stazione. Si parte con un tratto di corsa in piano verso i terrazzamenti che caratterizzano il versante solivo della bassa Valtellina; si svolta a sinistra verso il cimitero e si continua in direzione delle montagne. Dalla strada vedo già la prossima parte del mio percorso, la ripida mulattiera in salita che mi porterà al paesino di Biolo.
Da Biolo, sempre in salita, seguo le indicazioni e i bolli fino a Pioda; supero anche questo piccolo abitato, che gode di una posizione davvero invidiabile con vista sul Legnone, e proseguo ancora in salita.
La tappa successiva è Lotto, che si raggiunge tramite un comodo sentiero che taglia i tornanti della strada. Anche qui, le indicazioni sono chiare e puntuali. Arrivando a Lotto il sentiero finalmente spiana un po’ e il bosco si apre per fare spazio a un bell’alpeggio con un laghetto artificiale.
Svolto a sinistra seguendo le indicazioni per Granda e approfitto di una fontana per rabboccare la borraccia. Ci sono fontane anche più in alto, ma in questa stagione sono chiuse: quella di Lotto è l’ultimo punto di rifornimento per parecchio tempo. Superato l’alpeggio, il sentiero si inerpica e si addentra di nuovo nel bosco, che nasconde solo parzialmente le prime cime della Val Masino alla mia sinistra. Mi trovo infatti sul crinale che separa questa bellissima valle laterale dalla Valtellina. Man mano che salgo verso la Cima di Granda (1708 m), si aprono scorci meravigliosi, ideali come selfie-point.
Le montagne sono davvero aride, ma d’altra parte in condizioni diverse, per esempio con tutta la neve venuta l’anno scorso, difficilmente mi sarei avventurata da queste parti in pieno inverno. Si tenga conto che qui i sentieri, anche quelli meglio segnati, sono davvero poco battuti e capita spesso di trovarli interrotti da alberi caduti, o impraticabili per la neve. In questo caso, l’unico ostacolo che incontro è un tappeto di foglie secche che ricopre i sentieri e che, in assenza di perturbazioni e di escursionisti, vi rimarrà probabilmente ancora a lungo.
Raggiungo la Cima di Granda, che definire “cima” è forse un po’ eccessivo, ma da cui la vista è semplicemente meravigliosa, e proseguo in discesa verso l’omonima Alpe.
Dalle baite proseguo in piano fino al rifugio Alpe Granda – che nonostante l’invidiabile posizione non mi sento, purtroppo, di consigliare – lungo una comoda e panoramica strada carrozzabile, dove trovo ancora qualche chiazza di neve ghiacciata e un po’ di fango. Prendo la mulattiera in salita dietro al rifugio e mi inoltro di nuovo nel bosco. Il sentiero sbuca su un’altra carrozzabile, e qui le nostre strade dovrebbero dividersi. Il mio consiglio è infatti di proseguire lungo il sentiero in discesa verso la Merla, sentiero che si prende pochi metri prima di arrivare alla carrozzabile. Io invece ho imboccato il sentiero in salita privo di indicazioni, che porta alla cresta Scermendone-San Quirico.
Completamente privo di bolli e tracce umane, il sentiero risulta sempre meno battuto man mano che mi avvicino alla cresta, fino a scomparire del tutto; alcuni tratti di neve ghiacciata mi costringono a procedere con cautela, ma tornano utili perché conservano vecchie impronte di scarponi che mi confermano di essere sul percorso giusto. Continuando a salire con la massima attenzione, riesco comunque a gustarmi questo ambiente tanto bello e selvaggio.
Ho voluto comunque mostrarvi il posto meraviglioso in cui mi sono ritrovata: un panorama del genere, per quanto mi riguarda, merita di essere conquistato a costo di qualche disagio. Se qualcuno volesse arrampicarsi quassù a dare un’occhiata, tenendo conto che sarebbe un sentiero EE (se solo ci fosse un sentiero), consiglio di arrivare alla vetta del Mercantelli e ridiscendere molto attentamente per la stessa via, oppure cercare di proseguire in cresta, pur nella totale assenza di bolli, fino alla croce del monte Scermendone. La cosa da NON fare, come sempre mi ripeto pur continuando a disattendere i buoni propositi, è seguire vaghe tracce (di animali) lontano dal filo di cresta.
