La Val Bregaglia, che ho scoperto qualche anno fa in occasione di una delle mie prime gare, il Val Bregaglia Trail appunto, è un posto fantastico, che si presta naturalmente al trail running: al confine tra Italia e Svizzera, circondata da cime maestose, questa valle è percorsa da una pista ciclabile che segue il corso del fiume Mera e offre, su entrambi i versanti, una rete di sentieri, mulattiere e strade carrozzabili che collegano alpeggi, crotti e paesini caratteristici, con boschi freschi anche a bassa quota e fontane praticamente ogni chilometro.
La partenza è da Chiavenna. Arrivando in auto, ho parcheggiato nel quartiere San Mamete, prima di entrare in città e subito prima del ponte sul fiume Liro; dato che si attraversa il centro di Chiavenna, però, si può fare lo stesso giro arrivando in treno e partendo dalla stazione. Ho percorso un paio di chilometri seguendo via Alessandro Volta prima di arrivare in centro e, seguendo le indicazioni per la stazione, svoltare a destra per attraversare il fiume Mera.
Dopo il ponte, si svolta a sinistra e si segue il corso del fiume lungo la ciclovia della Val Bregaglia, passando ai piedi del parco Marmitte dei Giganti, dove si può ammirare il fenomeno geologico di enormi rocce scavate dall’azione millenaria dei ghiacciai, e per invitanti crotti che al mio passaggio stavano giusto aprendo per pranzo! Di crotti se ne incontreranno a dozzine lungo tutto il percorso, per cui conviene spiegare che cosa siano: tipici di Chiavenna, che sorge su una enorme e antichissima frana, i crotti sono cavità naturali formatesi tra i massi rotolati giù dalla montagna, dove spira un venticello a temperatura costante per tutto l’anno, ideale per la conservazione di prodotti tipici quali vino, salumi e formaggi. Intorno ai crotti sono poi nati punti di ritrovo, ristorantini e così via.
Superati gli invitanti crotti di Chiavenna, si prosegue sempre seguendo la pista ciclabile, tendenzialmente bene indicata, ora su una sponda, ora sull’altra, ma sempre lungo il corso del fiume. Si noteranno le indicazioni del Val Bregaglia Trail in senso opposto al nostro: la ciclabile è infatti il tratto finale della gara, che porta a Chiavenna. Sulla sinistra, di là dal fiume, si cominceranno a vedere anche le cascate dell’Acquafraggia. Il campanile che svetta sopra le cascate è quello di Savogno, da cui si passerà sulla via del ritorno.
Anche se è mezzogiorno e sono a fondovalle, il torrente e il bosco rendono la corsa fresca e piacevole. I punti acqua, inoltre, non mancano, tanto che mi viene da pensare che questo giro si possa fare anche senza borracce. Uscendo dal bosco ci troveremo a una fontana e vedremo le indicazioni per la Traversata dei Monti (altro giro in programma!). Qui bisogna ignorare i cartelli e proseguire dritto sul fondovalle, lungo la ciclovia che comincia ora a presentare qualche salitella – in tutto sono circa 300 metri di dislivello sui primi 10 km.
Si supera Piuro e si continua a correre in leggera salita lungo questa bellissima ciclovia, con le cime innevate della Svizzera sullo sfondo. Si arriva infine in prossimità di Villa di Chiavenna: chi volesse accorciare il giro può semplicemente seguire le indicazioni fino in paese. Io invece, svoltando tutto a destra, ho preso la scalinata in salita per Canete.
Finalmente la pendenza aumenta e mi permette di camminare senza sensi di colpa! Supero il piccolo alpeggio di Canete (726 m) e continuo a salire in direzione Laghetti, prima su strada e poi prendendo il ripido sentiero a scalini che taglia i tornanti. Si tiene la sinistra dove il sentiero spiana, sempre continuando a seguire le indicazioni per Laghetti fino a un nuovo bivio: abbandono qui la direzione Laghetti e seguo per Bondeia.
Ci aspetta adesso un bel tratto più o meno pianeggiante, che porta a un’ampia radura con poche baite e una splendida vista sulle montagne innevate.
Superato questo punto, si segue la strada carrozzabile verso sinistra e comincia una lunga discesa, piuttosto veloce, che in breve riporta a fondovalle. Si attraversa il fiume Mera e si prosegue in leggera discesa lungo la ciclabile, fino alla diga di Villa di Chiavenna.
Si costeggia tutto il lago e, una volta in paese, si abbandona la strada principale per prendere verso destra via Badarello, la stradina che si inoltra tra le case in leggera salita.
Seguo ora, senza possibilità d’errore, le indicazioni per Savogno lungo il percorso del Val Bregaglia Trail. Superati i Crotti Motta, continuo in salita lungo la strada che diventa ora sterrata e in leggera salita. Trovo chiuso il sentiero per Savogno, ma la via alternativa è indicata con encomiabile precisione e con tanto di mappa!
Proseguo dunque in discesa lungo la strada, sempre seguendo le indicazioni per Savogno, che mi portano a prendere una carrozzabile a tornanti lungo la quale riprendo a salire. Questa strada è davvero noiosa e antipatica, unico punto di tutto il giro in cui ho sofferto il caldo. In compenso, la vista sulle montagne – che non riconosco – è impagabile!
Si torna infine a ricongiungersi con il percorso originale per Savogno, che è anche il percorso del Val Bregaglia Trail. Proseguo lungo la strada fino a trovare (finalmente!) un sentiero che scende verso sinistra in direzione Savogno.
Dopo tre chilometri di carrozzabile tutta uguale, non mi sembra vero di correre su un bel sentierino nel bosco! Ben presto arrivo a Savogno (932 m), paesino pittoresco e piuttosto frequentato per l’omonimo rifugio, facilmente raggiungibile da Chiavenna.
Si attraversa tutto il paese e, superato il rifugio, si prende la mulattiera in discesa verso sinistra in direzione Borgonuovo, Crana, Chiavenna. Questo è l’unico punto che ho trovato affollato, ma niente paura: dopo un mezzo chilometro di discesa a zigzag tra ingorghi di escursionisti con evidenti problemi di udito, che fanno un po’ rimpiangere la zona rossa, ho preso il più tranquillo sentiero a destra seguendo le indicazioni della gara.
Sempre in discesa si arriva a un ponticello: attraverso il torrente e proseguo in leggera salita fino a Crana, un altro borgo grazioso e curatissimo.
Superato il paese, si continua in discesa sempre seguendo la segnaletica permanente del Val Bregaglia Trail fino a Località Sasso (485 m). Qui abbandono il percorso di gara e seguo le indicazioni per Sentiero Panoramico, San Carlo – Loreto, Chiavenna. Comincia l’ultima salita del giro, circa 200 m di dislivello tra Sasso e Pianazzola.
Compaiono infine le indicazioni per Pianazzola, molto chiare e semplici da seguire. Scendo a dare un’occhiata anche a questo paesino, poi risalgo sulla strada che passa appena sopra.
Si prosegue ora in discesa su asfalto fino al primo tornante, in corrispondenza di un masso, dove si abbandona la strada per continuare dritto e andare a prendere il sentiero in discesa in direzione Crotti di Bette.
Sempre in discesa arrivo a Bette e, da qui, seguo in leggera discesa la strada che riporta a Chiavenna. Prendo via della Violina verso destra e la seguo fino a incrociare via Volta, la via dell’andata. A questo punto mi basta tornare sui miei passi per poche centinaia di metri e mi ritrovo al parcheggio.
Vi propongo un altro bel giretto, adatto a tutte le stagioni, in bassa Valtellina e più in particolare sulla Costiera dei Cèch – una splendida terrazza naturale baciata dal sole e affacciata su Morbegno. Il percorso si svolge su strade, strade bianche e sentieri facili, passando per caratteristici borghi, vigneti, chiesette. Si incontrano fontane con acqua freschissima in ogni paesino e lungo i sentieri, per cui, pur rimanendo sempre a bassa quota, questo giro si può fare anche in piena estate.
La partenza è da Morbegno: si può parcheggiare a qualunque altezza di via Merizzi, seguendo le indicazioni per sosta camper, fino al ponte romano che attraverseremo a piedi. Di là dall’Adda, si segue la strada in salita e subito si prende la ripida mulattiera, indicata dal segnavia bianco-rosso, che taglia i tornanti. La partenza è durissima: si guadagnano subito 200 m di dislivello e si arriva a Santa Croce.
Si svolta a sinistra e si può finalmente tirare il fiato seguendo la strada in leggera salita, poi si prende verso sinistra in discesa.
Seguiamo brevemente questa mulattiera, poi, subito prima di una chiesetta, prendiamo il sentiero che scende nel bosco e che ci riporta a fondovalle. Proseguiamo lungo la strada principale e arriviamo a Traona: alla rotonda si svolta a destra e ricomincia la salita. Seguiamo inizialmente le indicazioni per Sant’Alessandro, una bella chiesa seicentesca che si affaccia sulla valle.
Dopo avere dato un’occhiata alla chiesa, ho preso la scalinata e continuato a salire, ora su mulattiera, in direzione Pianezzo e Bioggio.
Superato il piccolo borgo di Pianezzo, si prosegue lungo la mulattiera, la cui pendenza ora diminuisce, fino a incrociare la strada a tornanti che sale verso Cercino. Si prende questa strada in salita e si raggiunge la chiesa Madonna della Pietà.
Poco dopo la chiesa si incontrano sulla destra dei sentieri, ma bisogna qui proseguire dritto lungo la strada e superare un tornante sulla destra. A questo punto troveremo a sinistra la mulattiera indicata come “percorso didattico”, estremamente noiosa ma facile da seguire. Senza possibilità d’errore guadagniamo altri 200 m di dislivello e arriviamo a Bioggio.
La strada finalmente spiana un po’. Superiamo le case e arriviamo alla chiesetta di Santa Maria, dove si prende la mulattiera in discesa verso destra.
Seguiamo ora le indicazioni per Prati di Bioggio, sempre su mulattiera facile e corribile, e continuiamo a perdere quota mentre tra i castagni si comincia a intravedere un campanile. Arriviamo così alla più bella – a mio giudizio – delle tante chiese che si incontrano in questo giro, la quattrocentesca San Giovanni di Bioggio. Fermatevi cinque minuti e giratele intorno: la vista spazia dal Legnone a tutto l’arco orobico alla Costiera dei Cech fino alla Colmen, dove tra poco ci dirigeremo anche noi.
Si prosegue sempre in discesa fino a Mello e, da qui, si riprende a salire leggermente in direzione di Civo, il paesino successivo sulla Costiera dei Cèch.
Senza entrare in paese, a Civo si prosegue dritto in leggera salita lungo una stradina che ben presto diventa sterrata. Si supera una chiesetta e una fontana, poi finalmente comincia la discesa. Al bivio si continua a scendere verso destra, seguendo le indicazioni in legno illeggibili ma decorate con fiorellini rosa! Raggiunta la strada per Dazio, la seguiamo per un breve tratto e imbocchiamo poi il sentiero verso destra: non quello per Cerido, ma il Percorso Anna.
