Il giro del Confinale è perfetto per un lungo allenamento estivo: i suoi scorci meravigliosi, i sentieri facili ma in alta quota, le fontane e i rifugi lungo tutto il percorso lo rendono particolarmente appetibile in questo periodo dell’anno.
Mi sono permessa di apportare qualche modifica a questo anello perfetto perché il giro del Confinale è lungo “solo” una quarantina di chilometri, mentre a me serviva farne sessanta. In realtà le aggiunte, inserite solo ai fini dell’allenamento, si sono rivelate anche meglio del percorso originale: il sentiero glaciologico dei Forni, in particolare, è stato una vera scoperta.
Mentre il giro del Confinale comincia a Niblogo, io sono partita un po’ più in basso, da Bormio, raggiungendo Niblogo per stradine secondarie. Ho seguito il percorso classico fino al rifugio Pizzini, per poi deviare sul sentiero glaciologico che passa dal rifugio Branca e poi dal Forni. Sono scesa a Santa Caterina Valfurva dalla strada e poi, per sentieri, ho raggiunto Bormio 2000. Pochi chilometri su pista e strada, infine, mi hanno riportato al punto di partenza. Tempo di percorrenza: 12 ore incluse lunghe soste ai rifugi, effettive 10 ore e mezza. Più di metà del percorso rimane sopra i 2000 m e il punto più alto è il passo Zebrù, a 3005 m. Chi ama le lunghe letture troverà qui di seguito il resoconto dettagliato; gli altri possono limitarsi a scaricare la traccia: il percorso, per quanto lungo, è uno dei meno problematici che conosca.
Per poter rientrare a un’ora decente, decido di partire prestissimo e all’ultimo mi prenoto una stanza all’hotel Eira, un ottimo due stelle comodo e pulito: è qui che inizia e finisce la mia traccia gpx. Dall’hotel seguo la strada in discesa verso il centro di Bormio e imbocco il sentiero Frodolfo, una pista ciclo-pedonale che segue il corso dell’omonimo torrente. Corricchiando in leggera salita, raggiungo Uzza e poi San Nicolò.
Non mi dilungherò su questa parte del giro, in assoluto la meno interessante: basta seguire la traccia gpx o, alla peggio, la strada. Da Niblogo cambia tutto, perché la vista si apre sulla spettacolare Val Zebrù, ancora tutta in ombra benché si preannunci una giornata spettacolare.
I primi chilometri del Confinale sono tutti da correre. Si guadagna dislivello in modo insopportabilmente lento su una strada sterrata, noiosa ma funzionale allo scopo di togliermi in fretta i primi 15 km. Si passa per infinite malghe, ma si entra nel vivo del percorso solo a partire dalla Baita Pastori: qui faccio il primo vero rifornimento d’acqua in vista della salita per il rifugio Quinto Alpini.
Il sentiero, o meglio la strada, si allontana sempre più dal fondovalle per inerpicarsi verso il gruppo Zebrù, Gran Zebrù, Orles, ancora immersi nell’ombra e nelle nubi.
Dall’altro lato della valle, illuminato dalle prime luci, è invece facilmente individuabile il monte Confinale, quello che dà il nome al mio giro.
Le ultime tracce di verde scompaiono e mi ritrovo nell’infinita pietraia che mi aveva impressionato già cinque anni fa, al mio primo giro del Confinale. La magia di questo ambiente lunare è un po’ guastata dalla fiumana di persone che sta scendendo dal rifugio, ma d’altra parte è normale che un posto così bello sia affollato. Saluto tutti e mi arrampico fino alle bandierine tibetane che troneggiano poco sopra il tetto giallo del Quinto Alpini, da cui la vista può spaziare dalla vedretta dello Zebrù fin giù per tutta l’omonima valle.
Batto un po’ i denti (sono in canotta, mentre gli ospiti del Quinto Alpini indossano il piumino) ma mi godo l’arietta di alta montagna: la prossima settimana a Milano ne sentirò senz’altro la mancanza. Volgo uno sguardo al rifugio sotto di me, che nel frattempo si è svuotato, e decido che è ora di fare colazione.
