Filorera (Casa della Montagna) – Rifugio Scotti (1465 m) – Rifugio Ponti (2559 m) – Bocchetta Roma (2894 m) – Bivacco Kima (2750 m) – Passo Cameraccio (2950 m) – Bivacco Manzi (2562 m) – Passo Torrone (2518 m) – Rifugio Allievi-Bonacossa (2384 m) – Passo dell’Averta (2551 m) – Passo Qualido (2647 m) – Passo Camerozzo (2765 m) – Rifugio Gianetti (2534 m) – Passo Barbacan (2570 m) – Rifugio Omio (2108 m) – Bagni di Masino – San Martino – Filorera.
Periodo: Luglio 2020
Partenza: Filorera (841 m)
Distanza: 52 km
Dislivello: 4200 m
Acqua: fontana all’Allievi e alla Giannetti, per il resto ci siamo serviti ai ruscelli.
I numeri del Trofeo Kima, una delle più spettacolari skymarathon in Italia, sono impressionanti: 52 km, 4200 m di dislivello positivo e 7 passi ad alta quota, tecnicissimi, da superare in velocità lungo quella meravigliosa alta via che è il Sentiero Roma. Roba da top runner, insomma. Pensare ai tempi non solo di chi vince la gara in sei ore, ma anche di chi la chiude entro le undici ore concesse dal regolamento, mette davvero in soggezione i comuni mortali come me. Mai avrei immaginato di poterlo fare in un giorno solo.
Ma i super soci Meme e Samuel hanno deciso di osare: come avrei potuto tirarmi indietro senza poi passare la giornata a rosicare per non essere lì con loro? La mia idea era di partire con loro e a un certo punto ritirarmi in buon ordine: dall’Allievi scendendo per la val di Zocca, oppure più avanti, dal bivacco Molteni-Valsecchi per la Val del Ferro – le vie di fuga non mancano, in questo giro, e in tutta onestà è stata proprio la possibilità di abbandonare a convincermi a provare. Invece le gambe giravano, i soci mi aspettavano pazientemente e, in qualche modo, abbiamo trovato tutti e tre la motivazione per superare, uno dopo l’altro, i sette temibili passi del Kima e l’infinita discesa per chiudere il giro.
Ecco allora il racconto della nostra impresa, per chi vuole affrontare la stessa sfida e per chi preferisce dividere il percorso in due o più giorni: in entrambi i casi, sarà un viaggio indimenticabile.
Permettetemi innanzitutto di darvi qualche consiglio pratico. Primo, bisogna essere preparati ad affrontare un ambiente estremamente severo di alta montagna: provate magari a percorrere qualche pezzo del Sentiero Roma prima di affrontare il giro completo, in modo da rendervi conto delle difficoltà. Secondo, a meno che siate al tempo stesso alpinisti provetti e runner di livello, considerate dei tempi molto più lunghi di quelli che potreste impiegare, a parità di distanza e dislivello, in una gara trail. Terzo, aspettate che le condizioni meteo siano ideali: sarebbe pericoloso affrontare questo percorso con la pioggia o in condizioni di scarsa visibilità. Un altro fattore da tenere a mente è la neve: nel mese di luglio ce n’è ancora tanta e alcuni nevai permangono in agosto; la parte più alta del giro è anche quella che affronterete per prima, tra la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio, e passando al mattino presto rischiate di trovare neve ghiacciata. I ramponcini, se non proprio indispensabili per chi si sa muovere bene, sono comunque uno strumento fondamentale per superare velocemente e in sicurezza i primi traversi su nevaio. Infine, vi consiglio caldamente di affrontare l’impresa in compagnia di un paio di amici fidati: non solo perché è bello condividere gioie e dolori di questo percorso, ma anche perché è più facile arrivare alla fine con qualcuno accanto che ti incoraggia e ti tira su di morale negli inevitabili momenti di crisi.
La partenza è da Filorera, dal piazzale antistante la Casa della Montagna – dove, se volete, la gentilissima signora Iris vi offrirà una sistemazione per la notte e preziosi consigli sulle condizioni del percorso. Tutto il giro è perfettamente indicato, per cui mi sento di dire che la traccia gpx, che pure allego al post come al solito, in questo caso non serve se non a consumarvi la batteria dell’orologio. Una volta acquisito il segnale gps – operazione che nel nostro caso ha richiesto parecchio tempo – si attraversa il ponte e si parte!