Una volta a Dazio, basta seguire le indicazioni per Culmine di Dazio, svoltando a destra in via alla Pergola. Si prosegue ancora in leggera discesa, fino a incontrare il sentiero per la Colmen, che imbocchiamo verso sinistra.
Si segue ora il percorso di gara del Colmen Trail, quest’anno in programma il 9 maggio. Io l’ho trovato già balisato, ma anche lontano dalla gara è indicato in modo permanente da cartelli blu. Si gira per un tratto intorno alla Colmen, o Culmine di Dazio, per poi attaccarne la cima con una salita sempre più ripida. Con i suoi 916 m, la Colmen offre un bel terreno di allenamento, ma anche una fantastica area picnic con tanto di rifugio e vista sulle Orobie.
Sempre seguendo i cartelli blu (e nel mio caso le balise gialle) si attraversa l’ampia cima pianeggiante della Colmen.
Si scende ora nel bosco, seguendo sempre il percorso permanente del Colmen Trail lungo la cresta ovest.
Il sentiero in discesa è piuttosto facile, salvo qualche tratto roccioso e un po’ ripido che è però attrezzato con catene e non presenta comunque particolari difficoltà. Arriviamo a incrociare una strada carrozzabile: qui abbandoniamo il percorso di gara, che riprenderemo più avanti, e proseguiamo dritto lungo il sentiero in discesa nel bosco fino a raggiungere un’altra graziosa chiesetta.
Se sulla Colmen non ci sono fontane, qui ne troveremo una freschissima. Si svolta poi a destra seguendo la mulattiera che ci porterà a una strada asfaltata. Si imbocca la strada verso sinistra ma la si abbandona subito per prendere la mulattiera in leggera salita per Cerido sulla destra. Questa è davvero l’ultima salitella: si riprende a scendere su sentiero, ritrovando anche i cartelli blu del Colmen Trail.
Proseguiamo verso San Bello e, da qui, non dovremo fare altro che riprendere in senso contrario la ripida mulattiera che abbiamo fatto all’andata e ripercorrere i nostri passi fino a raggiungere il parcheggio.
Una bella corsa, quasi tutta su sentiero, con quattro salitone, tre discesone e lunghi tratti corribili. Percorso ad anello: Ardenno – Desco – Civo – Dazio – Colmen (916 m) – Ardenno. Allenamento top, adatto a tutte le stagioni e a tutti i runner!
La Colmen, ufficialmente chiamata Culmine di Dazio, è un buffo rilievo aspro e roccioso che si erge in mezzo alla piana di Ardenno, dandosi arie da gran montagna senza arrivare a mille metri d’altezza e intralciando come di proposito il traffico tra la bassa e l’alta Valtellina. Se il traffico l’ha avuta vinta con il recente tunnel che passa proprio lì sotto, la Colmen rimane saldamente piantata in mezzo alla valle e, per noi trail runner, è un fantastico parco giochi di salite e discese!
Chi non conosce, d’altra parte, il Colmen Trail, che tutti gli anni attira alcuni degli atleti più forti d’Italia? Il percorso di gara è segnato in modo permanente con cartelli blu facilmente riconoscibili. L’anello che vi propongo oggi, dopo averlo provato nel weekend con Ugo, è un po’ più lungo e gira per lo più in senso opposto rispetto alla gara. La partenza è dal parcheggio della stazione di Ardenno, di fianco alla statale, dove si trova sempre posto. La Colmen si staglia inconfondibile davanti a noi: arrivando da Milano, l’abbiamo superata con l’ultima galleria.
Attraversiamo la statale e la ferrovia utilizzando il sottopasso, poi svoltiamo a destra e seguiamo la strada che corre parallela ai binari del treno. Ben presto incontreremo il Sentiero Valtellina, che seguiremo per un breve tratto, attraversando il torrente Masino poco prima che sfoci nell’Adda.
Seguiamo ora la strada che piega a sinistra e, al bivio, svoltiamo ancora a sinistra imboccando il sentierino verso Desco. Si prosegue in falsopiano, alti sopra il fiume Adda, per circa un chilometro. Una volta a Desco, si rimane sulla strada in salita proseguendo verso destra e, all’altezza del tornante, si seguono le indicazioni per Dazio. Dopo pochi metri, però, bisogna abbandonare il sentiero principale, in salita, per prendere quello un po’ nascosto, in discesa, che svolta a sinistra. Fate attenzione a non perdervi il bivio!
Questo tratto in discesa ci permette di tirare un po’ il fiato e ci riporta su una strada asfaltata, da seguire per un poco fino a trovare, sulla destra, un nuovo sentiero, anche questo non proprio facile da individuare.
Comincia adesso una salita breve ma intensa, che ci fa guadagnare circa duecento metri in mezzo chilometro, inerpicandosi su per la Colmen.
Altro punto in cui prestare attenzione, nel corso della salita, è quello in cui si incontra una rete: il sentiero prosegue verso sinistra subito dietro.
Alla salita segue una divertente discesa: le indicazioni da seguire sono quelle per Torchi Bianchi e Campovico, sempre girando in senso opposto al Colmen Trail.
Un ultimo tratto di discesa, sfruttando il sentiero che taglia i tornanti della strada, ci porta a un cavalcavia che passa sotto la superstrada. Non abbiate paura a seguire la strada sotto il ponte: c’è il marciapiede. Si attraversa poi la strada per andare a prendere il sentiero sterrato che prosegue dritto dall’altra parte, si supera un torrentello e subito dopo si svolta a destra.
Adesso diventa tutto più semplice, perché basta dirigersi verso il campanile che svetta di fronte a noi. Arrivati alla chiesetta, si prosegue in salita lungo la stradina a tornanti che in un chilometro abbondante porta a Cermeledo – in alternativa si può utilizzare il sentiero, ma sulla strada tra la chiesa e la fontana c’è un segmento Strava su cui, per i vanitosi, vale la pena mettersi alla prova. Da Cermeledo ci dirigiamo ora verso Cerido prendendo la strada asfaltata verso sinistra.
All’incrocio prendiamo la strada che svolta a destra seguendo i cartelli gialli dell’antico Torchio, a cui pure non arriveremo, perché al bivio successivo prenderemo il sentiero a sinistra seguendo le indicazioni del Colmen Trail. Questa volta siamo nella stessa direzione della gara, anche se per poco! Giunti alla strada, abbandoniamo il percorso di gara e svoltiamo a destra, in direzione di Civo.
A destra della strada si stacca un sentiero, indicato più avanti da graziosi cartelli in legno: seguiamo prima il sentiero San Biagio, poi il sentiero del Sole. Comincia qui la terza salita, semplice e gradevole, con una pendenza mai eccessiva che permette quasi sempre di corricchiare. Lungo tutta la salita si incontrano delle belle cappellette con affreschi dall’aria antica.
Una volta a Civo, si prosegue dritto lungo la strada fino a trovarsi sulla destra un parcheggio. Lo si attraversa e si prosegue sempre dritto, in leggera salita, fino al bivio che vedete nella foto qui sotto:
Comincia ora una facile e divertente discesa, che ci consente di recuperare prima dell’attacco finale alla Colmen. Fino adesso le abbiamo girato intorno, ora è il momento di conquistarla! Raggiunta la strada per Dazio, la seguiamo per un breve tratto e imbocchiamo poi il sentiero verso destra: non quello per Cerido, ma il Percorso Anna.
Una volta a Dazio, basta seguire le indicazioni per Culmine di Dazio, svoltando a destra in via alla Pergola. Si prosegue ancora in leggera discesa, fino a incontrare il sentiero per la Colmen, che imbocchiamo verso sinistra.
Attacchiamo l’ultima salita, a tratti piuttosto ripida, che ci porterà in vetta. Dobbiamo coprire ancora poco meno di quattrocento metri di dislivello, prima della lunga discesa finale per Ardenno! Quasi subito incontreremo un bivio, dove le indicazioni del Colmen Trail mandano a sinistra: noi dobbiamo invece tenere la destra e continuare a salire ininterrottamente fino alla sommità di questa simpatica montagnetta, che forse adesso così simpatica non sembra più.
Raggiungiamo una pozza d’acqua e qui le nostre fatiche sono quasi finite: il sentiero spiana, la salita ancora davanti a noi è pochissima. Si prosegue lungo il sentiero e ben presto si raggiunge la “vetta”, che poi è un ampio prato con tanto di rifugio, tavoli da picnic e una bella vista sulle Orobie.
Scendiamo dalla parte opposta, seguendo le indicazioni per Desco sempre in senso opposto rispetto al percorso di gara. La nostra discesa finale è la salitona del Colmen Trail – e ai più competitivi suggerisco di farla tutta d’un fiato, senza fermarsi per le foto, se vogliono giocarsi una coppetta su Strava.
Le roccette cedono il posto a un ripido bosco mentre perdiamo velocemente quota. Ardenno non è mai indicata, anche se è proprio di fronte a noi. Seguiamo i cartelli per Pilasco e arriviamo infine a una mulattiera, lungo la quale proseguiamo la discesa fino a sbucare in paese.
Riattraversiamo il torrente Masino, passiamo tra un gruppo di graziose casette in pietra e, con l’aiuto della traccia gpx, torniamo ben presto al punto di partenza.
Un percorso vario, facile ma allenante, con una decina di chilometri completamente in piano lungo il Sentiero Valtellina e poi due salite belle toste: da Colico a Pianted0 e da qui a Osiccio in val Lesina.
Se c’è una cosa che ho imparato dalle recenti esplorazioni in Valtellina, è che in inverno conviene volare basso. La neve è ancora tanta, in alcune valli il sole non arriva a sciogliere il ghiaccio fino a primavera inoltrata e sentieri che sulla carta sembrano facili possono presentare difficoltà impreviste.
Come dice Louis Oreiller (“Il pastore di stambecchi”, Ponte alle Grazie 2018), la montagna è così gentile da lanciare due o tre avvertimenti prima di fare male sul serio. Sta all’intelligenza di ciascuno saperli cogliere. Nel mio caso, ho capito che finché le temperature non si alzano significativamente mi conviene rimanere sotto quota 1000.
La sfida è diventata allora quella di trovare percorsi a saliscendi, per realizzare dislivello senza superare la soglia critica dei mille metri. Questo giro ad anello da Delebio è ideale: comincia con una decina di chilometri in piano, seguendo il sentiero Valtellina lungo il corso dell’Adda fino a Colico; risale poi in direzione del monte Legnone, con una salita davvero cattiva, + 700 m in un colpo solo; scende verso Piantedo, dove con sorpresa ho incrociato un tratto per me inedito del sentiero del Viandante; risale poi in Val Lesina verso Osiccio, da dove passa la GVO (Gran Via delle Orobie) e da qui scende infine a Delebio dalla ripida strada agro-silvo-pastorale Val Lesina.