Una fetta di torta al grano saraceno con marmellata di mirtilli mi rimette al mondo, mentre mi scambio racconti di montagna con i gentilissimi gestori del rifugio. Ristorata e riscaldata dai primi raggi di sole, che finalmente stanno illuminando anche questo lato della valle, lascio il Quinto Alpini e ridiscendo per qualche centinaio di metri dalla stessa pista da cui sono salita. Al bivio prendo il sentiero a sinistra e inizio la traversata verso il passo Zebrù, con lo sfondo del monte Confinale.
Questo bel traverso su pietraia è tutto facile, per lo più corribile. Perdo un po’ di quota prima di riprendere a salire verso il passo, superando alcuni gruppi di escursionisti incredibilmente gentili: in tutto il giorno non ho avuto bisogno di chiedere permesso neanche una volta e la presenza di tante persone non mi ha infastidito né rallentato, caso più unico che raro sulle montagne “facili”.
Lungo la salita c’è solo un breve tratto che può risultare difficoltoso, un canalino ripido e pieno di sfasciumi, ma qualche catena al posto giusto aiuta nella progressione. Occhio a non seguire le tracce degli animali (come ho fatto io), ma i bolli e appunto le poche catene. Dopo il canale raggiungo il passo da un sentiero facile e super panoramico, nell’aria fresca e rarefatta dei 3000 m.
Al passo, il Gran Zebrù fa capolino a sinistra da dietro una montagna più bassa, che potrebbe essere la Cima della Miniera, mentre di fronte a me si apre la valle di Cedec, con il Cevedale e la sua vedretta che incombono su un minuscolo rifugio Pizzini.
La discesa al rifugio è piacevole e divertente: più che su un sentiero, sembra di correre per strada. Non per niente incrocio innumerevoli escursionisti e persino dei ciclisti in mountain bike. Dietro al rifugio Pizzini trovo una fontana, dove riempio le flask prima di avviarmi verso il sentiero glaciologico per il Branca: da qui in avanti il percorso differisce dal giro del Confinale, che passa invece per il sentiero panoramico parallelo al glaciologico.
Perdo ancora un po’ di quota prima di cominciare un lungo tratto di saliscendi, così panoramico che quasi non mi rendo conto di avere già macinato 30 km. La vista si apre, sempre più spettacolare, sul ghiacciaio dei Forni.
Al rifugio Branca, affollatissimo all’ora di pranzo, mi fermo il tempo di un caffè, poi riparto seguendo sempre il sentiero glaciologico. Sono ora circondata da enormi rocce scavate dal ghiacciaio, che ormai si è ritirato, ma rimane pur sempre uno spettacolo maestoso.
Anche questo percorso è, giustamente, piuttosto affollato. Mi sorprende vedere diverse famiglie con bambini anche piccoli: il sentiero è sì facile, ma non una strada sterrata come quella che attraversa la Val Zebrù. Supero infine il rifugio Forni e comincio la discesa su strada, circa 6 km, verso Santa Caterina. Solo qui comincio a patire un po’ il caldo, ma per fortuna trovo subito una bella fontana per fare rifornimento – non lo so ancora, ma sarà l’unico punto acqua da qui a Bormio 2000. Attraverso il centro del paese e il torrente Frodolfo, poi prendo la strada in salita seguendo le indicazioni per Monti di Sclanera.
Prima su strada sterrata, poi su una ripida pista supero il bosco e torno a quota 2000 m, dove il caldo dà un po’ di tregua. I Monti di Sclanera, scopro, non sono dei monti ma un bell’alpeggio dove il sentiero spiana e mi permette di tirare il fiato, prima di riprendere a salire in direzione Baitin dei Pastori. In alto vedo la stazione di Bormio 3000, e ringrazio mentalmente me stessa per essermi risparmiata una salita così tosta dopo più di 40 km.