In qualche modo, ammaccata, graffiata e punzecchiata, emergo dal bosco e ritrovo la noiosa carrozzabile, che dopo questa ravanata mi sembra molto meno noiosa. Torno sui miei passi e, sorpresa di impiegare non più di qualche minuto a ripercorrere in piano l’evidentemente modesta distanza che avevo coperto in cresta, vado a prendere il sentiero in discesa per la Merla.
Siamo di nuovo sul percorso “consigliato”. Raggiunto l’alpeggio, il sentiero da prendere è quello senza indicazioni che scende dritto nel bosco: va invece evitato il sentiero in costa che riporta all’Alpe Granda. La discesa nel bosco, salvo qualche breve tratto ricoperto di ghiaccio vivo, è semplice e piacevole e mi porta ben presto sulla strada che collega l’Alpe Granda con le località Our e Nansegolo, frazioni di Buglio in Monte. Dopo un paio di tornanti in discesa, all’altezza delle prime case, trovo sulla destra un sentierino che mi permette di accorciare un po’ il percorso.
Non ci sono indicazioni, ma so più o meno in che direzione andare. Certo, procederei molto più in fretta se il sentiero non fosse ricoperto da un instabile manto di foglie secche, dove mi trovo immersa, in alcuni punti, fino al ginocchio. Dopo un tratto di sentiero che mi sembrerebbe molto ripido, se non fossi da poco riemersa dalla mia epica ravanata sotto il monte Scermendone, riguadagno la strada, ora asfaltata, e sempre in discesa arrivo al bivio per Buglio in Monte.
Senza scendere a Buglio, tengo la destra e proseguo comodamente su asfalto per un altro chilometro. Incontro una galleria e, poco prima, le indicazioni della via dei Terrazzamenti. Io qui mi trovo su un terreno arcinoto, ma i cartelli gialli dei Terrazzamenti aiuteranno senz’altro i neofiti a orientarsi da qui ad Ardenno.
Sempre seguendo le indicazioni, si lascia la strada asfaltata per prendere verso sinistra la mulattiera che ne taglia i tornanti. Si passa dalle prime baite di Gaggio per poi arrivare al paesello vero e proprio, dove come al solito vengo accolta dalle facce perplesse di due alpaca.
Proseguendo in discesa, sempre su facile e panoramica mulattiera, si comincia finalmente a vedere Ardenno a pochi chilometri di distanza.
L’ultimo tratto di mulattiera è particolarmente bello con la luce calda del pomeriggio. Ben presto arrivo in paese e, con un ultimo chilometro in piano, raggiungo la macchina.
Di solito non torno nello stesso posto due volte in un mese, ma per il monte Bassetta ho fatto un’eccezione: tra le vette valtellinesi facilmente raggiungibili in inverno è, infatti, in assoluto la più panoramica! Da questo spettacolare panettone la vista può spaziare dal Legnone al lago di Como e, soprattutto, alle cime della val dei Ratti e della Val Masino, come l’inconfondibile Sasso Manduino. Se nel giro fatto a inizio gennaio c’era ancora neve, adesso (30/01/2022) ne è rimasta davvero pochissima solo in cima al Bassetta.
Parcheggio a Cino, in via Garibaldi. Nello zainetto ho solo una flask – sono erroneamente convinta di trovare fontane ovunque -, una barretta e i ramponcini (just in case). Parto corricchiando lungo la strada che collega Cino e Cercino, due dei paesini sulla soleggiata costiera dei Cèch. Dopo un chilometro e mezzo più o meno in piano, si trova sulla sinistra una mulattiera in salita.
Le indicazioni da seguire sono quelle per “percorso didattico” e Bioggio. La mulattiera sale dapprima con decisione, poi con pendenza sempre più blanda, fino a spianare arrivando a Bioggio.
Dal santuario ho preso il sentiero in leggera salita, ma in realtà si può seguire anche la strada in leggera discesa: i due percorsi si ricongiungono poco dopo. All’incrocio, si prende la strada senza indicazioni che prosegue in salita.