Il punto di partenza è la Latteria Sociale Valtellina, ottima non solo come parcheggio ma anche come punto ristoro a fine corsa. Da qui si parte verso il centro di Delebio, proseguendo lungo viale Stelvio per meno di 1 km: alla seconda rotonda si svolta a destra, si passa prima sotto alla ferrovia, poi sotto alla superstrada, e si imbocca infine il Sentiero Valtellina in direzione Colico.
Personalmente ho trovato questo tratto, di circa 8 km, tra i più belli che abbia percorso sul Sentiero Valtellina: a destra il fiume Adda, a sinistra campi deserti se non per qualche airone solitario, sullo sfondo il Legnone innevato. Legnone che rimarrà una presenza costante per tutta la prima metà del giro.
Superiamo un ranch e la strada diventa sterrata, inoltrandosi nel bosco. A Colico mancano un paio di chilometri, come si apprende anche dalla chiara segnaletica del Sentiero Valtellina. L’Adda sfocia nel lago di Como e il percorso si fa sempre più panoramico, con spiagge incastonate tra le montagne e un ambiente che ricorda i fiordi norvegesi.
A una svolta del sentiero ci ritroviamo il Legnone di fronte, che spettacolo!
Si prosegue fino a Colico e da qui le indicazioni si fanno più confuse. Ho seguito per un tratto il percorso dei torrenti, dove purtroppo le indicazioni si perdono nel nulla, risalendo poi lungo via Chiaro da cui parte la strada carrozzabile per Fontanedo.
La strada da Chiaro comincia a inerpicarsi e la pendenza aumenta sempre di più. Incontriamo qualche cartello arancione del Sentiero del Viandante, ma le indicazioni da seguire sono quelle dell’anello di Fontanedo – fino appunto a Fontanedo – e il sentiero 1B per Monti Rusico, Alpe Scoggione, Monte Legnone.
Da Fontanedo la strada carrozzabile diventa sempre più sconnessa, fino a trasformarsi in ripido sentiero. A Monti Rusico (743 m) si può tirare brevemente il fiato lungo un tratto di carrozzabile, ma subito si ricomincia a salire lungo il sentiero 1B verso l’Alpe Scoggione e il Monte Legnone.
La salita ci porta oltre quota 900 m e il panorama si apre meravigliosamente su Colico e il lago di Como.
Si continua a guadagnare quota fino a incontrare le indicazioni per Piantedo: qui si abbandona il sentiero per il Legnone, dove ho tutte le intenzioni di tornare in estate, e si comincia la discesa.
Il sentiero è segnato, ma decisamente poco frequentato: mi ritrovo a navigare in un mare di foglie secche in compagnia di timidi cerbiatti, con i bolli bianchi e rossi sugli alberi come unico riferimento quando il sentiero proprio non si vede. Si procede lentamente, ma dopo appena un chilometro si arriva alla strada carrozzabile, che rende il resto della discesa molto più rapido. Si arriva infine a incrociare – e per me è stata una piacevolissima sorpresa – un tratto del Sentiero del Viandante di cui ignoravo l’esistenza, quello che collega Piantedo a Delebio.
Seguiamo i cartelli arancione del Viandante fino a incontrare un torrentello: qui si abbandona il sentiero principale, si attraversa il torrente e si prosegue in salita lungo un sentiero poco battuto e non bollato. Si attraversa un altro torrente, che dalla mappa sembrerebbe essere il torrente Tavani, in corrispondenza di un grosso albero caduto.
Un ultimo tratto di sdrucciolevole sentiero in salita permette di guadagnare la strada carrozzabile, lunga e noiosa, che va seguita da qui in poi fino a Osiccio, passando per il panoramico Dosso della Mida.
Superata una piazzola per l’elisoccorso, possiamo considerare finita la salita: prendiamo la ripidissima mulattiera in discesa per Osiccio, da dove passa un’altra via che ho intenzione di esplorare in estate, la Gran Via delle Orobie o GVO. Senza entrare nell’abitato, si svolta a destra e si prosegue in discesa, senza possibilità d’errore, fino a Delebio. La mulattiera è terribilmente ripida e sconnessa, per cui non si riesce a correre veloce; si arriva tuttavia in fretta al paese, dove si ritrovano le indicazioni del Viandante. Da qui basta seguire il corso del torrente Lesina per arrivare al punto di partenza.
Un percorso fantastico, facile e corribile, lungo le antiche gallerie del Tracciolino con lo sfondo del lago di Mezzola, della val Codera, del Legnone e poi della meravigliosa valle dei Ratti.
Il Tracciolino è sempre una buona idea! Soprattutto in inverno, quando si cerca un percorso facile e sicuro senza per questo rinunciare a uno sfondo di cime innevate e paesaggi mozzafiato.
La partenza di questo giro, che coincide in buona parte con il percorso del Tracciolino Trail, è da Verceia, sul lago di Mezzola. Arrivando dalla SS36, si parcheggia dopo il ponte e poco prima del tunnel, all’imbocco di via San Francesco. Questo parcheggino, dove al mattino si trova posto senza problemi, sembra fatto apposta per noi, trovandosi accanto al sottopasso che ci permette di attraversare la statale portandoci sul lungolago.
Seguiamo il lungolago per circa 4 km fino a Novate Mezzola. Abbandoniamo qui la pista ciclo-pedonale (e la pianura) e ci inoltriamo su per il paese seguendo le indicazioni per la Val Codera. Dopo poco più di un chilometro la strada finisce e comincia, sulla sinistra, la ripida e panoramica scalinata che porta verso Codera.
Si guadagnano d’un fiato 500 metri di quota, mentre la vista si apre via via sul lago di Mezzola, alle nostre spalle, e sulla bellissima val Codera, di fronte a noi. Del sole, per ora, non c’è traccia, e io e super Tony battiamo i denti nonostante la salita con pendenza del 30-40%.
Arrivati al mini borgo di Avedè (790 m) tutti i disagi svaniscono come per magia: il sentiero spiana e il sole finalmente si fa vedere!
Adesso sì che si ragiona: con le gambette calde e lo spettacolo delle vette innevate che si stagliano contro il cielo blu riprendiamo a correre, superando una galleria piuttosto umida e raggiungendo infine Codera (825 m).
Attraversiamo il paese e sulla destra troviamo subito le indicazioni che ci interessano, quelle per il Tracciolino.
Seguiamo i cartelli, davvero senza nessuna possibilità di errore, in discesa fino al ponte che attraversa il torrente Codera e poi in leggera salita fino al Tracciolino. Il sentiero è facile e ci permette di guardarci intorno: di fronte abbiamo sua maestà il Legnone, mentre alle nostre spalle si aprono scorci molto belli su Codera.
Raggiunto il Tracciolino, ci aspettano 8-9 km di corsa completamente in piano. Tratti al sole si alternano a gelidi tratti in ombra, con colate di ghiaccio qua e là. Abbiamo portato i ramponcini, ma per il momento non sono necessari: i punti esposti sono tutti ben protetti.
All’altezza di San Giorgio, notiamo che il percorso della gara scende fino al paesino, per tornare a riprendere il sentiero principale un paio di chilometri dopo. Noi ci risparmiamo la fatica e proseguiamo in piano, riservandoci di ammirare San Giorgio dall’alto un po’ più avanti.
Le gallerie da qui in poi richiedono l’uso della frontale, soprattutto l’ultima che è lunga ben 360 metri.
Alla fine di quest’ultimo tunnel si svolta a sinistra e si prosegue ancora per un paio di chilometri lungo i binari, fino a incontrare la strada che scende a Verceia e il sentiero che sale verso Frasnedo.
Ci aspetta l’ultima salita, circa 400 m di dislivello che guadagniamo senza troppa fatica lungo un bel sentiero panoramico. Qui peraltro troviamo diverse fontane, tutte aperte anche in pieno inverno. La val dei Ratti si spalanca ora in tutto il suo splendore e, superati i 1000 m di quota, cominciamo a calpestare chiazze di neve.
A Frasnedo, che con i suoi 1287 m è il punto più alto del giro, la neve è tanta, ma ammorbidita dal sole: anche qui i ramponcini rimangono al loro posto nello zainetto.
Superiamo il paesino e, poco oltre, il rifugio Frasnedo, proseguendo in piano e poi in leggera discesa lungo l’ampio sentiero innevato che si inoltra nella val dei Ratti.
Troviamo sulla destra le indicazioni per Verceia e cominciamo a scendere verso il torrente che si sente già scrosciare a fondovalle. E finalmente arriva il momento di dare un senso ai ramponcini che ci siamo portati fin qua: il sentiero è tutto in ombra e la neve è ghiacciata, per cui un po’ di grip non guasta.
Attraversiamo il torrente e proseguiamo sull’altra sponda. Ancora qualche centinaio di metri e il sole torna a riscaldarci! La discesa adesso è semplice e rilassante.
Arriviamo in località Casten, attraversiamo la diga e torniamo sui binari del Tracciolino, che seguiamo fino a raggiungere la strada già incrociata prima.
Affrontiamo ora l’ultima discesa fino a Verceia, seguendo il sentiero, facile e bene indicato, che taglia i tornanti della strada.
In circa 3 km siamo al parcheggio, pronti per la meritata birretta in riva al lago!
Un giro semplice e appagante che comincia a Forcola lungo l’Adda, seguendo il sentiero Valtellina (7 km), per poi inerpicarsi a Berbenno fino a raggiungere la via dei terrazzamenti. Si segue questo sentiero super panoramico passando per i borghi di Regoledo, Maroggia, Buglio in Monte, Gaggio. Si scende poi verso Ardenno e si riprende per un breve tratto il sentiero Valtellina per tornare a Forcola.
Avete presente quelle domeniche di gennaio, quando il cielo azzurro, l’aria frizzante e il tepore di un pallido sole invernale attraggono inesorabilmente verso le montagne? Ecco, può darsi che in una di quelle domeniche il bollettino valanghe e i piedi piagati dagli scarponi ti facciano decidere, sia pure a malincuore, di tenerti alla larga dalla neve. Come soddisfare, allora, la voglia di natura, panorami affascinanti e aria pulita? Questo giro di corsa, facile e intuitivo, adatto a qualunque stagione, è un ottimo compromesso tra pianura e montagna, oltre che un buon allenamento di corsa collinare.
Si può partire da qualsiasi punto del percorso, ma consiglio di lasciare l’auto a Forcola – si trova facilmente posto lungo l’Adda all’altezza del ponte, angolo SP16 / via Roma. Da qui bisogna, a piedi, attraversare il ponte e prendere il sentiero Valtellina, facilmente riconoscibile, verso destra, in direzione Sondrio. Il sentiero Valtellina è una ciclovia che segue il corso dell’Adda e che non presenta alcuna difficoltà, salvo la neve ghiacciata che qui a valle permane ostinata da oltre un mese.
