Narra la leggenda che, un tempo, la valle di Preda Rossa fosse ricoperta da una vegetazione lussureggiante. E quello che oggi è il monte Disgrazia veniva chiamato “Pizzo Bello” per i pascoli verdi e i boschi rigogliosi che ricoprivano i suoi pendii. Tanto splendente e affascinante era questa montagna, che i pastori dagli alpeggi passavano il tempo a rimirarla e a vantarne la bellezza.
Finché un giorno Dio si presentò nella valle sotto le spoglie di un mendicante. Anziché offrirgli cibo e riparo, i pastori lo derisero e maltrattarono. Dio decise di punirli per la loro arroganza togliendo loro quello di cui andavano più orgogliosi: un devastante incendio distrusse la valle, lasciando solo una distesa di rocce rosse – da cui il nome “Preda Rossa” – su cui si ergono le aride cime dei Corni Bruciati. Quello che era il Pizzo Bello, ormai una desolata montagna priva di vegetazione, prese il nome di Disgrazia (dal lombardo des-giassa, “disghiaccia”).
I pastori, pentiti della propria superbia, trovarono rifugio sui più umili pendii della val Terzana: ai piedi del monte Scermendone costruirono la chiesetta di San Quirico e chiamarono “Pizzo Bello” una cima così modesta che fino allora non aveva mai nemmeno avuto un nome. Ben pochi, tuttora, conoscono questa montagna, che si scala con tanta fatica e poca gloria. Ma il suo nome se lo merita tutto!
Per me e Lucia, il Pizzo Bello è la montagna di casa. Era da un po’ che volevamo andarci insieme e abbiamo deciso di approfittare del meteo spaziale di un weekend di metà ottobre, con temperature polari e quel cielo terso che solo l’autunno sa regalare. Il tempo a disposizione è poco, ma abbiamo gambe forti e un’invidiabile capacità di sopportazione del freddo e della fatica!
Il ritrovo è alle 5 e mezza sulla mulattiera che unisce i nostri paesi, Monastero e Berbenno. Parto da casa poco dopo le 5, sotto una stellata pazzesca che mi fa subito dimenticare il disagio del gelo e della levataccia. La luce della frontale riflette innumerevoli occhietti che spuntano tra gli alberi per scrutarmi incuriositi: di notte, quando gli umani non disturbano, il bosco brulica di vita.
Dal buio spuntano finalmente gli occhi di Nami, la super cagnolina ultrarunner, seguiti dalla frontale di Lucia. Ha dormito appena tre ore, ma come sempre mi fa mangiare la polvere! Saliamo fino a Prato Maslino per ripidi sentieri, chiacchierando e godendoci i fruscii del bosco, la fatica nelle gambe, il nostro respiro nell’aria sempre più fredda. Di solito le amiche si incontrano al bar, non per sentieri bui e deserti: ma quanto è bello essere le uniche umane in un mondo di sola natura, forti e indipendenti, capaci di arrivare dove ci pare senza chiedere niente a nessuno?
Superato Prato Maslino, imbocchiamo il sentiero per il Pizzo Bello e ci rendiamo conto che, fuori dalla fitta vegetazione in cui eravamo immerse, è già abbastanza chiaro da spegnere la frontale. L’erba ghiacciata scricchiola sotto i nostri passi e i versanti nord delle montagne intorno a noi sono coperti da uno strato di neve: la temperatura deve essere ben sotto zero e i guanti non bastano più a tenerci calde le mani.
Che spettacolo, però, ammirare dall’alto la Valtellina addormentata, immersa nell’ombra e nella foschia, mentre le cime delle montagne cominciano una dopo l’altra a risplendere, illuminate dal primo sole.
Il sole batte anche sul nostro Pizzo Bello ed è con un certo sollievo che attacchiamo la cresta finale, cominciando finalmente a riscaldarci dopo tutta la salita in ombra. Bisogna prestare attenzione alle ultime roccette, ma in un attimo siamo alla croce. Che meraviglia vedere da qui la valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il Disgrazia! Anche se spoglie e prive di vegetazione, queste montagne rimangono di una bellezza struggente.
Sono da poco passate le 8 e nelle gambe abbiamo rispettivamente 2150 m (da Monastero) e 2400 m (da Berbenno) di dislivello. Ma chi la sente la fatica, in un posto così bello?
Dopo le foto di rito, ci apprestiamo a scendere. Lucia è una discesista formidabile e deve essere a casa presto, mentre io ho più tempo a disposizione e decido di rimanere ancora un po’ a godermi il panorama nel silenzio più assoluto. Fino a mezz’ora fa fermarsi avrebbe comportato una rapida morte per assideramento, ma il sole fa miracoli e adesso si sta proprio bene. Guardo Lucia e Nami che scendono a tutta velocità per i ripidi prati dell’alpe Baric, due puntini che rapidamente spariscono alla vista.
Mi godo ancora per qualche minuto la pace e la bellezza di quest’alba a 2700 m di quota, poi anche io comincio a scendere verso casa. Il mondo si sta risvegliando e sul sentiero incontro i primi escursionisti: hanno parcheggiato a Prato Maslino e si stanno incamminando verso la cima di Vignone. Sorrido tra me, pensando a quanto diversa e intensa è stata invece la nostra uscita per le stesse montagne. Che fortuna avere gambe forti che ci portano lontano!