Questa seconda carrozzabile sarebbe infinita, ma per fortuna un sentierino, difficile da vedere, mi permette di tagliare qualche tornante. Si tratta di un ripido sentiero da enduristi – ormai li riconosco a colpo d’occhio – e infatti ben presto trovo tre ragazzi che, lasciate le moto sulla strada, sono scesi a ripulire il sentiero dagli alberi caduti. Se in altri posti c’è antipatia tra escursionisti e motociclisti, in questi boschi le due specie convivono più o meno in pace. Certi sentieri che percorro abitualmente sarebbero del tutto impraticabili, coperti di vegetazione e ostruiti dai tronchi, se non vi passassero regolarmente le moto da enduro. Per cui saluto con gratitudine e continuo a salire.
Gli ultimi tornanti invece mi tocca farli tutti, perché non vedo più nessuna scorciatoia su sentiero. Arrivo finalmente a un bivio, dove la vegetazione si apre e mi permette di ammirare il Legnone in tutta la sua imponenza.
Al bivio si prende la strada che svolta tutto a sinistra, in discesa, verso Prati Nestrelli. Nella direzione opposta è indicato il monte Brusada e mi ripropongo di tornare in esplorazione più avanti con la bella stagione: per il momento preferisco attenermi al piano originale di salire al Bassetta da Prati Nestrelli.
La strada è lunga e faticosa, un po’ a saliscendi. Sulla destra trovo in successione ben due sentieri che salgono al monte Bassetta, al sentiero Bonatti e al rifugio Brusada. Li ignoro, sia perché non so a che altezza arrivano, sia perché fa caldo, ho quasi finito l’acqua e vorrei proprio passare dalla fontana di Prati Nestrelli prima di cominciare la salita al Bassetta. In realtà, scopro che il sentiero Prati Nestrelli-Bassetta comincia ben prima della fontana e, stupidamente, non allungo il percorso per riempire la borraccia.
Il sentiero che sale da Prati Nestrelli al Bassetta è bello, semplice e panoramico. L’altra volta lo avevo fatto in discesa e ne ho conservato un buon ricordo. In due chilometri e mezzo si guadagnano circa 500 m di quota, ben distribuiti. Finalmente arrivo in vista dell’alpe Bassetta.
Raggiungo l’alpe, sperando di trovarvi dell’acqua. Non ci sono fontane, ma trovo molti escursionisti intenti a bere e mangiare. Nessuno a quanto pare ha dell’acqua da cedermi. Mi viene offerta una lattina di red bull e ricevo anche un mezzo rimprovero quando la rifiuto, come se non avessi davvero sete. Signori, se volete provo a spiegarvi che cosa succederebbe al mio stomaco e al mio intestino se durante una corsa ingerissi una red bull. Ma facciamo che vi lascio alla vostra abbuffata e mi arrangio da sola. Grazie, eh.
Lascio l’alpe e salgo al monte Bassetta, dove è rimasta un po’ di neve che mi metto a masticare. Meglio di niente. Provvidenzialmente arriva una persona gentile, che mi offre dell’acqua (e anche del vino). Accetto con gratitudine un goccio d’acqua, che vedrò di farmi bastare fino all’alpe Piazza, dove spero finalmente di trovare una fontana.
Senza ripassare dall’alpe, taglio giù per il prato andando a intercettare il sentiero Bonatti, che dal Bassetta scende verso il monte Foffricio. Le foto non rendono la bellezza di questa discesa: sembra di andare a tuffarsi nel lago di Como! Sulla destra compare poi la Val Chiavenna con il lago di Novate Mezzola.
Il sentiero è molto secco e a tratti scivoloso, ma facile al pari di quello che sale da Prati Nestrelli. In meno di venti minuti sono al monte Foffricio, indicato da un cartello, altrimenti non mi accorgerei neanche di essere su un monte.
Prendo ora il sentiero verso destra, che in un chilometro di facile discesa mi porta all’alpe Piazza, dove finalmente trovo una fontana. Che bello bere quando si ha davvero sete!
Dall’alpe scendo a intercettare la strada, che percorro brevemente fino a trovare sulla sinistra un altro sentiero taglia-tornanti. Bisogna prendere quello in discesa, naturalmente.
Da questo sentiero evidentemente gli enduristi non passano, perché è coperto di foglie e mi costringe a procedere lentamente. Mi fa comunque risparmiare un bel tratto di strada: solo per gli ultimi 2 km mi tocca correre su asfalto fino a Cino.