Per i primi 7 km si segue la strada asfaltata che sale per la valle di Predarossa, passando per il Rifugio Scotti. In questo primo tratto si supera una galleria non brevissima, illuminata da una luce temporizzata la cui durata deve però essere stata calcolata sui tempi di Kilian – meglio tenere la frontale a portata di mano, se non la percorrete proprio di corsa. Dopo Sasso Bisolo, troviamo sulla sinistra un sentiero, poco battuto ma bene indicato, che taglia i tornanti e ci porta rapidamente a quota 1980 m, dove finisce la strada e comincia il sentiero per il Rifugio Ponti.
La vista da qui si apre, regalandoci un piccolo assaggio dello scenario che ci attende poco più in alto. Possiamo goderci un chilometrino di corsa in piano lungo il torrente, prima che il sentiero cominci di nuovo a inerpicarsi verso il Rifugio Ponti (2559 m) e poi ancora più su, sempre più in alto, fino ai 2894 m della Bocchetta Roma.
Niente male, se si pensa che abbiamo guadagnato in un sol colpo duemila metri di quota. Di fronte a noi troneggia il Disgrazia mentre, più che seguire una traccia, saltelliamo da un blocco di granito all’altro seguendo i bolli, sempre evidenti, del Sentiero Roma fino alla bocchetta omonima, il primo dei sette passi che ci aspettano.
Superata la bocchetta, ci aspetta una discesa vertiginosa, tutt’altro che banale, giù per enormi placche di granito attrezzate con catene. Purtroppo non ho foto per illustrare i punti più verticali: portavo i guanti, avevo le mani occupate con le catene e la testa concentrata sull’obiettivo sopravvivenza. Credetemi, però, se vi dico che scendere dalla Bocchetta Roma al nevaio sottostante, con il vento e la temperatura che può esserci a quella quota alle nove del mattino, può risultare impegnativo anche per i più esperti.
Si attraversano ora dei tratti su nevaio, alcuni un po’ delicati a causa della neve ghiacciata. I ramponcini si sono rivelati fondamentali in questa fredda, severa Val Cameraccio. Superiamo il bivacco Kima e proseguiamo in un fantastico anfiteatro di vette aguzze in direzione di quella più aguzza di tutte, il Pizzo Cameraccio.
Superando o aggirando, a seconda dei casi, qualche altra lingua di neve, ora più morbida perché esposta al sole, arriviamo al Passo Cameraccio, che con i suoi 2950 m è il punto più alto del giro. Anche qui, la discesa è molto ripida e la roccia, forse per la neve, forse per la pioggia del giorno prima, risulta bagnata e scivolosa: dobbiamo calarci facendo affidamento solo sulle catene e sulla forza delle braccia, il che per alcuni (vedi i miei soci) non rappresenta un problema, per altri (vedi me) può risultare impegnativo. Come prima, alla fine delle catene atterriamo su un bel nevaio in discesa.
Per fortuna adesso la neve è morbida e ci si può lasciare scivolare verso il basso, chi sciando con qualche tonfo (vedi i miei soci), chi usando direttamente il sedere come slittino (vedi me). Pur con qualche abrasione, siamo arrivati in fondo al nevaio, ritrovandoci in un ambiente fantastico, reso ancora più bello dai famosi “blocchi di ghiaccio che si aggirano” di cui mi aveva parlato la signora Iris, per il divertimento di Samuel e Meme. Una valanga, infatti, si era staccata dalle ripide pareti del Pizzo Cameraccio, dando a questa valle, già imponente, un aspetto più fiabesco del solito.
Perdiamo ora parecchia quota, passando per il bivacco Manzi e scendendo giù per la Val Torrone. Dopo tanto tempo a spasso su neve e pietraie oltre i 2700 metri, il paesaggio sembra addolcirsi e finalmente possiamo corricchiare su una parvenza di sentiero.
La discesa dura troppo poco e ben presto si riprende a salire, per arrivare al canalino attrezzato con catene che porta al Passo Torrone (2518 m). La difficoltà non ha niente a che vedere con quella dei due passi precedenti e, in ogni caso, a questa quota sembra tutto più facile. Entriamo ora in un nuovo anfiteatro roccioso, quello della Val di Zocca. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi-Bonacossa, che per noi segna la metà del percorso. Qui facciamo la prima vera pausa, con rifornimento d’acqua alla fontana e di coca cola al rifugio, poi, senza perdere troppo tempo, ripartiamo alla volta del Rifugio Gianetti, che i cartelli danno a 7 ore di cammino.
Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al Passo dell’Averta (2551 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto. Altra valle, altro spettacolare anfiteatro di montagne: ma la stanchezza comincia a farsi sentire mentre di nuovo ci inerpichiamo verso il prossimo passo, il Qualido (2647 m).
A questo punto siamo a cinque passi su sette. Abbiamo sulle gambe tremila metri di dislivello e dobbiamo farne ancora mille. Abbiamo percorso circa trenta chilometri e sappiamo che ne mancano una ventina. Bene ma non benissimo, come si può dedurre dall’espressione di Meme qui sotto.
Ci facciamo coraggio e continuiamo in discesa lungo una canale franoso ma fortunatamente breve, trovandoci immersi nel fantastico scenario della Val del Ferro tra rocce, roccette ed enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Vediamo più in basso il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), che per noi rappresenta l’uscita di emergenza: da qui si potrebbe scendere fino a raggiungere la Val di Mello, San Martino e poi Filorera in tempi relativamente brevi. La tentazione c’è, ma siamo determinati a proseguire.
Il prossimo ostacolo da superare è il Passo Camerozzo (2765 m), decisamente più impegnativo dei tre precedenti. Va detto che, seguendo il giro del Kima, ci troviamo ad affrontare la parte difficile di questo passo in salita, non in discesa come per la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio. Dobbiamo comunque mantenere alta la concentrazione per aggirare una lingua di neve e un paio di catene rotte mentre faticosamente ci arrampichiamo verso la bocchetta, che sembra non arrivare mai.
Invece arriva e, finalmente, davanti a noi si spalanca la Val Porcellizzo in tutta la sua bellezza, con il Rifugio Gianetti ancora lontano, ma perlomeno in vista. Per scendere dobbiamo superare ancora qualche roccetta attrezzata con catene, ma il peggio è passato. Da qui in avanti non saranno tanto le doti alpinistiche a fare la differenza, quanto la resistenza e la resilienza che sapremo trovare dentro di noi.
Al rifugio ci fermiamo giusto il tempo di rabboccare le borracce e ammirare il Cengalo e il Badile che, nonostante sia ormai sera, sono ancora ben visibili in questa giornata dal meteo semplicemente perfetto. Il prossimo rifugio, l’Omio, è indicato a tre ore e mezza di cammino. Proseguiamo più o meno in piano, attraversando la Val Porcellizzo fino alla salita, l’ultima, per il Passo Barbacan (2570 m).
Il passo, in sé, non è impegnativo: in salita c’è qualche tratto attrezzato con catene, di cui si può anche fare a meno, in discesa invece bisogna fare i conti con un sentiero ripido e scomodo, ma privo di particolari difficoltà. Quando ci è sembrato di avere finalmente raggiunto un terreno facile, poi, abbiamo dovuto fare i conti con un vero e proprio pantano che ha rallentato ulteriormente il nostro passo – soprattutto il mio.
La parte più dura di tutto il giro è stata la discesa, infinita: dal Rifugio Omio ai Bagni di Masino attraverso il bosco, ormai con la frontale accesa; dai Bagni di Masino per circa 7 km lungo la strada fino a San Martino e poi a Filorera. Dando fondo alle ultime energie rimaste e ignorando i dolori ai piedi e alle ginocchia, finalmente abbiamo guadagnato il parcheggio della Casa della Montagna, senza finish line e senza pubblico, è vero, ma con un bel trofeo morale da mettere in bacheca!
Conclusione raggiunta dopo 17 ore (ebbene sì) in giro per i monti: tutto si può fare, a patto di avere gambe allenate, forza di volontà e soprattutto un paio di buoni amici che ti sostengono quando gambe e testa vacillano, aiutandoti a superare i tuoi limiti e a raggiungere un obiettivo altrimenti irrealizzabile.