Si segue dunque il sentiero Valtellina per circa 7 km, da Forcola a Berbenno, ora su una, ora sull’altra sponda del fiume, con tratti di bosco che si alternano a spazi aperti, prati e campi dove la vista può spaziare fino alle montagne innevate della catena orobico-valtellinese.
Si abbandona il sentiero, riprendendo la strada, nel punto in cui si incontrano le indicazioni per la stazione di Berbenno: qui si utilizza il sottopasso per attraversare i binari, si percorre per un brevissimo tratto il provinciale in direzione Milano e, quasi subito, si incontrano le indicazioni per la via dei terrazzamenti. Seguiamo questi cartelli, numerosi e ben disposti, fino alla chiesa di Berbenno e su per il paese. Anche vari bolli di colore bianco-rosso aiutano a orientarsi.
Si guadagnano velocemente circa 200 metri di dislivello, prima di arrivare ai terrazzamenti veri e propri. La via dei terrazzamenti, che noi seguiremo solo per pochi chilometri, è in realtà un percorso molto più lungo che attraversa tutta la Valtellina da Morbegno a Tirano, passando per boschi, vigneti e piccoli borghi sapientemente costruiti sul versante solivo della montagna – troveremo qui un clima molto più mite rispetto al fondovalle.
Finalmente ci si addentra tra i vigneti e compaiono i primi cartelli gialli che, insieme ai soliti bolli bianco/rossi, andranno seguiti da qui in poi in direzione Buglio in Monte e Gaggio. La segnaletica è ottima, ma conviene comunque avere la traccia gpx, perché in alcuni punti si incrociano altre strade e sentieri e l’orientamento può risultare difficile. Il primo paese che attraversiamo è Regoledo, dove si trova tra l’altro una fontana; si prosegue passando dietro la chiesa e si continua poi tra i vigneti, con una vista magnifica che si apre a ogni svolta sulle montagne innevate.
Il sentiero, superato Regoledo, rimane pacificamente pianeggiante con qualche saliscendi, fino a raggiungere una bellissima terrazza panoramica.
A partire da qui, comincia l’unica salita veramente dura del giro, che per il resto risulta tutto “corribile”. Con un sentiero a scalini, di cui la foto non rende la ripidezza, si guadagnano d’un fiato circa 100 metri di dislivello.
Come tutte le salite, “poi spiana”! La pendenza diminuisce e il sentiero ci deposita sulla strada asfaltata che da Maroggia sale verso Monastero. La prendiamo verso sinistra, sempre seguendo i cartelli gialli che ci fanno tagliare i tornanti su sentiero o mulattiera, passando per la minuscola frazione di Piasci. Da qui, consiglio di barare un pochino e usare la strada asfaltata piuttosto che il sentiero, che scende tantissimo prima di risalire a Maroggia.
Anche in questo paesino troviamo una fontana: l’acqua da queste parti non manca davvero. Si continua poi in discesa sulla strada asfaltata, con un breve taglio su sentiero. Dopo il tornante, si abbandona la strada e si prende la mulattiera che attraversa il torrente e prosegue nel bosco. Attenzione, per i prossimi chilometri la segnaletica sarà meno chiara: al bivio, bisogna prendere il sentiero in leggera salita sulla destra, indicato da un bollo poco visibile oltre che da segni verde fluo rimasti forse da qualche gara. Si prosegue in leggera salita nel bosco fino a sbucare in questo punto:
Qui non ci sono indicazioni se non qualche bollo. Bisogna proseguire in direzione della casa, superarla e continuare in leggera discesa. Troveremo una fontana sulla destra e successivamente un nuovo bivio, dove di nuovo bisogna tenere la destra. Superiamo altre case e, all’altezza di una cappelletta, finalmente vedremo ricomparire i cartelli gialli della via dei terrazzamenti. Li seguiamo lungo la strada fino a Buglio in Monte, che dobbiamo attraversare senza mai perdere quota. Usciti dal centro, proseguiamo sempre in salita tenendo la destra a un bivio dove le indicazioni risultano un po’ nascoste e seguiamo la strada, che diventa mulattiera e poi sentiero.
Si prosegue ora senza possibilità di errore lungo questo sentiero, fino a quando i cartelli gialli conducono a una strada asfaltata molto panoramica che, a circa 700 metri di quota, rappresenta il punto più alto del nostro percorso.
Ci aspetta adesso la parte più divertente: una lunga discesa su strada e sentiero, indicata piuttosto bene dai soliti cartelli gialli.
Si attraversa il grazioso borgo di Gaggio e, sempre in discesa, si continua verso Ardenno, abbandonando ora la via dei terrazzamenti e proseguendo dritto per dritto verso le Orobie che si stagliano di fronte a noi. Alla stazione di Ardenno utilizziamo il sottopasso per attraversare binari e provinciale e ci dirigiamo, attraverso i campi, verso l’argine dell’Adda.
Si imbocca ora il sentiero Valtellina verso sinistra e, in un chilometro circa, si torna al punto di partenza.
Abbadia Lariana – Rongio – Lierna – Ortanella – chiesetta di San Pietro (990 m) – Perledo – Dervio – Dorio – Monte Perdonasco (602 m) – Monte Sparesee (604 m) – Posallo – Colico.
Del Sentiero del Viandante non ci si stanca mai! Questo bellissimo percorso, che collega Lecco alla Valtellina lungo una rete di sentieri, strade e mulattiere, passando per alcuni dei borghi più pittoreschi della regione, offre scorci stupendi sul lago di Como, percorsi semplici a bassa quota e un terreno ideale per il trail running. La logistica risulta molto semplice grazie alle numerose fontane e al collegamento ferroviario tra le diverse tappe.
Spesso sfrutto la prima parte del Viandante, da Abbadia Lariana a Rongio o Somana, come punto di partenza per giri ad anello sulle Grigne; nel 2018, dopo avere corso la prima metà a inizio primavera, con le cime innevate della Valtellina come sfondo, ho sperimentato la seconda parte, da Bellano a Colico, partecipando al Trail del Viandante – gara che purtroppo è stata poi cancellata, per ragioni indipendenti dall’emergenza sanitaria. Ho provato una volta un Viandante integrale, in versione invernale, seguendo tra Lierna e Varenna, dove il sentiero si sdoppia, la variante bassa (qui trovate descrizione e traccia gpx). Mi mancava solo la versione autunnale con variante alta e, lo scorso weekend, ho finalmente rimediato.
Con l’amico Meme, astro nascente della corsa in montagna, abbiamo parcheggiato poco prima delle 7,30 davanti alla stazione di Abbadia Lariana e per le 14,30, dopo 46 km e 2400 m di dislivello, siamo arrivati alla stazione di Colico, giusto in tempo per prendere il treno che ci ha riportato al punto di partenza. Il percorso è, come si può intuire dai nostri tempi, piuttosto veloce e corribile; per lunghi tratti è chiaramente segnalato da cartelli arancione, bolli dello stesso colore e adesivi con frecce giallo-blu, mentre vi sono punti in cui le indicazioni si perdono o non sono molto visibili, per cui sbagliare strada è quasi inevitabile: personalmente, non mi è mai capitato di passare dal Sentiero del Viandante senza almeno un errore di percorso!
In questo caso, abbiamo sbagliato in tre punti, di cui deve tenere conto chi decida di utilizzare la traccia gpx qui allegata: intorno al km 25, poco prima di Bellano, quando abbiamo preso la mulattiera in salita a destra anziché quella in discesa a sinistra (siamo dovuti tornare indietro, come si vede dalla traccia); al km 33, poco dopo Dervio, quando abbiamo preso il sentiero basso lungo il lago anziché rimanere alti (siamo riusciti a ricongiungerci al percorso poco più avanti, senza perdere troppo tempo); e al km 40, quando abbiamo proseguito per un breve tratto sulla carrozzabile anziché prendere il sentiero in discesa, privo di indicazioni, verso sinistra (qui siamo tornati indietro tempestivamente perché ho ricordato di avere commesso lo stesso errore in passato!).
Dalla stazione di Abbadia Lariana si prende la strada statale in direzione Lecco, verso sinistra con la stazione alle spalle, e la si segue brevemente fino al primo incrocio. Si svolta a sinistra in via Onedo, proseguendo dritto in salita fino a incontrare il primo cartello arancione del Sentiero del Viandante. Dopo circa 3 km (attenzione fin dall’inizio ai cartelli, che indicano una svolta a sinistra lungo la strada in discesa e poi, subito dopo il ponte, una mulattiera sulla destra) si arriva in un punto in cui è facile sbagliare: bisogna attraversare il ponte sulla superstrada seguendo le indicazioni e poi subito abbandonare l’ingannevole stradina sterrata su cui ci mandano i cartelli per prendere il sentiero senza cartelli in salita verso destra.
Se non si ci si perde questa svolta, in breve e senza ulteriori possibilità d’errore si arriva a Rongio, crocevia di sentieri per le Grigne. Si prosegue in discesa seguendo i cartelli, adesso ben evidenti, e si risale per Somana. Tratti su strada si alternano a graziosi sentieri immersi nel bosco, con salitelle mai troppo faticose e lunghi tratti in discesa.
A 10 km dalla partenza, facciamo il nostro ingresso trionfale a Lierna, ancora deserta di prima mattina, e subito ricominciano i dubbi circa il percorso da seguire.
Le indicazioni, a cercarle bene, prima o poi si trovano e ben presto arriviamo al punto in cui il sentiero si sdoppia: a sinistra la variante bassa, meno bella se non per il fatto che permette di passare dal castello di Vezio, a destra quella alta, più panoramica e tutto sommato non molto più faticosa. Il dislivello alla fine è lo stesso, con la differenza che la variante alta presenta un’unica, lunga salita, in cui si guadagnano in fretta 700 m, mentre quella bassa distribuisce il dislivello tra tanti saliscendi.
La vista si apre via via che si guadagna quota. Il sole è ormai alto sulla dorsale lariana, dall’altra parte del lago, mentre noi ancora battiamo i denti all’ombra. Non importa, ci pensa la salita a riscaldarci! Arriviamo infine in località Ortanella e alla minuscola chiesa di San Pietro che, a 990 m, rappresenta il punto più alto del Sentiero del Viandante.
Davanti alla chiesetta c’è un bel prato con terrazza panoramica affacciata sul lago, dove finalmente troviamo il conforto del primo raggio di sole. Ma subito ci tocca tornare all’ombra lungo il sentiero – qui di nuovo bene indicato e in leggera discesa. “C’è anche la brina” commenta Meme in tono vagamente accusatorio.
Attraversiamo in effetti prati e boschi piuttosto freddini, correndo ora in discesa. Passiamo sul versante della Valsassina e la vista lago cede il posto ai pizzi di Parlasco; il paesino che si vede incastonato tra le montagne è Esino Lario. Per la nostra gioia, ci aspetta ora un pur breve tratto di corsa in piano su strada sterrata tutta al sole!