Prendendo casa in Valtellina, terra di grandi atleti e sportivi, può facilmente capitare di trovarsi come compaesana una top runner come Lucia. Mi tira sempre il collo, eh. Anche quando è infortunata e il medico le ha prescritto di andare piano. Ma è la compagna ideale per esplorare queste bellissime montagne, selvagge e sconosciute al grande pubblico. Oggi è stata la volta della panoramica croce di Poverzone, una delle mete più amate da escursionisti e ciclisti in bassa Valtellina; per non farci mancare niente, poi, abbiamo fatto un salto al lago di Colina, altra piccola perla sconosciuta ai più, che per la prima volta ho visto ricoperto di neve.
Qualche piccola informazione di servizio: la traversata dalla croce al lago avviene lungo una comoda strada carrozzabile, perfettamente percorribile anche in mountain bike (in questo caso bisogna aggiustare la traccia in salita e in discesa, sostituendo alcuni sentieri con le strade che servono gli alpeggi). Ciò non significa, però, che questo giro si possa sempre fare in pieno inverno: quando nevica tanto, difficilmente la strada sarà praticabile anche a piedi. In questo gennaio 2022, particolarmente secco e caldo, abbiamo trovato solo a partire dai 1800 m poca neve ghiacciata. Ramponcini utili ma non indispensabili. Lo stesso si può dire della traccia gpx: non è strettamente necessaria, perché il giro è piuttosto intuitivo, ma torna utile in quanto le indicazioni sono rare.
La partenza è da Vendolo, un paesino che sorge sul versante solivo e lungo la via dei Terrazzamenti, così piccolo che non sto a spiegarvi dove parcheggiare: troverete da soli l’unico parcheggio lungo l’unica via del paese. Anticipate da Nami, la cagnolina montanara di Lucia, ci riscaldiamo con un breve tratto di strada più o meno pianeggiante, poco meno di 1 km, in direzione Castione Andevenno; poi prendiamo il sentiero in salita verso sinistra.
Questo primo tratto di sentiero, che collega Castione con Ligari, è davvero semplice, morbido e in ottime condizioni. Ben presto arriviamo a un paesino dal nome simpatico, Barboni di sotto. Siamo qui a 1150 m di quota e possiamo già ammirare la catena delle Orobie dall’altra parte della valle.
Da qui si può seguire la strada fino a Ligari, ma noi amanti del verticale (chi più, chi meno) preferiamo salire dritto per dritto lungo un sentiero un po’ dismesso, ma ancora visibile, fino a incrociare il più comodo sentiero che arriva da Ligari. Questo sentiero, fino alla croce di Poverzone, è ben segnato da bolli e persino con catarifrangenti, che lo rendono facilmente percorribile anche in notturna. Proseguiamo senza possibilità d’errore fino a sbucare dal bosco all’altezza di un piccolo alpeggio chiamato Piastorba.
Da qui, guardando in alto a sinistra, si vede già la croce di Poverzone. Noi dobbiamo però proseguire dritto, attraversando l’alpeggio e percorrendo per un tratto la strada in piano. Poi si trova sulla sinistra un altro sentiero, che riporta nel bosco per l’ultimo tratto di salita fino alla croce.
Ben presto torniamo a incrociare la strada, ora pianeggiante e innevata, e la seguiamo per un breve tratto fino a raggiungere la nostra prima meta, appunto la croce di Poverzone. Da qui la vista sulla Valtellina e sull’arco orobico è davvero fantastica.
Dopo le foto di rito, torniamo sulla strada carrozzabile e finalmente troviamo delle indicazioni scritte. Un cartello mostra il sentiero per il monte Rolla, poco sopra di noi, mentre la strada prosegue verso il lago di Colina, indicato a 5,5 km.
Lucia e Nami partono a tutta birra lungo la strada in leggera salita, mentre io mi affanno nel vano tentativo di tenere il loro passo. Da qui al lago si fanno ancora circa 200 m di dislivello, ben distribuiti ma comunque faticosi.
Sempre seguendo questa strada (ignorate la piccola deviazione che abbiamo fatto noi poco prima del lago) si arriva al lago di Colina, ghiacciato e ricoperto di neve, alle cui spalle svettano il monte Colina e il monte Caldenno. Dietro queste montagne, nascosti alla vista, si ergono i più imponenti Corni Bruciati, la cima di Corna Rossa e il Disgrazia: i rilievi, cioè, che separano la Valmalenco dalla Val Masino.
Torniamo sui nostri passi e andiamo a riprendere la strada in discesa verso l’alpe Colina.