Kima (52 km – 4200 m D+)
27 Luglio 2020 by marta • Senza categoria, Valtellina Tags: allievi, averta, bagni di masino, barbacan, bivacco kima, bocchetta roma, corsa in montagna, filorera, giannetti, kima, omio, passo cameraccio, passo camerozzo, passo torrone, ponti, predarossa, qualido, san martino, sentiero roma, trail running, valle del ferro, valmasino • 2 Comments
Filorera (Casa della Montagna) – Rifugio Scotti (1465 m) – Rifugio Ponti (2559 m) – Bocchetta Roma (2894 m) – Bivacco Kima (2750 m) – Passo Cameraccio (2950 m) – Bivacco Manzi (2562 m) – Passo Torrone (2518 m) – Rifugio Allievi-Bonacossa (2384 m) – Passo dell’Averta (2551 m) – Passo Qualido (2647 m) – Passo Camerozzo (2765 m) – Rifugio Gianetti (2534 m) – Passo Barbacan (2570 m) – Rifugio Omio (2108 m) – Bagni di Masino – San Martino – Filorera.
Periodo: Luglio 2020
Partenza: Filorera (841 m)
Distanza: 52 km
Dislivello: 4200 m
Acqua: fontana all’Allievi e alla Giannetti, per il resto ci siamo serviti ai ruscelli.
GPX (clic dx, salva link con nome)
I numeri del Trofeo Kima, una delle più spettacolari skymarathon in Italia, sono impressionanti: 52 km, 4200 m di dislivello positivo e 7 passi ad alta quota, tecnicissimi, da superare in velocità lungo quella meravigliosa alta via che è il Sentiero Roma. Roba da top runner, insomma. Pensare ai tempi non solo di chi vince la gara in sei ore, ma anche di chi la chiude entro le undici ore concesse dal regolamento, mette davvero in soggezione i comuni mortali come me. Mai avrei immaginato di poterlo fare in un giorno solo.
Ma i super soci Meme e Samuel hanno deciso di osare: come avrei potuto tirarmi indietro senza poi passare la giornata a rosicare per non essere lì con loro? La mia idea era di partire con loro e a un certo punto ritirarmi in buon ordine: dall’Allievi scendendo per la val di Zocca, oppure più avanti, dal bivacco Molteni-Valsecchi per la Val del Ferro – le vie di fuga non mancano, in questo giro, e in tutta onestà è stata proprio la possibilità di abbandonare a convincermi a provare. Invece le gambe giravano, i soci mi aspettavano pazientemente e, in qualche modo, abbiamo trovato tutti e tre la motivazione per superare, uno dopo l’altro, i sette temibili passi del Kima e l’infinita discesa per chiudere il giro.
Ecco allora il racconto della nostra impresa, per chi vuole affrontare la stessa sfida e per chi preferisce dividere il percorso in due o più giorni: in entrambi i casi, sarà un viaggio indimenticabile.
Permettetemi innanzitutto di darvi qualche consiglio pratico. Primo, bisogna essere preparati ad affrontare un ambiente estremamente severo di alta montagna: provate magari a percorrere qualche pezzo del Sentiero Roma prima di affrontare il giro completo, in modo da rendervi conto delle difficoltà. Secondo, a meno che siate al tempo stesso alpinisti provetti e runner di livello, considerate dei tempi molto più lunghi di quelli che potreste impiegare, a parità di distanza e dislivello, in una gara trail. Terzo, aspettate che le condizioni meteo siano ideali: sarebbe pericoloso affrontare questo percorso con la pioggia o in condizioni di scarsa visibilità. Un altro fattore da tenere a mente è la neve: nel mese di luglio ce n’è ancora tanta e alcuni nevai permangono in agosto; la parte più alta del giro è anche quella che affronterete per prima, tra la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio, e passando al mattino presto rischiate di trovare neve ghiacciata. I ramponcini, se non proprio indispensabili per chi si sa muovere bene, sono comunque uno strumento fondamentale per superare velocemente e in sicurezza i primi traversi su nevaio. Infine, vi consiglio caldamente di affrontare l’impresa in compagnia di un paio di amici fidati: non solo perché è bello condividere gioie e dolori di questo percorso, ma anche perché è più facile arrivare alla fine con qualcuno accanto che ti incoraggia e ti tira su di morale negli inevitabili momenti di crisi.