Seguendo le indicazioni del Viandante, prendiamo il sentiero a sinistra che si inoltra di nuovo nel bosco e cominciamo la lunga discesa verso Varenna. Ben presto la vista si riapre sul lago e su Varenna, in un tratto di sentiero davvero panoramico dove abbiamo goduto anche della compagnia di due camosci – che a differenza del lago non si sono lasciati fotografare.
Uscendo dal bosco, ci ritroviamo nei viottoli di Vezio, ai piedi del castello, da dove arriva la variante bassa: i due sentieri da qui in poi si ricongiungono. Continuiamo a seguire i cartelli arancione, rientrando per un breve tratto nel bosco, da cui si esce all’altezza della strada per Esino Lario. Noi dobbiamo prendere non la strada, ma la mulattiera in salita fino a Perledo, un altro grazioso borgo con terrazza panoramica.
La prossima tappa è Bellano. Seguiamo la mulattiera in discesa fino a immetterci sulla strada – in qualche punto un po’ pericolosa – e seguiamo i cartelli, tenendo presente che dobbiamo sempre scendere fino in paese. Siamo intorno al km 25, dove Meme e io abbiamo clamorosamente sbagliato strada, salendo per un bel pezzo prima di renderci conto che l’unica soluzione era tornare indietro. Da Bellano a Dervio la strada continua, relativamente ben segnalata, con qualche saliscendi ma principalmente in discesa, prima della seconda e ultima lunga salita del giro.
A Dervio si attraversa il paese e le indicazioni sono talmente evidenti che ci siamo alquanto sorpresi quando abbiamo realizzato di trovarci per la seconda volta fuori strada. Fuori strada in un posto meraviglioso, a dirla tutta, perché abbiamo corso forse per un chilometro lungo un sentiero che costeggia il lago tra bosco e spiaggette. Peccato fossimo dalla parte sbagliata della ferrovia: al primo sottopasso siamo tornati verso il paese e, risalendo un po’ a caso, siamo riusciti a tornare sulla mulattiera a mezza costa dove infine abbiamo ritrovato i cartelli arancione del Viandante. Finalmente sul percorso giusto, abbiamo cominciato a salire sopra Dorio, passando per la chiesetta di San Giorgio e il grazioso abitato di Mandonico.
Il sentiero adesso, pur con qualche tratto in piano, comincia a salire con decisione. Questa salita, anche se decisamente più breve rispetto a quella di Ortanella, risulta parecchio faticosa ora che abbiamo tutti questi chilometri sulle gambe. Il paesaggio, in compenso, si fa sempre più bello mentre ci alziamo di nuovo rispetto al livello del lago.
A una breve discesa segue un’altra salita, faticosa ma molto bella nel bosco di castagni già colorato di rosso e giallo. Passiamo per il monte Perdonasco (602 m) e successivamente per il monte Sparesee (604 m), approdando infine alla chiesa della Madonna dei Monti: qui il sentiero cede il passo a una strada carrozzabile, che seguiamo in discesa verso Posallo. Attenzione intorno al km 40 a imboccare il sentiero che scende nel bosco a sinistra: al bivio non ci sono indicazioni, ma continuando lungo il sentiero incontreremo i bolli arancione della gara. In ogni caso la carrozzabile, anche se più lunga, porta comunque a Posallo. Da qui i cartelli sono evidenti e ci portano a svoltare a destra lungo una strada in salita, attraversare il torrente con l’aiuto di una passerella in legno e imboccare l’ultima salitella del percorso.
Da qui in poi è tutta discesa fino a Colico. Aiutandoci con la traccia gpx o, a questo punto, anche con google maps, scendiamo dritto per dritto lungo via Chiaro, prendiamo verso sinistra via al Boscone e, alla rotonda, andiamo di nuovo a sinistra in via Nazionale: poche centinaia di metri e siamo in stazione, fortunatamente in orario per il treno!
Anello di due giorni da Chiesa in Valmalenco lungo il percorso della VUT. Primo giorno: sentiero Rusca – Piasci – rifugio Bosio-Galli (2086 m) – laghetti di Sassersa – passo Ventina (2765 m) – rifugi Ventina e Gerli-Porro – Chiareggio – rifugio Longoni (2450 m) – Lago Palù – rifugio Motta. Secondo giorno: Alpe Musella – valle di Scerscen – rifugio Marinelli Bombardieri (2813 m) – rifugio Carate (2636 m) – forcella di Fellaria (2787 m) – rifugio Bignami (2401 m) – Campomoro – rifugio Cristina (2287 m) – Alpe Cavaglia – Caspoggio – Chiesa.
Periodo: Agosto 2020
Partenza: Chiesa in Valmalenco (960 m)
Distanza: 92 km
Dislivello: 5900 m
Acqua: tra fontane, ruscelli e rifugi si trova abbastanza facilmente.
L’alta via della Valmalenco, nota a chiunque pratichi o segua la corsa in montagna per la celebre gara che vi si svolge nel mese di luglio, è un percorso che sarebbe riduttivo definire “bello”: passando per alpeggi bucolici, selvagge pietraie, laghetti alpini, rifugi arroccati in posizioni fantastiche, valli glaciali con scorci su vette innevate e quanto resta dei ghiacciai, a cui le foto davvero non rendono giustizia, non si può fare altro che rallentare il passo e godersi l’incredibile varietà e la struggente bellezza di questi posti. Per fortuna il percorso, per quanto faticoso, è quasi tutto escursionistico e permette spesso di camminare in estasi con il naso per aria!
Il team delle Martas, fedele al principio per cui chi va piano va lontano, ha suddiviso il giro in due tappe: da Chiesa al rifugio Motta (45 km – 3750 m D+) e dal Motta a Chiesa (47 km – 2150 m D+). Procedendo a passo tranquillo ma costante, corricchiando solo in discesa, abbiamo impiegato circa 12 ore per la prima tappa e 11 per la seconda. Diversi tratti semplici e pianeggianti si potrebbero certamente percorrere più in fretta, ma davanti a tali spettacoli della natura vale ben la pena di “perdere tempo” a guardarsi intorno. O almeno questo è ciò che pensiamo noi.
Per chi volesse spezzare il giro in tre tappe più brevi, si può pensare di fermarsi una notte a Chiareggio e un’altra al rifugio Marinelli o al Carate. I punti di appoggio non mancano lungo il percorso, e ovunque troverete persone che conoscono a fondo queste montagne e che sapranno darvi informazioni utili. L’alta via, poi, è davvero ben segnata e la traccia gpx serve a poco – è utile nei pochi tratti fuori dal percorso di gara, quindi all’inizio, alla fine e al Motta, oltre che all’Alpe Musella, quando l’alta via si sdoppia e si rischia di sbagliare strada.
Per quanto riguarda il materiale: il rifugio Motta fornisce lenzuola, asciugamano e bagnoschiuma, per cui abbiamo potuto viaggiare davvero leggere; i bastoncini sono risultati molto utili per affrontare il dislivello del primo giorno; due borracce da mezzo litro a testa sono state sufficienti nonostante il caldo, perché tra fontane e ruscelli l’acqua si trova abbastanza facilmente. Abbiamo portato un paio di ramponcini, che non sono serviti: si tenga presente, però, che a luglio o anche a inizio agosto la situazione neve può essere molto diversa.
Abbiamo lasciato la macchina a Chiesa in Valmalenco, davanti al centro sportivo Vassalini. Da qui si percorre la pista ciclabile verso valle fino a intercettare il sentiero Rusca, che segue il corso del torrente Mallero. I primi 4 km sono in leggera discesa e si possono correre senza fatica, guadagnando un po’ di tempo.
Prima di arrivare a Torre di Santa Maria, si prende il sentiero in salita che attraversa il piccolo abitato di Dosso e taglia poi i tornanti della strada, guadagnando velocemente dislivello. Da qui si trovano i segnali gialli della VUT e i catarifrangenti, visto che il tratto iniziale della gara si corre al buio. Oltre a queste indicazioni, possiamo seguire quelle per il rifugio Bosio (senza tenere conto dei tempi di percorrenza, davvero poco realistici).
Superata l’alpe Son – che si riconosce senza possibilità d’errore per il nome scritto su un cartello in legno – si segue il sentiero in leggera discesa verso sinistra; si attraversa il torrente e si riprende a salire nella pineta, su un sentiero facile e ombreggiato, mai troppo ripido. Si passa poi per Piasci, graziosissimo alpeggio, da attraversare tutto in salita per poi continuare verso destra per il rifugio Bosio.
La pendenza diminuisce, mentre il sentiero tra prati e bosco diventa sempre più bello – o almeno così è sembrato a noi. Finalmente si arriva al rifugio: da qui si attraversa il torrente, seguendo il triangolo giallo rovesciato dell’alta via e le indicazioni per Primolo. La prossima tappa è il passo Ventina, ma da qui i cartelli non lo indicano ancora. Proseguiamo su strada carrozzabile e poi su sentiero in discesa, perdendo un po’ di dislivello e superando altri alpeggi. All’alpe Giumellino prendiamo il sentiero in salita a sinistra, seguendo per il passo Ventina, ora indicato.
L’ambiente diventa più selvaggio man mano che ci allontaniamo dal bosco per inoltrarci nella pietraia rossa che sovrasta l’alpe Pradaccio e Primolo – entrambi visibili più in basso. Il passo Ventina – che poi sarebbe più accurato definire “i passi Ventina”, al plurale, visto che per ben tre volte si arriva a una bocchetta nella speranza che sia quella definitiva – è il punto più alto del primo giorno, a 2765 m di quota. Vi si arriva dopo una lunga ma divertentissima salita per roccette, passando per i laghi di Sassersa.
Una volta al passo, con la val Sassersa alle spalle, la vista si apre sulla val Ventina. A sinistra, il Pizzo Rachele nasconde il Cassandra, mentre possiamo ammirare il Disgrazia, il Pizzo Ventina e quanto resta dell’omonimo ghiacciaio. Il Disgrazia, in particolare, si vedrà sempre meglio nel corso della ripida discesa verso i rifugi Ventina e Gerli-Porro.
Arrivando ai rifugi, l’impressione è quella (non proprio gradevole) di essere tornati nella civiltà: superando orde di escursionisti lungo la mulattiera in discesa, ben presto arriveremo a Chiareggio. Da qui bisogna imboccare la strada principale verso destra fino al ponte sul torrente Nevasco, al momento aperto solo di giorno e super controllato dopo la recente frana (agosto 2020). Il sentiero per il rifugio Longoni, tappa successiva del giro, è stato distrutto dalla frana nel tratto in cui appunto supera il torrente. Bisogna quindi utilizzare il ponte e, subito dopo, seguire i nastri bianco-rossi in salita nel bosco fino a ricongiungersi al sentiero.