La pacchia su strada dura poco: a Lucia piace seguire la linea più breve e ben presto ci troviamo a tagliare i tornanti scendendo di corsa per i prati. Una volta riguadagnata la strada, la seguiamo brevemente, fino a incontrare sulla sinistra le indicazioni per Postalesio.
La discesa da qui a Pra Lone è tracciata perfettamente, in quanto si tratta del percorso del Verti-Colina, gestito da SLAlom alle Piramidi. Si tratta semplicemente di seguire i cartelli e il sentiero che taglia i tornanti della strada.
A Pra Lone prendiamo il sentiero verso sinistra, seguendo le indicazioni per Dondolo. Fa rima con Vendolo ed è lì che ci porterà! Sempre in discesa, ora su tracce poco battute, ora su facile sentiero, arriviamo a incrociare la via dei Terrazzamenti, che imbocchiamo verso sinistra e che in un attimo ci riporta alla macchina.
Un fantastico balcone sul Lario, la Valtellina, la Val Chiavenna e la selvaggia Valle dei Ratti: il Monte Bassetta, con i suoi 1744 m, è facilmente raggiungibile, soleggiato anche in inverno, poco frequentato nonostante la vista mozzafiato.
Il monte Bassetta è la prima, modesta cima dell’imponente catena montuosa che divide la Valtellina dalla Val Chiavenna, salendo dapprima dolcemente e poi con rilievi sempre più aspri dal punto in cui l’Adda si tuffa nel lago di Como fino alle spettacolari vette della Val Masino.
E tutto questo si offre alla vista con una semplice passeggiata priva di difficoltà, adatta anche alla stagione invernale (con la dovuta attrezzatura in base alla situazione neve), sulla soleggiata costiera dei Cèch in bassa Valtellina.
Sono partita da Mantello, dal comodo parcheggio in corrispondenza della rotonda e del ponte sull’Adda, per fare qualche chilometro di corsa in più; in alternativa, si possono togliere chilometri e dislivello parcheggiando a Cino, il cui campanile svetta alto sopra Mantello.
Dal parcheggio, attraverso la statale e subito l’abbandono, prendendo la via che entra in paese con indicazioni per Cino. Svolto subito a sinistra: un cartello indica che è una strada chiusa, ma non per i pedoni. Proseguo più o meno in piano per circa un chilometro, superando il piccolo cimitero di Mantello e seguendo una bella strada panoramica con vista sul Legnone. Trovo poi sulla destra il sentiero che sale verso Cino.
Il sentiero si inoltra nel bosco, mai troppo ripido, tagliando i tornanti della strada carrozzabile che serve gli alpeggi. Conviene seguirlo solo fino a quando si trovano le indicazioni per Cino. Non fate come me, che come al solito sono andata all’avventura nel bosco, lungo un sentiero non bollato di cui giustamente a un certo punto si perdono le tracce.
Non vi preoccupate: la traccia gpx qui allegata è già stata corretta in modo da risparmiarvi la mia ravanata nel bosco. Si tratta solo, a un certo punto, di prendere la strada carrozzabile verso sinistra e seguirla fino ai Prati dell’O, l’alpeggio super panoramico che io ho raggiunto per vie traverse. Non si passa per Cino all’andata, ma solo al ritorno.
In alternativa, si può salire anche dalla Piazza, altra alpe servita da strada carrozzabile, seguendo la dorsale dal monte Foffricio al monte Bassetta. Tenete presente che i pochi escursionisti di solito salgono in macchina fino alla Piazza, per cui i sentieri fino a qui sono davvero poco battuti e non si trovano tante indicazioni. Meglio affidarsi alla traccia gpx.
Si sale per la mulattiera in pietra e si attraversa il piccolo alpeggio Prati dell’O, per poi continuare su sentiero fino a incontrare le precise indicazioni che si potranno semplicemente seguire da qui in avanti: quelle che mi interessano sono per il monte Bassetta e il sentiero Bonatti. Quest’ultimo è un percorso di cui ignoravo l’esistenza, ma che ha decisamente stuzzicato la mia curiosità… ufficialmente inserito nella lista degli obiettivi per l’estate 2022!