La partenza è da Filorera, dal piazzale antistante la Casa della Montagna – dove, se volete, la gentilissima signora Iris vi offrirà una sistemazione per la notte e preziosi consigli sulle condizioni del percorso. Tutto il giro è perfettamente indicato, per cui mi sento di dire che la traccia gpx, che pure allego al post come al solito, in questo caso non serve se non a consumarvi la batteria dell’orologio. Una volta acquisito il segnale gps – operazione che nel nostro caso ha richiesto parecchio tempo – si attraversa il ponte e si parte!
Per i primi 7 km si segue la strada asfaltata che sale per la valle di Predarossa, passando per il Rifugio Scotti. In questo primo tratto si supera una galleria non brevissima, illuminata da una luce temporizzata la cui durata deve però essere stata calcolata sui tempi di Kilian – meglio tenere la frontale a portata di mano, se non la percorrete proprio di corsa. Dopo Sasso Bisolo, troviamo sulla sinistra un sentiero, poco battuto ma bene indicato, che taglia i tornanti e ci porta rapidamente a quota 1980 m, dove finisce la strada e comincia il sentiero per il Rifugio Ponti.
La vista da qui si apre, regalandoci un piccolo assaggio dello scenario che ci attende poco più in alto. Possiamo goderci un chilometrino di corsa in piano lungo il torrente, prima che il sentiero cominci di nuovo a inerpicarsi verso il Rifugio Ponti (2559 m) e poi ancora più su, sempre più in alto, fino ai 2894 m della Bocchetta Roma.
Niente male, se si pensa che abbiamo guadagnato in un sol colpo duemila metri di quota. Di fronte a noi troneggia il Disgrazia mentre, più che seguire una traccia, saltelliamo da un blocco di granito all’altro seguendo i bolli, sempre evidenti, del Sentiero Roma fino alla bocchetta omonima, il primo dei sette passi che ci aspettano.
Superata la bocchetta, ci aspetta una discesa vertiginosa, tutt’altro che banale, giù per enormi placche di granito attrezzate con catene. Purtroppo non ho foto per illustrare i punti più verticali: portavo i guanti, avevo le mani occupate con le catene e la testa concentrata sull’obiettivo sopravvivenza. Credetemi, però, se vi dico che scendere dalla Bocchetta Roma al nevaio sottostante, con il vento e la temperatura che può esserci a quella quota alle nove del mattino, può risultare impegnativo anche per i più esperti.
Si attraversano ora dei tratti su nevaio, alcuni un po’ delicati a causa della neve ghiacciata. I ramponcini si sono rivelati fondamentali in questa fredda, severa Val Cameraccio. Superiamo il bivacco Kima e proseguiamo in un fantastico anfiteatro di vette aguzze in direzione di quella più aguzza di tutte, il Pizzo Cameraccio.
Superando o aggirando, a seconda dei casi, qualche altra lingua di neve, ora più morbida perché esposta al sole, arriviamo al Passo Cameraccio, che con i suoi 2950 m è il punto più alto del giro. Anche qui, la discesa è molto ripida e la roccia, forse per la neve, forse per la pioggia del giorno prima, risulta bagnata e scivolosa: dobbiamo calarci facendo affidamento solo sulle catene e sulla forza delle braccia, il che per alcuni (vedi i miei soci) non rappresenta un problema, per altri (vedi me) può risultare impegnativo. Come prima, alla fine delle catene atterriamo su un bel nevaio in discesa.
Per fortuna adesso la neve è morbida e ci si può lasciare scivolare verso il basso, chi sciando con qualche tonfo (vedi i miei soci), chi usando direttamente il sedere come slittino (vedi me). Pur con qualche abrasione, siamo arrivati in fondo al nevaio, ritrovandoci in un ambiente fantastico, reso ancora più bello dai famosi “blocchi di ghiaccio che si aggirano” di cui mi aveva parlato la signora Iris, per il divertimento di Samuel e Meme. Una valanga, infatti, si era staccata dalle ripide pareti del Pizzo Cameraccio, dando a questa valle, già imponente, un aspetto più fiabesco del solito.
Perdiamo ora parecchia quota, passando per il bivacco Manzi e scendendo giù per la Val Torrone. Dopo tanto tempo a spasso su neve e pietraie oltre i 2700 metri, il paesaggio sembra addolcirsi e finalmente possiamo corricchiare su una parvenza di sentiero.