In realtà anche questa salita, molto più breve, verso il Baitin dei Pastori mi sta lentamente distruggendo, complice il fatto che ho quasi finito l’acqua e non mi fido a bere dai ruscelli. Il paesaggio però è molto più bello di quanto mi sarei aspettata da questo versante dei monti di Bormio, addomesticati con ovovie e diavolerie varie. Dopo una breve discesa, raggiungo quello che identifico come il Baitin (ma a questo punto sono molto stanca e potrei sbagliarmi) e trovo le indicazioni per Bormio 2000, la mia ultima meta per oggi. Una breve salita mi porta su un altro sentiero corribile e panoramico, con una vista sul Confinale che mi sembra la degna conclusione del mio anello (anche se alla conclusione mancano ancora 13 km).
Il sentiero mi porta a una lunga, estenuante strada sterrata, dove nessuno ha pensato di piazzare una fontana, nonostante l’acqua sgorghi da tutte le parti. Stanca e disidratata, mi trascino per 5 km in leggera discesa, che mi sembrano 10 km in leggera salita, fino all’apparizione celestiale dei cavi dell’ovovia. Bormio 2000 sembra un grande parco divertimenti per persone poco sportive, ma in questo momento voglio solo una coca gelata con tanto limone e, in un grande parco divertimenti, ho la certezza di trovarla.
L’assunzione di liquidi, zucchero e caffeina mi dà una botta di vita insperata: riparto di buon passo seguendo prima una pista in ripida discesa, poi la strada asfaltata a tornanti che, passando per San Pietro e per Eira, mi riporta finalmente al parcheggio dell’hotel.
Confinale allungato (62 km – 3300 m D+)
18 Luglio 2023 by marta • Valtellina Tags: 60 km, bormio, bormio 2000, corsa in montagna, forni, ghiacciaio, giro del confinale, quinto alpini, santa caterina valfurva, sentiero glaciologico, trail running, valtellina, zebrù • 2 Comments
Il meraviglioso giro del Confinale, con qualche chilometrino in più!
Bormio – Niblogo – Baita Pastori – Rifugio Quinto Alpini (2877 m) – Passo Zebrù (3005 m) – Rifugio Pizzini (2706 m) – Rifugio Branca (2493 m) – Rifugio Forni – Santa Caterina Valfurva – Baitin dei Pastori – Bormio 2000 – Bormio.
Periodo: Luglio 2023
Partenza: Bormio
Distanza: 62 km
Dislivello: 3300 m
Acqua: diverse fontane e rifugi lungo tutto il percorso. Solo tra Santa Caterina e Bormio 2000 (14 km) non si trova acqua.
GPX (clic dx, salva link con nome)
Il giro del Confinale è perfetto per un lungo allenamento estivo: i suoi scorci meravigliosi, i sentieri facili ma in alta quota, le fontane e i rifugi lungo tutto il percorso lo rendono particolarmente appetibile in questo periodo dell’anno.
Mi sono permessa di apportare qualche modifica a questo anello perfetto perché il giro del Confinale è lungo “solo” una quarantina di chilometri, mentre a me serviva farne sessanta. In realtà le aggiunte, inserite solo ai fini dell’allenamento, si sono rivelate anche meglio del percorso originale: il sentiero glaciologico dei Forni, in particolare, è stato una vera scoperta.
Mentre il giro del Confinale comincia a Niblogo, io sono partita un po’ più in basso, da Bormio, raggiungendo Niblogo per stradine secondarie. Ho seguito il percorso classico fino al rifugio Pizzini, per poi deviare sul sentiero glaciologico che passa dal rifugio Branca e poi dal Forni. Sono scesa a Santa Caterina Valfurva dalla strada e poi, per sentieri, ho raggiunto Bormio 2000. Pochi chilometri su pista e strada, infine, mi hanno riportato al punto di partenza. Tempo di percorrenza: 12 ore incluse lunghe soste ai rifugi, effettive 10 ore e mezza. Più di metà del percorso rimane sopra i 2000 m e il punto più alto è il passo Zebrù, a 3005 m. Chi ama le lunghe letture troverà qui di seguito il resoconto dettagliato; gli altri possono limitarsi a scaricare la traccia: il percorso, per quanto lungo, è uno dei meno problematici che conosca.