La montagna innevata che mi accompagna sulla destra per tutta la salita è il monte Brusada, che supera di poco i 2000 m. Un altro posto che mi ripropongo di esplorare più avanti. Arrivo finalmente all’Alpe Bassetta e, da lì, salgo di pochi metri per raggiungere l’ampia cima dell’omonimo monte, da cui la vista spazia a trecentosessanta gradi dal Legnone verso il lago di Como, da qui alla Val Chiavenna e alla selvaggia Valle dei Ratti, infine sul caratteristico Sasso Manduino e verso la Val Masino.
Per il ritorno scelgo di passare da un altro alpeggio, Prati Nestrelli. Il sentiero, pure indicato da un cartello, non è evidente nella neve e per sbaglio rimango su una traccia poco più in alto. Quando mi rendo conto dell’errore, vedendo il vero sentiero dall’alto, lo raggiungo con un’ultima ravanata – anche questa eliminata dalla traccia gpx, che potete seguire con fiducia – e finalmente comincio a scendere di buon passo su un terreno facile e sicuro.
Scompaiono anche le ultime chiazze di neve e ghiaccio – i ramponcini sono rimasti sempre nello zaino – mentre, superato un breve traverso, comincio a perdere rapidamente quota. Continuo a seguire il sentiero, senza bolli ma sempre chiaramente indicato, fino a Prati Nestrelli.
Superato l’alpeggio, arrivo su una strada carrozzabile a tornanti. Trovo un sentiero per Cino, che probabilmente mi farebbe risparmiare tempo, ma oggi ho deciso di mettere nelle gambe un po’ di chilometri e proseguo dunque lungo la strada in discesa.
Arrivata a un campo sportivo poco sopra Cino, decido di complicarmi ulteriormente la vita prendendo la stradina che svolta tutto a sinistra rispetto alla strada principale. Con il senno di poi, conviene seguire la strada risparmiandosi forse mezzo chilometro di faticoso falsopiano. In ogni caso, si arriva abbastanza facilmente a Cino e, superata la chiesa, si continua in discesa lungo la strada che riporta a fondovalle e a Mantello.
Bivacco Kima e bocchetta Roma (33 km – 2100 m D+)
11 Agosto 2022 by marta • Valtellina Tags: alta via, bivacco kima, bocchetta roma, corsa in montagna, filorera, kima, predarossa, rasica, rifugio ponti, sentiero roma, skyrace, trail running, val cameraccio, val di mello, val masino, valtellina • 0 Comments
Con gli imprevisti tipici del sentiero Roma, è uscito un giro diverso da quello che avevo in mente, ma comunque un gran bel giro!
Periodo: Agosto 2022
Partenza: Filorera (841 m)
Distanza: 33 km
Dislivello: 2100 m
Acqua: fontane solo in discesa, ma ci sono tanti ruscelli!
GPX (clic dx, salva link con nome)
“Mi raccomando, non perdetevi” (cit. signora Luisella, h 7:00).
Detto, fatto: h 9:00, perse. Ecco il racconto di un’ordinaria giornata sul sentiero Roma con Lucia.
Attenzione: percorso adatto solo a escursionisti/runner più che esperti, e occhio al meteo!
L’idea era quella di risalire la val di Mello, andare a intercettare il sentiero Roma nell’austera val Cameraccio, seguire il percorso del Kima (per chi fosse interessato, ecco il link dell’epico giro provato nel 2020) giù per il passo Cameraccio, superare il passo Torrone, raggiungere il rifugio Allievi e da lì scendere per la val di Zocca fino a San Martino. Per aumentare il chilometraggio ed evitare il caos di San Martino Beach, dove orde di bagnanti rendono ormai invivibile la bella val di Mello, abbiamo deciso di partire da Filorera, dove i parcheggi sono gratuiti e le pozze meno affollate.
A Filorera lasciamo l’auto lungo il torrente e prendiamo la pista ciclo-pedonale che in 2 km ci porta a San Martino. Percorriamo così a ritroso gli ultimi 2 km del Kima, nota skyrace a cui Lucia è iscritta per l’ennesima volta e che si svolgerà tra poco, nell’ultimo weekend di agosto. Il sentiero Roma in queste settimane è affollatissimo di atleti che si preparano appunto a questa gara, forse la più selettiva nel panorama dello skyrunning italiano.
Da San Martino prendiamo il sentiero che risale la val di Mello a destra del torrente: dall’altra parte c’è la strada, molto più affollata. Sono le 7 e mezza del mattino e la valle è ancora quieta, complice probabilmente il cielo nuvoloso. Meteo non ideale per il sentiero Roma, ma di sicuro perfetto per la val di Mello!