La discesa dura troppo poco e ben presto si riprende a salire, per arrivare al canalino attrezzato con catene che porta al Passo Torrone (2518 m). La difficoltà non ha niente a che vedere con quella dei due passi precedenti e, in ogni caso, a questa quota sembra tutto più facile. Entriamo ora in un nuovo anfiteatro roccioso, quello della Val di Zocca. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi-Bonacossa, che per noi segna la metà del percorso. Qui facciamo la prima vera pausa, con rifornimento d’acqua alla fontana e di coca cola al rifugio, poi, senza perdere troppo tempo, ripartiamo alla volta del Rifugio Gianetti, che i cartelli danno a 7 ore di cammino.
Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al Passo dell’Averta (2551 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto. Altra valle, altro spettacolare anfiteatro di montagne: ma la stanchezza comincia a farsi sentire mentre di nuovo ci inerpichiamo verso il prossimo passo, il Qualido (2647 m).
A questo punto siamo a cinque passi su sette. Abbiamo sulle gambe tremila metri di dislivello e dobbiamo farne ancora mille. Abbiamo percorso circa trenta chilometri e sappiamo che ne mancano una ventina. Bene ma non benissimo, come si può dedurre dall’espressione di Meme qui sotto.
Ci facciamo coraggio e continuiamo in discesa lungo una canale franoso ma fortunatamente breve, trovandoci immersi nel fantastico scenario della Val del Ferro tra rocce, roccette ed enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Vediamo più in basso il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), che per noi rappresenta l’uscita di emergenza: da qui si potrebbe scendere fino a raggiungere la Val di Mello, San Martino e poi Filorera in tempi relativamente brevi. La tentazione c’è, ma siamo determinati a proseguire.
Il prossimo ostacolo da superare è il Passo Camerozzo (2765 m), decisamente più impegnativo dei tre precedenti. Va detto che, seguendo il giro del Kima, ci troviamo ad affrontare la parte difficile di questo passo in salita, non in discesa come per la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio. Dobbiamo comunque mantenere alta la concentrazione per aggirare una lingua di neve e un paio di catene rotte mentre faticosamente ci arrampichiamo verso la bocchetta, che sembra non arrivare mai.
Invece arriva e, finalmente, davanti a noi si spalanca la Val Porcellizzo in tutta la sua bellezza, con il Rifugio Gianetti ancora lontano, ma perlomeno in vista. Per scendere dobbiamo superare ancora qualche roccetta attrezzata con catene, ma il peggio è passato. Da qui in avanti non saranno tanto le doti alpinistiche a fare la differenza, quanto la resistenza e la resilienza che sapremo trovare dentro di noi.
Al rifugio ci fermiamo giusto il tempo di rabboccare le borracce e ammirare il Cengalo e il Badile che, nonostante sia ormai sera, sono ancora ben visibili in questa giornata dal meteo semplicemente perfetto. Il prossimo rifugio, l’Omio, è indicato a tre ore e mezza di cammino. Proseguiamo più o meno in piano, attraversando la Val Porcellizzo fino alla salita, l’ultima, per il Passo Barbacan (2570 m).
Il passo, in sé, non è impegnativo: in salita c’è qualche tratto attrezzato con catene, di cui si può anche fare a meno, in discesa invece bisogna fare i conti con un sentiero ripido e scomodo, ma privo di particolari difficoltà. Quando ci è sembrato di avere finalmente raggiunto un terreno facile, poi, abbiamo dovuto fare i conti con un vero e proprio pantano che ha rallentato ulteriormente il nostro passo – soprattutto il mio.
La parte più dura di tutto il giro è stata la discesa, infinita: dal Rifugio Omio ai Bagni di Masino attraverso il bosco, ormai con la frontale accesa; dai Bagni di Masino per circa 7 km lungo la strada fino a San Martino e poi a Filorera. Dando fondo alle ultime energie rimaste e ignorando i dolori ai piedi e alle ginocchia, finalmente abbiamo guadagnato il parcheggio della Casa della Montagna, senza finish line e senza pubblico, è vero, ma con un bel trofeo morale da mettere in bacheca!
Conclusione raggiunta dopo 17 ore (ebbene sì) in giro per i monti: tutto si può fare, a patto di avere gambe allenate, forza di volontà e soprattutto un paio di buoni amici che ti sostengono quando gambe e testa vacillano, aiutandoti a superare i tuoi limiti e a raggiungere un obiettivo altrimenti irrealizzabile.