Per poter rientrare a un’ora decente, decido di partire prestissimo e all’ultimo mi prenoto una stanza all’hotel Eira, un ottimo due stelle comodo e pulito: è qui che inizia e finisce la mia traccia gpx. Dall’hotel seguo la strada in discesa verso il centro di Bormio e imbocco il sentiero Frodolfo, una pista ciclo-pedonale che segue il corso dell’omonimo torrente. Corricchiando in leggera salita, raggiungo Uzza e poi San Nicolò.
Non mi dilungherò su questa parte del giro, in assoluto la meno interessante: basta seguire la traccia gpx o, alla peggio, la strada. Da Niblogo cambia tutto, perché la vista si apre sulla spettacolare Val Zebrù, ancora tutta in ombra benché si preannunci una giornata spettacolare.
I primi chilometri del Confinale sono tutti da correre. Si guadagna dislivello in modo insopportabilmente lento su una strada sterrata, noiosa ma funzionale allo scopo di togliermi in fretta i primi 15 km. Si passa per infinite malghe, ma si entra nel vivo del percorso solo a partire dalla Baita Pastori: qui faccio il primo vero rifornimento d’acqua in vista della salita per il rifugio Quinto Alpini.
Il sentiero, o meglio la strada, si allontana sempre più dal fondovalle per inerpicarsi verso il gruppo Zebrù, Gran Zebrù, Orles, ancora immersi nell’ombra e nelle nubi.
Dall’altro lato della valle, illuminato dalle prime luci, è invece facilmente individuabile il monte Confinale, quello che dà il nome al mio giro.
Le ultime tracce di verde scompaiono e mi ritrovo nell’infinita pietraia che mi aveva impressionato già cinque anni fa, al mio primo giro del Confinale. La magia di questo ambiente lunare è un po’ guastata dalla fiumana di persone che sta scendendo dal rifugio, ma d’altra parte è normale che un posto così bello sia affollato. Saluto tutti e mi arrampico fino alle bandierine tibetane che troneggiano poco sopra il tetto giallo del Quinto Alpini, da cui la vista può spaziare dalla vedretta dello Zebrù fin giù per tutta l’omonima valle.
Batto un po’ i denti (sono in canotta, mentre gli ospiti del Quinto Alpini indossano il piumino) ma mi godo l’arietta di alta montagna: la prossima settimana a Milano ne sentirò senz’altro la mancanza. Volgo uno sguardo al rifugio sotto di me, che nel frattempo si è svuotato, e decido che è ora di fare colazione.
Una fetta di torta al grano saraceno con marmellata di mirtilli mi rimette al mondo, mentre mi scambio racconti di montagna con i gentilissimi gestori del rifugio. Ristorata e riscaldata dai primi raggi di sole, che finalmente stanno illuminando anche questo lato della valle, lascio il Quinto Alpini e ridiscendo per qualche centinaio di metri dalla stessa pista da cui sono salita. Al bivio prendo il sentiero a sinistra e inizio la traversata verso il passo Zebrù, con lo sfondo del monte Confinale.
Questo bel traverso su pietraia è tutto facile, per lo più corribile. Perdo un po’ di quota prima di riprendere a salire verso il passo, superando alcuni gruppi di escursionisti incredibilmente gentili: in tutto il giorno non ho avuto bisogno di chiedere permesso neanche una volta e la presenza di tante persone non mi ha infastidito né rallentato, caso più unico che raro sulle montagne “facili”.
Lungo la salita c’è solo un breve tratto che può risultare difficoltoso, un canalino ripido e pieno di sfasciumi, ma qualche catena al posto giusto aiuta nella progressione. Occhio a non seguire le tracce degli animali (come ho fatto io), ma i bolli e appunto le poche catene. Dopo il canale raggiungo il passo da un sentiero facile e super panoramico, nell’aria fresca e rarefatta dei 3000 m.