Dopo un tratto di salita nel bosco, il paesaggio torna ad aprirsi tra ampi pascoli, roccette, ruscelli e cascate. La vista sul Digrazia, da qui, è semplicemente spettacolare. Anche se il segnavia da seguire è sempre il triangolo giallo rovesciato dell’alta via, ci troviamo ora sul sentiero Bernina Sud, che seguiremo fino al Longoni e che riprenderemo nella seconda tappa dalla valle di Scerscen.
Dal rifugio Longoni, arroccato a 2450 m, bisogna seguire per il lago Palù – anche qui, i tempi di percorrenza indicati sono davvero abbondanti. Un primo tratto di discesa su sentiero ci porta a una strada carrozzabile, che va imboccata verso sinistra in leggera salita. Si prosegue più o meno in costa e sempre in costa bisogna rimanere, senza prendere i sentieri in discesa verso l’alpe Entova né quelli in salita verso l’omonima bocchetta. Le indicazioni qui non sono particolarmente accurate.
La strada lascia il posto a una selvaggia pietraia mentre cambiamo versante della montagna. Questa parte dell’alta via è poco battuta e ci costringe a procedere lentamente, ma ormai quasi tutta la salita è alle spalle e bisogna solo scendere fino al lago Palù, che finalmente compare sotto di noi.
La VUT passa per il rifugio Palù ed è qui che avremmo pernottato, se non fosse stato chiuso. Su consiglio del rifugista ci siamo rivolte al Motta, che si trova poco più avanti, vicino alle piste da sci. Più che un rifugio, sembra un albergo di quelli di lusso, da sciatori: camera privata con bagno, pulitissima e profumata, e ottima cena alla carta. Il conto, alla fine, non è stato molto più alto di quello di un rifugio con camerata e bagni comuni. Ma la cosa più bella è stata l’accoglienza: tutto il personale del Motta si è fatto in quattro per sistemarci, prepararci la cena, darci informazioni con una gentilezza che, dopo 12 ore in giro per i monti, ci ha riscaldato il cuore quasi quanto la meritatissima birra!
Dopo una notte di sonno rigenerante, disturbata solo dalle risa sguaiate di attempati escursionisti che chiaramente non avevano la sveglia alle 6, siamo ripartite per la seconda metà del percorso – consapevoli che il grosso del dislivello era già fatto, ma che la giornata sarebbe stata lunga, se non altro per il chilometraggio. Dal Motta si risale la pista da sci e si scende verso il lago di Campomoro, ben visibile di fronte a noi, fino a incontrare sulla sinistra un sentiero che si addentra nel bosco senza alcuna indicazione se non quella di un percorso per mountain bike. Utile, qui, la traccia gpx, almeno per sapere dove svoltare. Proseguendo lungo questo sentiero, ritroveremo i segnali della VUT: siamo di nuovo sul percorso.
Dopo una bella e facile discesa, il sentiero riprende a salire fino all’alpe Musella e al rifugio Mitta. Da qui, ignorando i cartelli che danno il rifugio Marinelli tutto dritto a 2h30′, dobbiamo prendere il sentiero a sinistra, indicato come variante, per la valle di Scerscen e il rifugio Marinelli (4h40′). Non spaventatevi, anche camminando ci vuole molto meno. Entrambi i sentieri sono segnati come alta via con il triangolo giallo rovesciato, ma per fare il giro completo della VUT bisogna prendere appunto la variante. Attenzione anche a un secondo alpeggio, dove si arriva poco dopo il bivio: il sentiero, un po’ nascosto, prosegue tutto a sinistra dopo avere superato una recinzione.
Dopo un tratto nel bosco, ci addentriamo nella bellissima valle di Scerscen, la parte del giro che in assoluto ci è piaciuta di più, anche perché non vi abbiamo incontrato anima viva. Si segue il corso del torrente in un ambiente sempre più selvaggio, che a ogni svolta del sentiero si apre a mostrare una nuova vetta, un nuovo pezzo di ghiacciaio.
Le foto davvero non bastano a descrivere la meraviglia di questa valle, la vista sulle vette innevate e sui ghiacciai di Scerscen, il fragore delle cascate e del torrente che ci ha accompagnato per tutto il tempo. Tra l’altro, siamo tornati sul sentiero Bernina Sud. Cambiamo valle e arriviamo al rifugio Marinelli Bombardieri (2813 m), punto più alto dell’intero percorso. Anche da qui la vista non è male: di fronte, le cime di Musella e l’omonimo laghetto, a sinistra Punta Marinelli (3182 m) e il gruppo del Bernina, a destra la Vedretta di Scerscen Superiore.
Si prosegue ora in discesa verso il rifugio Carate. Abbandonando il sentiero principale, molto frequentato, abbiamo seguito quello più alto e forse un poco più faticoso che passa per il monumento al V Alpini. Da qui, un bel traverso panoramico ci porta proprio sopra il Carate.
Il tratto Carate – Bignami è altrettanto affollato, soprattutto nel mese di agosto e in questa pazza estate 2020, in cui tutti sono improvvisamente diventati montanari. Rimpiangeremo un po’ la pace e il silenzio della valle di Scerscen, ma l’ambiente anche qui è talmente spettacolare che nemmeno gli schiamazzi di certi escursionisti riescono a intaccarne la bellezza.
Avvicinandoci alla forcella di Fellaria (2787 m) abbiamo trovato gli ultimi residui di neve – fino a qualche settimana prima di sicuro ce n’era molta di più. Si prosegue in salita per facili e divertenti roccette fino alla bocchetta, da dove si apre una vista spaziale sul ghiacciaio di Fellaria e sul lago sottostante.
Comincia ora una lunga discesa, all’inizio piuttosto ripida, poi decisamente facile e corribile, fino al rifugio Bignami.
Anche questo rifugio, facilmente raggiungibile da Campomoro, attira frotte di escursionisti: lo abbandoniamo in fretta, prendendo la facile mulattiera in discesa lungo il lago di Gera e attraversando poi la diga per scendere dall’altra parte, sempre su stradina corribile e poi su asfalto, costeggiando il lago di Campomoro. È tristemente ironico osservare dall’alto la foresta di auto parcheggiate a duemila metri di altezza per permettere ai turisti di andare a vedere con poca fatica il ghiacciaio che si sta sciogliendo a causa del cambiamento climatico.
Una volta a Campomoro, si prende il sentiero in salita a sinistra per il rifugio Zoia – che si raggiunge in pochi minuti – e per il rifugio Cristina. Il sentiero, pur non spettacolare come quelli da cui siamo passati finora, è molto grazioso e, tra falesie, boschi e alpeggi, ci porta al Cristina relativamente in fretta.
Le indicazioni da seguire, adesso, sono quelle per l’alpe Cavaglia, che sembra lontanissima e in effetti lo è. Quest’ultima parte del giro è davvero lunga e faticosa, anche se rimane ben poca salita da fare. Dopo tutti questi chilometri, gli ultimi dieci, anche se in discesa, sembrano non finire mai. Dall’alpe Cavaglia si prosegue in direzione Caspoggio, passando per il graziosissimo alpeggio di Pianaccio. Da qui consiglio di seguire la traccia gpx, perché il percorso di gara prosegue verso Lanzada, mentre noi dobbiamo scendere a Caspoggio, altro borgo molto bello e pittoresco, e da qui verso il cimitero, per prendere il sentiero in discesa per Chiesa. Alla fine di questo sentiero sbucheremo sulla ciclabile che ci riporterà all’auto. Dopo questo viaggio, sembra incredibile che l’abbiamo parcheggiata lì solo la mattina precedente!
Filorera (Casa della Montagna) – Rifugio Scotti (1465 m) – Rifugio Ponti (2559 m) – Bocchetta Roma (2894 m) – Bivacco Kima (2750 m) – Passo Cameraccio (2950 m) – Bivacco Manzi (2562 m) – Passo Torrone (2518 m) – Rifugio Allievi-Bonacossa (2384 m) – Passo dell’Averta (2551 m) – Passo Qualido (2647 m) – Passo Camerozzo (2765 m) – Rifugio Gianetti (2534 m) – Passo Barbacan (2570 m) – Rifugio Omio (2108 m) – Bagni di Masino – San Martino – Filorera.
Periodo: Luglio 2020
Partenza: Filorera (841 m)
Distanza: 52 km
Dislivello: 4200 m
Acqua: fontana all’Allievi e alla Giannetti, per il resto ci siamo serviti ai ruscelli.
I numeri del Trofeo Kima, una delle più spettacolari skymarathon in Italia, sono impressionanti: 52 km, 4200 m di dislivello positivo e 7 passi ad alta quota, tecnicissimi, da superare in velocità lungo quella meravigliosa alta via che è il Sentiero Roma. Roba da top runner, insomma. Pensare ai tempi non solo di chi vince la gara in sei ore, ma anche di chi la chiude entro le undici ore concesse dal regolamento, mette davvero in soggezione i comuni mortali come me. Mai avrei immaginato di poterlo fare in un giorno solo.
Ma i super soci Meme e Samuel hanno deciso di osare: come avrei potuto tirarmi indietro senza poi passare la giornata a rosicare per non essere lì con loro? La mia idea era di partire con loro e a un certo punto ritirarmi in buon ordine: dall’Allievi scendendo per la val di Zocca, oppure più avanti, dal bivacco Molteni-Valsecchi per la Val del Ferro – le vie di fuga non mancano, in questo giro, e in tutta onestà è stata proprio la possibilità di abbandonare a convincermi a provare. Invece le gambe giravano, i soci mi aspettavano pazientemente e, in qualche modo, abbiamo trovato tutti e tre la motivazione per superare, uno dopo l’altro, i sette temibili passi del Kima e l’infinita discesa per chiudere il giro.
Ecco allora il racconto della nostra impresa, per chi vuole affrontare la stessa sfida e per chi preferisce dividere il percorso in due o più giorni: in entrambi i casi, sarà un viaggio indimenticabile.
Permettetemi innanzitutto di darvi qualche consiglio pratico. Primo, bisogna essere preparati ad affrontare un ambiente estremamente severo di alta montagna: provate magari a percorrere qualche pezzo del Sentiero Roma prima di affrontare il giro completo, in modo da rendervi conto delle difficoltà. Secondo, a meno che siate al tempo stesso alpinisti provetti e runner di livello, considerate dei tempi molto più lunghi di quelli che potreste impiegare, a parità di distanza e dislivello, in una gara trail. Terzo, aspettate che le condizioni meteo siano ideali: sarebbe pericoloso affrontare questo percorso con la pioggia o in condizioni di scarsa visibilità. Un altro fattore da tenere a mente è la neve: nel mese di luglio ce n’è ancora tanta e alcuni nevai permangono in agosto; la parte più alta del giro è anche quella che affronterete per prima, tra la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio, e passando al mattino presto rischiate di trovare neve ghiacciata. I ramponcini, se non proprio indispensabili per chi si sa muovere bene, sono comunque uno strumento fondamentale per superare velocemente e in sicurezza i primi traversi su nevaio. Infine, vi consiglio caldamente di affrontare l’impresa in compagnia di un paio di amici fidati: non solo perché è bello condividere gioie e dolori di questo percorso, ma anche perché è più facile arrivare alla fine con qualcuno accanto che ti incoraggia e ti tira su di morale negli inevitabili momenti di crisi.