Sono circa 5 km di sentiero morbido e corribile, prima del vertical che ci aspetta da Rasica al sentiero Roma. Il bosco qua e là si apre lasciando intravedere le famose pozze del torrente Mello, dove si riflettono le imponenti pareti di granito che racchiudono la valle.
Attraversiamo infine il torrente e seguiamo le indicazioni per Rasica, senza prendere il sentiero che sale verso la val di Zocca e il rifugio Allievi. Tra le valli laterali della val di Mello, da cui si può accedere al sentiero Roma, la val di Zocca è l’unica un po’ battuta, con un sentiero degno di questo nome. Tutte le altre, inclusa la val Cameraccio dove ci accingiamo a salire, sono ripide e selvagge, frequentate quasi esclusivamente dagli animali. Il telefono non prende quasi mai e i “sentieri” non sono altro che sequenze di bolli tra l’erba alta, spesso poco visibili. Insomma, un ambiente impervio e ostile, ma proprio per questo estremamente affascinante.
Raggiungiamo Rasica e siamo ormai alla fine della val di Mello. Abbiamo fatto solo 500 m di dislivello in 7 km e non vediamo l’ora che il sentiero si impenni un po’, in modo da avere una buona scusa per smettere di correre. Il bivacco Kima da qui è indicato a 7 ore di cammino, forse un po’ eccessivo anche per i tempi CAI… ci ho messo 7 ore a fare tutto il giro, comprese le ricerche di Lucia!
Ci inoltriamo nel bosco dove incontriamo due signori in cerca della val Torrone: con una certa convinzione li rimando indietro, per poi ricordarmi – troppo tardi – che per la selvaggia val Torrone si segue per un tratto lo stesso nostro sentiero e si prende poi un sentierino secondario verso sinistra. Spero che non mi abbiano odiato troppo!
Fino alla casera di Pioda il sentiero è in ottime condizioni. Oltre la casera, ringraziamo solo che prima di noi siano passate delle mucche, altrimenti non vedremmo neanche la traccia nell’erba alta. La salita è ripida e faticosa, tra zolle di terra che si staccano, rigagnoli da attraversare, erbacce e arbusti che ci graffiano le gambe. Lucia è parecchio avanti, mi fermo un paio di volte per foto e spuntino e tanto basta per perderla completamente di vista.
Man mano che guadagno quota la valle si apre e, nonostante la nebbia, mi perdo nella contemplazione di questo ambiente unico, delle aspre pareti di granito che svettano tutto intorno, della solitudine e del silenzio interrotto solo dai fischi delle marmotte. Arrivo a un bivio: a destra si va per la Ponti (indicata da una scritta sulla pietra), a sinistra per il passo Cameraccio (non indicato, ma è qui che dobbiamo dirigerci). Ora, da che parte sarà andata Lucia? Provo a chiamarla, aspetto un po’, riprovo, ma niente.
Bon, la direzione giusta è a sinistra, ci sono i bolli e per di più l’erba è calpestata. Decido di andare a sinistra. (Se rifate il giro, naturalmente vi conviene prendere il sentiero per la Ponti che vi fa tagliare un po’ di strada rispetto alla mia variante).
Non è stata Lucia a calpestare l’erba lungo il mio percorso e me ne rendo conto quando mi trovo muso a muso con una mucca, sbucata come un fantasma dalla nebbia che ormai pervade completamente la valle. Il nebbione non è anomalo da queste parti, è anzi una costante e rappresenta il primo fattore di rischio sul sentiero Roma.
I bolli e gli ometti qua e là si perdono, o quantomeno io li perdo di vista, ma riesco sempre a individuarne uno in lontananza per capire almeno indicativamente in che direzione muovermi. Un po’ per volta i pascoli cedono il posto alla pietraia: ormai non deve mancare molto al sentiero Roma, intorno ai 2500 m di quota.
Intercetto l’alta via e mi trovo davanti le indicazioni per il bivacco Kima, verso destra. Per il passo Cameraccio bisognerebbe prendere il sentiero Roma verso sinistra, ma so per certo che Lucia non ci sarebbe andata senza aspettarmi. La mia speranza è di trovarla al bivacco Kima e, a quel punto, mi viene l’idea di proseguire poi insieme verso la bocchetta Roma e il rifugio Ponti.