Il Pizzo Bello (2753 m)
25 Ottobre 2021 by marta • Valtellina Tags: berbenno, corsa in montagna, disgrazia, leggenda, monastero, pizzo bello, preda rossa, scermendone, val masino, val terzana, valtellina • 0 Comments
Una cima modesta ma degna del suo nome, con vista spaziale sulla valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il monte Disgrazia.
Narra la leggenda che, un tempo, la valle di Preda Rossa fosse ricoperta da una vegetazione lussureggiante. E quello che oggi è il monte Disgrazia veniva chiamato “Pizzo Bello” per i pascoli verdi e i boschi rigogliosi che ricoprivano i suoi pendii. Tanto splendente e affascinante era questa montagna, che i pastori dagli alpeggi passavano il tempo a rimirarla e a vantarne la bellezza.
Finché un giorno Dio si presentò nella valle sotto le spoglie di un mendicante. Anziché offrirgli cibo e riparo, i pastori lo derisero e maltrattarono. Dio decise di punirli per la loro arroganza togliendo loro quello di cui andavano più orgogliosi: un devastante incendio distrusse la valle, lasciando solo una distesa di rocce rosse – da cui il nome “Preda Rossa” – su cui si ergono le aride cime dei Corni Bruciati. Quello che era il Pizzo Bello, ormai una desolata montagna priva di vegetazione, prese il nome di Disgrazia (dal lombardo des-giassa, “disghiaccia”).
I pastori, pentiti della propria superbia, trovarono rifugio sui più umili pendii della val Terzana: ai piedi del monte Scermendone costruirono la chiesetta di San Quirico e chiamarono “Pizzo Bello” una cima così modesta che fino allora non aveva mai nemmeno avuto un nome. Ben pochi, tuttora, conoscono questa montagna, che si scala con tanta fatica e poca gloria. Ma il suo nome se lo merita tutto!
Per me e Lucia, il Pizzo Bello è la montagna di casa. Era da un po’ che volevamo andarci insieme e abbiamo deciso di approfittare del meteo spaziale di un weekend di metà ottobre, con temperature polari e quel cielo terso che solo l’autunno sa regalare. Il tempo a disposizione è poco, ma abbiamo gambe forti e un’invidiabile capacità di sopportazione del freddo e della fatica!
Il ritrovo è alle 5 e mezza sulla mulattiera che unisce i nostri paesi, Monastero e Berbenno. Parto da casa poco dopo le 5, sotto una stellata pazzesca che mi fa subito dimenticare il disagio del gelo e della levataccia. La luce della frontale riflette innumerevoli occhietti che spuntano tra gli alberi per scrutarmi incuriositi: di notte, quando gli umani non disturbano, il bosco brulica di vita.
Dal buio spuntano finalmente gli occhi di Nami, la super cagnolina ultrarunner, seguiti dalla frontale di Lucia. Ha dormito appena tre ore, ma come sempre mi fa mangiare la polvere! Saliamo fino a Prato Maslino per ripidi sentieri, chiacchierando e godendoci i fruscii del bosco, la fatica nelle gambe, il nostro respiro nell’aria sempre più fredda. Di solito le amiche si incontrano al bar, non per sentieri bui e deserti: ma quanto è bello essere le uniche umane in un mondo di sola natura, forti e indipendenti, capaci di arrivare dove ci pare senza chiedere niente a nessuno?
Superato Prato Maslino, imbocchiamo il sentiero per il Pizzo Bello e ci rendiamo conto che, fuori dalla fitta vegetazione in cui eravamo immerse, è già abbastanza chiaro da spegnere la frontale. L’erba ghiacciata scricchiola sotto i nostri passi e i versanti nord delle montagne intorno a noi sono coperti da uno strato di neve: la temperatura deve essere ben sotto zero e i guanti non bastano più a tenerci calde le mani.
Che spettacolo, però, ammirare dall’alto la Valtellina addormentata, immersa nell’ombra e nella foschia, mentre le cime delle montagne cominciano una dopo l’altra a risplendere, illuminate dal primo sole.
Il sole batte anche sul nostro Pizzo Bello ed è con un certo sollievo che attacchiamo la cresta finale, cominciando finalmente a riscaldarci dopo tutta la salita in ombra. Bisogna prestare attenzione alle ultime roccette, ma in un attimo siamo alla croce. Che meraviglia vedere da qui la valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il Disgrazia! Anche se spoglie e prive di vegetazione, queste montagne rimangono di una bellezza struggente.
Sono da poco passate le 8 e nelle gambe abbiamo rispettivamente 2150 m (da Monastero) e 2400 m (da Berbenno) di dislivello. Ma chi la sente la fatica, in un posto così bello?
Dopo le foto di rito, ci apprestiamo a scendere. Lucia è una discesista formidabile e deve essere a casa presto, mentre io ho più tempo a disposizione e decido di rimanere ancora un po’ a godermi il panorama nel silenzio più assoluto. Fino a mezz’ora fa fermarsi avrebbe comportato una rapida morte per assideramento, ma il sole fa miracoli e adesso si sta proprio bene. Guardo Lucia e Nami che scendono a tutta velocità per i ripidi prati dell’alpe Baric, due puntini che rapidamente spariscono alla vista.
Mi godo ancora per qualche minuto la pace e la bellezza di quest’alba a 2700 m di quota, poi anche io comincio a scendere verso casa. Il mondo si sta risvegliando e sul sentiero incontro i primi escursionisti: hanno parcheggiato a Prato Maslino e si stanno incamminando verso la cima di Vignone. Sorrido tra me, pensando a quanto diversa e intensa è stata invece la nostra uscita per le stesse montagne. Che fortuna avere gambe forti che ci portano lontano!