La partenza è da Filorera, dal piazzale antistante la Casa della Montagna – dove, se volete, la gentilissima signora Iris vi offrirà una sistemazione per la notte e preziosi consigli sulle condizioni del percorso. Tutto il giro è perfettamente indicato, per cui mi sento di dire che la traccia gpx, che pure allego al post come al solito, in questo caso non serve se non a consumarvi la batteria dell’orologio. Una volta acquisito il segnale gps – operazione che nel nostro caso ha richiesto parecchio tempo – si attraversa il ponte e si parte!
Per i primi 7 km si segue la strada asfaltata che sale per la valle di Predarossa, passando per il Rifugio Scotti. In questo primo tratto si supera una galleria non brevissima, illuminata da una luce temporizzata la cui durata deve però essere stata calcolata sui tempi di Kilian – meglio tenere la frontale a portata di mano, se non la percorrete proprio di corsa. Dopo Sasso Bisolo, troviamo sulla sinistra un sentiero, poco battuto ma bene indicato, che taglia i tornanti e ci porta rapidamente a quota 1980 m, dove finisce la strada e comincia il sentiero per il Rifugio Ponti.
La vista da qui si apre, regalandoci un piccolo assaggio dello scenario che ci attende poco più in alto. Possiamo goderci un chilometrino di corsa in piano lungo il torrente, prima che il sentiero cominci di nuovo a inerpicarsi verso il Rifugio Ponti (2559 m) e poi ancora più su, sempre più in alto, fino ai 2894 m della Bocchetta Roma.
Niente male, se si pensa che abbiamo guadagnato in un sol colpo duemila metri di quota. Di fronte a noi troneggia il Disgrazia mentre, più che seguire una traccia, saltelliamo da un blocco di granito all’altro seguendo i bolli, sempre evidenti, del Sentiero Roma fino alla bocchetta omonima, il primo dei sette passi che ci aspettano.
Superata la bocchetta, ci aspetta una discesa vertiginosa, tutt’altro che banale, giù per enormi placche di granito attrezzate con catene. Purtroppo non ho foto per illustrare i punti più verticali: portavo i guanti, avevo le mani occupate con le catene e la testa concentrata sull’obiettivo sopravvivenza. Credetemi, però, se vi dico che scendere dalla Bocchetta Roma al nevaio sottostante, con il vento e la temperatura che può esserci a quella quota alle nove del mattino, può risultare impegnativo anche per i più esperti.
Si attraversano ora dei tratti su nevaio, alcuni un po’ delicati a causa della neve ghiacciata. I ramponcini si sono rivelati fondamentali in questa fredda, severa Val Cameraccio. Superiamo il bivacco Kima e proseguiamo in un fantastico anfiteatro di vette aguzze in direzione di quella più aguzza di tutte, il Pizzo Cameraccio.
Superando o aggirando, a seconda dei casi, qualche altra lingua di neve, ora più morbida perché esposta al sole, arriviamo al Passo Cameraccio, che con i suoi 2950 m è il punto più alto del giro. Anche qui, la discesa è molto ripida e la roccia, forse per la neve, forse per la pioggia del giorno prima, risulta bagnata e scivolosa: dobbiamo calarci facendo affidamento solo sulle catene e sulla forza delle braccia, il che per alcuni (vedi i miei soci) non rappresenta un problema, per altri (vedi me) può risultare impegnativo. Come prima, alla fine delle catene atterriamo su un bel nevaio in discesa.
Per fortuna adesso la neve è morbida e ci si può lasciare scivolare verso il basso, chi sciando con qualche tonfo (vedi i miei soci), chi usando direttamente il sedere come slittino (vedi me). Pur con qualche abrasione, siamo arrivati in fondo al nevaio, ritrovandoci in un ambiente fantastico, reso ancora più bello dai famosi “blocchi di ghiaccio che si aggirano” di cui mi aveva parlato la signora Iris, per il divertimento di Samuel e Meme. Una valanga, infatti, si era staccata dalle ripide pareti del Pizzo Cameraccio, dando a questa valle, già imponente, un aspetto più fiabesco del solito.
Perdiamo ora parecchia quota, passando per il bivacco Manzi e scendendo giù per la Val Torrone. Dopo tanto tempo a spasso su neve e pietraie oltre i 2700 metri, il paesaggio sembra addolcirsi e finalmente possiamo corricchiare su una parvenza di sentiero.
La discesa dura troppo poco e ben presto si riprende a salire, per arrivare al canalino attrezzato con catene che porta al Passo Torrone (2518 m). La difficoltà non ha niente a che vedere con quella dei due passi precedenti e, in ogni caso, a questa quota sembra tutto più facile. Entriamo ora in un nuovo anfiteatro roccioso, quello della Val di Zocca. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi-Bonacossa, che per noi segna la metà del percorso. Qui facciamo la prima vera pausa, con rifornimento d’acqua alla fontana e di coca cola al rifugio, poi, senza perdere troppo tempo, ripartiamo alla volta del Rifugio Gianetti, che i cartelli danno a 7 ore di cammino.
Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al Passo dell’Averta (2551 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto. Altra valle, altro spettacolare anfiteatro di montagne: ma la stanchezza comincia a farsi sentire mentre di nuovo ci inerpichiamo verso il prossimo passo, il Qualido (2647 m).
A questo punto siamo a cinque passi su sette. Abbiamo sulle gambe tremila metri di dislivello e dobbiamo farne ancora mille. Abbiamo percorso circa trenta chilometri e sappiamo che ne mancano una ventina. Bene ma non benissimo, come si può dedurre dall’espressione di Meme qui sotto.
Ci facciamo coraggio e continuiamo in discesa lungo una canale franoso ma fortunatamente breve, trovandoci immersi nel fantastico scenario della Val del Ferro tra rocce, roccette ed enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Vediamo più in basso il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), che per noi rappresenta l’uscita di emergenza: da qui si potrebbe scendere fino a raggiungere la Val di Mello, San Martino e poi Filorera in tempi relativamente brevi. La tentazione c’è, ma siamo determinati a proseguire.
Il prossimo ostacolo da superare è il Passo Camerozzo (2765 m), decisamente più impegnativo dei tre precedenti. Va detto che, seguendo il giro del Kima, ci troviamo ad affrontare la parte difficile di questo passo in salita, non in discesa come per la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio. Dobbiamo comunque mantenere alta la concentrazione per aggirare una lingua di neve e un paio di catene rotte mentre faticosamente ci arrampichiamo verso la bocchetta, che sembra non arrivare mai.
Invece arriva e, finalmente, davanti a noi si spalanca la Val Porcellizzo in tutta la sua bellezza, con il Rifugio Gianetti ancora lontano, ma perlomeno in vista. Per scendere dobbiamo superare ancora qualche roccetta attrezzata con catene, ma il peggio è passato. Da qui in avanti non saranno tanto le doti alpinistiche a fare la differenza, quanto la resistenza e la resilienza che sapremo trovare dentro di noi.
Al rifugio ci fermiamo giusto il tempo di rabboccare le borracce e ammirare il Cengalo e il Badile che, nonostante sia ormai sera, sono ancora ben visibili in questa giornata dal meteo semplicemente perfetto. Il prossimo rifugio, l’Omio, è indicato a tre ore e mezza di cammino. Proseguiamo più o meno in piano, attraversando la Val Porcellizzo fino alla salita, l’ultima, per il Passo Barbacan (2570 m).
Il passo, in sé, non è impegnativo: in salita c’è qualche tratto attrezzato con catene, di cui si può anche fare a meno, in discesa invece bisogna fare i conti con un sentiero ripido e scomodo, ma privo di particolari difficoltà. Quando ci è sembrato di avere finalmente raggiunto un terreno facile, poi, abbiamo dovuto fare i conti con un vero e proprio pantano che ha rallentato ulteriormente il nostro passo – soprattutto il mio.
La parte più dura di tutto il giro è stata la discesa, infinita: dal Rifugio Omio ai Bagni di Masino attraverso il bosco, ormai con la frontale accesa; dai Bagni di Masino per circa 7 km lungo la strada fino a San Martino e poi a Filorera. Dando fondo alle ultime energie rimaste e ignorando i dolori ai piedi e alle ginocchia, finalmente abbiamo guadagnato il parcheggio della Casa della Montagna, senza finish line e senza pubblico, è vero, ma con un bel trofeo morale da mettere in bacheca!
Conclusione raggiunta dopo 17 ore (ebbene sì) in giro per i monti: tutto si può fare, a patto di avere gambe allenate, forza di volontà e soprattutto un paio di buoni amici che ti sostengono quando gambe e testa vacillano, aiutandoti a superare i tuoi limiti e a raggiungere un obiettivo altrimenti irrealizzabile.
Da Pescegallo (1.450 m) all’omonimo lago (1.865 m) – Passo di Verrobbio (2.026 m) – Sentiero 101 o delle Orobie occidentali – Rifugio Benigni (2.222 m) – Bocchetta di Trona (2.224 m) – discesa verso il lago di Trona e ritorno a Pescegallo.
Periodo: Luglio 2019
Partenza: Pescegallo (1.450 m)
Distanza: 21 km
Dislivello: 1450 m
Acqua: qualche ruscello nella prima parte e fontana non potabile al Benigni, meglio portare una scorta abbondante e/o soldi.
Un giro relativamente breve, immediato e semplice da seguire, anche senza la traccia gpx. Il percorso, svolgendosi intorno ai 2000 m di quota, è adatto alla stagione estiva.
Partiamo da Pescegallo (Gerola Alta). La strada a tornanti che arriva da Morbegno termina in un ampio parcheggio, davanti alla seggiovia e a un invitante bar con terrazza. Parcheggiamo il più vicino possibile al bar e torniamo indietro nella direzione da cui siamo arrivati, lasciandoci sulla destra la strada di servizio delle piste da sci e l’albergo Mezzaluna. Subito dopo l’albergo prendiamo la strada asfaltata in salita verso destra. All’angolo troveremo una bella fontana con acqua fresca, perfetta per riempire le borracce prima e dopo il giro.
Seguiamo la strada per circa 300 metri, poi imbocchiamo il sentiero in salita verso destra. Percorriamo senza possibilità d’errore questo sentiero, che dopo un chilometro abbondante, in cui guadagniamo circa 300 m di dislivello, ci deposita sulla strada di servizio già incontrata al parcheggio. La imbocchiamo verso sinistra e la percorriamo fino alla diga del lago di Pescegallo (1.865 m).
Attraversiamo la diga e prendiamo il sentiero verso destra, seguendo le indicazioni per il passo di Verrobbio. Il sentiero, in leggera salita, costeggia dapprima il lago, per poi inerpicarsi su per la montagna.