Al bivacco incontro diverse persone che stanno provando il giro del Kima, ma nessuna traccia di Lucia. Che fare? Rimanere qui è inutile, perché è evidente che ormai ci siamo mancate: al bivio deve avere preso l’altro sentiero, che non ho idea di dove porti (porta direttamente al bivacco Kima, come mi spiegherà poi Lucia). Se è scesa a cercarmi, con il ritmo che tiene in discesa difficilmente potrei raggiungerla. Senza contare che piuttosto che tornare da dove sono salita preferirei fare tutto il sentiero Roma fino alla Omio!
Lascio detto a tutti quelli che incontro di riferire a Lucia, nel caso la vedano, che sto bene e che ci rivedremo alla macchina. Non sono troppo preoccupata, Lucia in montagna si muove meglio degli stambecchi! Spero per lei che possa ancora unirsi a qualcuno per provare il passo Cameraccio, uno dei punti più tosti della gara. Da parte mia, so che il modo più veloce per tornare a Filorera è superare la bocchetta Roma, che ogni tanto si intravede tra le nuvole, e scendere al rifugio Ponti. Si tratta del rifugio più vicino e, avendo perso la socia, preferisco tornare il prima possibile nella civiltà e recuperare l’uso del telefono.
Nel 2020 aveva nevicato parecchio e, quando nel mese di luglio provai il giro del Kima, la neve arrivava praticamente all’altezza delle catene più basse: ricordo che appena scesa dalla bocchetta calzai i ramponcini e mi incamminai – con attenzione, ma senza grandi problemi – seguendo le tracce di chi ci aveva preceduto sul nevaio. Oggi scopro che la parte più brutta della bocchetta Roma è quella che allora era coperta dalla neve: un pendio ripido e scosceso con sassi di ogni dimensione che si muovono a ogni passo. Con delicatezza, cercando di non provocare frane, raggiungo le prime catene e da qui è tutto facile: questo tratto è molto più simpatico percorso in salita!
Scollino e mi trovo nell’enorme pietraia dell’alta valle di Predarossa. La bocchetta si trova a poco meno di 2900 m e l’ambiente, anche qui, è severo. Bisogna fare attenzione a non perdere di vista i bolli, che rimangono sempre alti poco sotto le creste. Il telefono risorge (tipo per mezzo minuto) e mi arrivano dei messaggi, tra cui una chiamata persa di Lucia. Provo a richiamarla ma ora è lei ad avere il telefono spento. Niente, scendo alla Ponti e chiedo consiglio a Eleonora, l’esperta rifugista. Secondo lei la cosa più probabile è che Lucia sia scesa a cercarmi e sia rimasta in mezzo alla val di Mello, dove non c’è campo. Rassicurata, continuo la discesa, ora su facile sentiero, e mi trovo nella bucolica valle di Predarossa.
Seguo il corso del torrente e raggiungo il parcheggio, da dove mi limito a seguire la lunga, noiosa ma rassicurante strada asfaltata in discesa. Nella parte alta ci sono dei tagli su sentiero, che evito perché ho le gambe distrutte e preferisco una corsa tranquilla senza colpi, mentre nella parte più bassa il sentiero è fuori uso da anni e bisogna per forza seguire la strada. Ogni pochi minuti provo a far partire una chiamata e finalmente il telefono di Lucia prende: sta scendendo da San Martino, per fortuna sana e salva! Percorro per inerzia gli ultimi chilometri di strada e finalmente la raggiungo, con le gambe a mollo nella pozza accanto a cui abbiamo parcheggiato.
La sua mattinata è andata così: al bivio ha preso il sentiero per la Ponti, senza vedere che ce n’era un altro; il suo sentiero portava direttamente al bivacco Kima, che quindi ha raggiunto molto prima di me; non vedendomi arrivare, è scesa a cercarmi; tornata senza successo in val di Mello, ha pensato di salire all’Allievi (si è presa pure un paio di coroncine Strava lungo la salita) per vedere se fossi finita lì; all’Allievi non c’ero e non ha incontrato nessuna delle persone a cui avevo affidato messaggi, per cui è scesa di nuovo e si è rimessa in marcia verso Filorera. Tutto è bene quello che finisce bene, ma sempre occhio alla nebbia e ai bivi in alta montagna!