Al passo, il Gran Zebrù fa capolino a sinistra da dietro una montagna più bassa, che potrebbe essere la Cima della Miniera, mentre di fronte a me si apre la valle di Cedec, con il Cevedale e la sua vedretta che incombono su un minuscolo rifugio Pizzini.
La discesa al rifugio è piacevole e divertente: più che su un sentiero, sembra di correre per strada. Non per niente incrocio innumerevoli escursionisti e persino dei ciclisti in mountain bike. Dietro al rifugio Pizzini trovo una fontana, dove riempio le flask prima di avviarmi verso il sentiero glaciologico per il Branca: da qui in avanti il percorso differisce dal giro del Confinale, che passa invece per il sentiero panoramico parallelo al glaciologico.
Perdo ancora un po’ di quota prima di cominciare un lungo tratto di saliscendi, così panoramico che quasi non mi rendo conto di avere già macinato 30 km. La vista si apre, sempre più spettacolare, sul ghiacciaio dei Forni.
Al rifugio Branca, affollatissimo all’ora di pranzo, mi fermo il tempo di un caffè, poi riparto seguendo sempre il sentiero glaciologico. Sono ora circondata da enormi rocce scavate dal ghiacciaio, che ormai si è ritirato, ma rimane pur sempre uno spettacolo maestoso.
Anche questo percorso è, giustamente, piuttosto affollato. Mi sorprende vedere diverse famiglie con bambini anche piccoli: il sentiero è sì facile, ma non una strada sterrata come quella che attraversa la Val Zebrù. Supero infine il rifugio Forni e comincio la discesa su strada, circa 6 km, verso Santa Caterina. Solo qui comincio a patire un po’ il caldo, ma per fortuna trovo subito una bella fontana per fare rifornimento – non lo so ancora, ma sarà l’unico punto acqua da qui a Bormio 2000. Attraverso il centro del paese e il torrente Frodolfo, poi prendo la strada in salita seguendo le indicazioni per Monti di Sclanera.
Prima su strada sterrata, poi su una ripida pista supero il bosco e torno a quota 2000 m, dove il caldo dà un po’ di tregua. I Monti di Sclanera, scopro, non sono dei monti ma un bell’alpeggio dove il sentiero spiana e mi permette di tirare il fiato, prima di riprendere a salire in direzione Baitin dei Pastori. In alto vedo la stazione di Bormio 3000, e ringrazio mentalmente me stessa per essermi risparmiata una salita così tosta dopo più di 40 km.
In realtà anche questa salita, molto più breve, verso il Baitin dei Pastori mi sta lentamente distruggendo, complice il fatto che ho quasi finito l’acqua e non mi fido a bere dai ruscelli. Il paesaggio però è molto più bello di quanto mi sarei aspettata da questo versante dei monti di Bormio, addomesticati con ovovie e diavolerie varie. Dopo una breve discesa, raggiungo quello che identifico come il Baitin (ma a questo punto sono molto stanca e potrei sbagliarmi) e trovo le indicazioni per Bormio 2000, la mia ultima meta per oggi. Una breve salita mi porta su un altro sentiero corribile e panoramico, con una vista sul Confinale che mi sembra la degna conclusione del mio anello (anche se alla conclusione mancano ancora 13 km).
Il sentiero mi porta a una lunga, estenuante strada sterrata, dove nessuno ha pensato di piazzare una fontana, nonostante l’acqua sgorghi da tutte le parti. Stanca e disidratata, mi trascino per 5 km in leggera discesa, che mi sembrano 10 km in leggera salita, fino all’apparizione celestiale dei cavi dell’ovovia. Bormio 2000 sembra un grande parco divertimenti per persone poco sportive, ma in questo momento voglio solo una coca gelata con tanto limone e, in un grande parco divertimenti, ho la certezza di trovarla.
L’assunzione di liquidi, zucchero e caffeina mi dà una botta di vita insperata: riparto di buon passo seguendo prima una pista in ripida discesa, poi la strada asfaltata a tornanti che, passando per San Pietro e per Eira, mi riporta finalmente al parcheggio dell’hotel.