Attraversiamo una prima bocchetta, più o meno alla stessa altezza del nostro passo, e scolliniamo nella valle accanto. Dopo un tratto di sentiero in discesa, riprendiamo a salire tra roccette e sfasciumi, passando per il laghetto di Verrobbio, fino ad arrivare al passo di Verrobbio (2.026 m).
Da qui ci aspettano 2 km di facile discesa verso Passo San Marco, fino a incrociare il sentiero 101, o sentiero delle Orobie occidentali, che imbocchiamo con una curva a gomito verso destra in direzione del Rifugio Benigni.
Seguiamo questo bellissimo, panoramico sentiero per circa 8 km, con un tratto ancora in discesa e poi ricominciando gradualmente a guadagnare quota con brevi salite alternate a tratti di saliscendi divertenti e veloci.
Il sentiero, sempre chiaramente indicato, prosegue semplice e evidente fino all’ultimo strappo verso il Benigni. Qui si inerpica all’improvviso, trasformandosi in un ripido canalone roccioso – peraltro sempre molto affollato nelle domeniche di bel tempo, in quanto ultimo tratto del percorso che da Ornica porta al rifugio.
Arrivati al Benigni (2.222 m), se vogliamo fare rifornimento d’acqua possiamo utilizzare la fontana del rifugio. Un cartello avverte che si tratta di acqua non potabile ma, quando ci si ritrova – come a me spesso capita – con molta sete e il portafogli 1000 metri più in basso, può comunque tornare utile. Io ne ho approfittato un paio di volte e non ho avuto problemi.
Riprendiamo il sentiero 101 in direzione del rifugio Grassi e proseguiamo per un breve tratto in discesa, poi di nuovo in salita, verso la bocca di Trona (2.024 m). Da qui la vista si apre sulla Val Gerola in tutto il suo splendore, tra laghi, ghiaioni e vette aguzze.
Alla bocchetta abbandoniamo il 101 e prendiamo il sentiero che scende in Val Gerola verso il lago di Trona. Perdiamo rapidamente quota, facendo attenzione a mantenerci sul sentiero che rimane a destra del torrente e in alto sopra il lago – un altro sentiero, ben segnalato e bollato, attraversa il torrente e scende al lago, ma non è quello giusto!
Costeggiando il lago, che vedremo per tutto il tempo in basso a sinistra, e superando il Pizzo di Tronella e il Pizzo del Mezzodì sulla destra, arriviamo finalmente a incrociare il sentiero che collega Pescegallo con la diga del lago di Trona.
Imbocchiamo questo sentiero verso destra e lo percorriamo fino al parcheggio di Pescegallo. Impossibile sbagliare: all’unico bivio, quello per il lago di Pescegallo, manteniamo la sinistra e proseguiamo in discesa nel bosco fino a tornare al punto di partenza.
Di corsa in Val Bregaglia (31 km – 1300 m D+)
10 Maggio 2021 by marta • Valtellina Tags: acquafraggia, chiavenna, ciclabile, ciclopedonale, corsa in montagna, piuro, savogno, svizzera, trail running, val bregaglia, val bregaglia trail, villa di chiavenna • 0 Comments
Un percorso facile e intuitivo, tutto da correre, da Chiavenna fino al confine svizzero in un fantastico anfiteatro di montagne innevate.
Periodo: Maggio 2021
Partenza: Chiavenna
Distanza: 31 km
Dislivello: 1300 m
Acqua: si trovano innumerevoli fontane lungo tutto il percorso
GPX (clic dx, salva link con nome)
La Val Bregaglia, che ho scoperto qualche anno fa in occasione di una delle mie prime gare, il Val Bregaglia Trail appunto, è un posto fantastico, che si presta naturalmente al trail running: al confine tra Italia e Svizzera, circondata da cime maestose, questa valle è percorsa da una pista ciclabile che segue il corso del fiume Mera e offre, su entrambi i versanti, una rete di sentieri, mulattiere e strade carrozzabili che collegano alpeggi, crotti e paesini caratteristici, con boschi freschi anche a bassa quota e fontane praticamente ogni chilometro.
La partenza è da Chiavenna. Arrivando in auto, ho parcheggiato nel quartiere San Mamete, prima di entrare in città e subito prima del ponte sul fiume Liro; dato che si attraversa il centro di Chiavenna, però, si può fare lo stesso giro arrivando in treno e partendo dalla stazione. Ho percorso un paio di chilometri seguendo via Alessandro Volta prima di arrivare in centro e, seguendo le indicazioni per la stazione, svoltare a destra per attraversare il fiume Mera.
Dopo il ponte, si svolta a sinistra e si segue il corso del fiume lungo la ciclovia della Val Bregaglia, passando ai piedi del parco Marmitte dei Giganti, dove si può ammirare il fenomeno geologico di enormi rocce scavate dall’azione millenaria dei ghiacciai, e per invitanti crotti che al mio passaggio stavano giusto aprendo per pranzo! Di crotti se ne incontreranno a dozzine lungo tutto il percorso, per cui conviene spiegare che cosa siano: tipici di Chiavenna, che sorge su una enorme e antichissima frana, i crotti sono cavità naturali formatesi tra i massi rotolati giù dalla montagna, dove spira un venticello a temperatura costante per tutto l’anno, ideale per la conservazione di prodotti tipici quali vino, salumi e formaggi. Intorno ai crotti sono poi nati punti di ritrovo, ristorantini e così via.
Superati gli invitanti crotti di Chiavenna, si prosegue sempre seguendo la pista ciclabile, tendenzialmente bene indicata, ora su una sponda, ora sull’altra, ma sempre lungo il corso del fiume. Si noteranno le indicazioni del Val Bregaglia Trail in senso opposto al nostro: la ciclabile è infatti il tratto finale della gara, che porta a Chiavenna. Sulla sinistra, di là dal fiume, si cominceranno a vedere anche le cascate dell’Acquafraggia. Il campanile che svetta sopra le cascate è quello di Savogno, da cui si passerà sulla via del ritorno.
Anche se è mezzogiorno e sono a fondovalle, il torrente e il bosco rendono la corsa fresca e piacevole. I punti acqua, inoltre, non mancano, tanto che mi viene da pensare che questo giro si possa fare anche senza borracce. Uscendo dal bosco ci troveremo a una fontana e vedremo le indicazioni per la Traversata dei Monti (altro giro in programma!). Qui bisogna ignorare i cartelli e proseguire dritto sul fondovalle, lungo la ciclovia che comincia ora a presentare qualche salitella – in tutto sono circa 300 metri di dislivello sui primi 10 km.
Si supera Piuro e si continua a correre in leggera salita lungo questa bellissima ciclovia, con le cime innevate della Svizzera sullo sfondo. Si arriva infine in prossimità di Villa di Chiavenna: chi volesse accorciare il giro può semplicemente seguire le indicazioni fino in paese. Io invece, svoltando tutto a destra, ho preso la scalinata in salita per Canete.
Finalmente la pendenza aumenta e mi permette di camminare senza sensi di colpa! Supero il piccolo alpeggio di Canete (726 m) e continuo a salire in direzione Laghetti, prima su strada e poi prendendo il ripido sentiero a scalini che taglia i tornanti. Si tiene la sinistra dove il sentiero spiana, sempre continuando a seguire le indicazioni per Laghetti fino a un nuovo bivio: abbandono qui la direzione Laghetti e seguo per Bondeia.
Ci aspetta adesso un bel tratto più o meno pianeggiante, che porta a un’ampia radura con poche baite e una splendida vista sulle montagne innevate.
Superato questo punto, si segue la strada carrozzabile verso sinistra e comincia una lunga discesa, piuttosto veloce, che in breve riporta a fondovalle. Si attraversa il fiume Mera e si prosegue in leggera discesa lungo la ciclabile, fino alla diga di Villa di Chiavenna.
Si costeggia tutto il lago e, una volta in paese, si abbandona la strada principale per prendere verso destra via Badarello, la stradina che si inoltra tra le case in leggera salita.
Seguo ora, senza possibilità d’errore, le indicazioni per Savogno lungo il percorso del Val Bregaglia Trail. Superati i Crotti Motta, continuo in salita lungo la strada che diventa ora sterrata e in leggera salita. Trovo chiuso il sentiero per Savogno, ma la via alternativa è indicata con encomiabile precisione e con tanto di mappa!
Proseguo dunque in discesa lungo la strada, sempre seguendo le indicazioni per Savogno, che mi portano a prendere una carrozzabile a tornanti lungo la quale riprendo a salire. Questa strada è davvero noiosa e antipatica, unico punto di tutto il giro in cui ho sofferto il caldo. In compenso, la vista sulle montagne – che non riconosco – è impagabile!
Si torna infine a ricongiungersi con il percorso originale per Savogno, che è anche il percorso del Val Bregaglia Trail. Proseguo lungo la strada fino a trovare (finalmente!) un sentiero che scende verso sinistra in direzione Savogno.
Dopo tre chilometri di carrozzabile tutta uguale, non mi sembra vero di correre su un bel sentierino nel bosco! Ben presto arrivo a Savogno (932 m), paesino pittoresco e piuttosto frequentato per l’omonimo rifugio, facilmente raggiungibile da Chiavenna.
Si attraversa tutto il paese e, superato il rifugio, si prende la mulattiera in discesa verso sinistra in direzione Borgonuovo, Crana, Chiavenna. Questo è l’unico punto che ho trovato affollato, ma niente paura: dopo un mezzo chilometro di discesa a zigzag tra ingorghi di escursionisti con evidenti problemi di udito, che fanno un po’ rimpiangere la zona rossa, ho preso il più tranquillo sentiero a destra seguendo le indicazioni della gara.
Sempre in discesa si arriva a un ponticello: attraverso il torrente e proseguo in leggera salita fino a Crana, un altro borgo grazioso e curatissimo.
Superato il paese, si continua in discesa sempre seguendo la segnaletica permanente del Val Bregaglia Trail fino a Località Sasso (485 m). Qui abbandono il percorso di gara e seguo le indicazioni per Sentiero Panoramico, San Carlo – Loreto, Chiavenna. Comincia l’ultima salita del giro, circa 200 m di dislivello tra Sasso e Pianazzola.
Compaiono infine le indicazioni per Pianazzola, molto chiare e semplici da seguire. Scendo a dare un’occhiata anche a questo paesino, poi risalgo sulla strada che passa appena sopra.
Si prosegue ora in discesa su asfalto fino al primo tornante, in corrispondenza di un masso, dove si abbandona la strada per continuare dritto e andare a prendere il sentiero in discesa in direzione Crotti di Bette.
Sempre in discesa arrivo a Bette e, da qui, seguo in leggera discesa la strada che riporta a Chiavenna. Prendo via della Violina verso destra e la seguo fino a incrociare via Volta, la via dell’andata. A questo punto mi basta tornare sui miei passi per poche centinaia di metri e mi ritrovo al parcheggio.