In Valmalenco sulle tracce della VUT (92 km – 5900 m D+)
Anello di due giorni da Chiesa in Valmalenco lungo il percorso della VUT. Primo giorno: sentiero Rusca – Piasci – rifugio Bosio-Galli (2086 m) – laghetti di Sassersa – passo Ventina (2765 m) – rifugi Ventina e Gerli-Porro – Chiareggio – rifugio Longoni (2450 m) – Lago Palù – rifugio Motta. Secondo giorno: Alpe Musella – valle di Scerscen – rifugio Marinelli Bombardieri (2813 m) – rifugio Carate (2636 m) – forcella di Fellaria (2787 m) – rifugio Bignami (2401 m) – Campomoro – rifugio Cristina (2287 m) – Alpe Cavaglia – Caspoggio – Chiesa.
Periodo: Agosto 2020
Partenza: Chiesa in Valmalenco (960 m)
Distanza: 92 km
Dislivello: 5900 m
Acqua: tra fontane, ruscelli e rifugi si trova abbastanza facilmente.
GPX (clic dx, salva link con nome)
L’alta via della Valmalenco, nota a chiunque pratichi o segua la corsa in montagna per la celebre gara che vi si svolge nel mese di luglio, è un percorso che sarebbe riduttivo definire “bello”: passando per alpeggi bucolici, selvagge pietraie, laghetti alpini, rifugi arroccati in posizioni fantastiche, valli glaciali con scorci su vette innevate e quanto resta dei ghiacciai, a cui le foto davvero non rendono giustizia, non si può fare altro che rallentare il passo e godersi l’incredibile varietà e la struggente bellezza di questi posti. Per fortuna il percorso, per quanto faticoso, è quasi tutto escursionistico e permette spesso di camminare in estasi con il naso per aria!
Il team delle Martas, fedele al principio per cui chi va piano va lontano, ha suddiviso il giro in due tappe: da Chiesa al rifugio Motta (45 km – 3750 m D+) e dal Motta a Chiesa (47 km – 2150 m D+). Procedendo a passo tranquillo ma costante, corricchiando solo in discesa, abbiamo impiegato circa 12 ore per la prima tappa e 11 per la seconda. Diversi tratti semplici e pianeggianti si potrebbero certamente percorrere più in fretta, ma davanti a tali spettacoli della natura vale ben la pena di “perdere tempo” a guardarsi intorno. O almeno questo è ciò che pensiamo noi.
Per chi volesse spezzare il giro in tre tappe più brevi, si può pensare di fermarsi una notte a Chiareggio e un’altra al rifugio Marinelli o al Carate. I punti di appoggio non mancano lungo il percorso, e ovunque troverete persone che conoscono a fondo queste montagne e che sapranno darvi informazioni utili. L’alta via, poi, è davvero ben segnata e la traccia gpx serve a poco – è utile nei pochi tratti fuori dal percorso di gara, quindi all’inizio, alla fine e al Motta, oltre che all’Alpe Musella, quando l’alta via si sdoppia e si rischia di sbagliare strada.
Per quanto riguarda il materiale: il rifugio Motta fornisce lenzuola, asciugamano e bagnoschiuma, per cui abbiamo potuto viaggiare davvero leggere; i bastoncini sono risultati molto utili per affrontare il dislivello del primo giorno; due borracce da mezzo litro a testa sono state sufficienti nonostante il caldo, perché tra fontane e ruscelli l’acqua si trova abbastanza facilmente. Abbiamo portato un paio di ramponcini, che non sono serviti: si tenga presente, però, che a luglio o anche a inizio agosto la situazione neve può essere molto diversa.
Abbiamo lasciato la macchina a Chiesa in Valmalenco, davanti al centro sportivo Vassalini. Da qui si percorre la pista ciclabile verso valle fino a intercettare il sentiero Rusca, che segue il corso del torrente Mallero. I primi 4 km sono in leggera discesa e si possono correre senza fatica, guadagnando un po’ di tempo.
Prima di arrivare a Torre di Santa Maria, si prende il sentiero in salita che attraversa il piccolo abitato di Dosso e taglia poi i tornanti della strada, guadagnando velocemente dislivello. Da qui si trovano i segnali gialli della VUT e i catarifrangenti, visto che il tratto iniziale della gara si corre al buio. Oltre a queste indicazioni, possiamo seguire quelle per il rifugio Bosio (senza tenere conto dei tempi di percorrenza, davvero poco realistici).
Superata l’alpe Son – che si riconosce senza possibilità d’errore per il nome scritto su un cartello in legno – si segue il sentiero in leggera discesa verso sinistra; si attraversa il torrente e si riprende a salire nella pineta, su un sentiero facile e ombreggiato, mai troppo ripido. Si passa poi per Piasci, graziosissimo alpeggio, da attraversare tutto in salita per poi continuare verso destra per il rifugio Bosio.
La pendenza diminuisce, mentre il sentiero tra prati e bosco diventa sempre più bello – o almeno così è sembrato a noi. Finalmente si arriva al rifugio: da qui si attraversa il torrente, seguendo il triangolo giallo rovesciato dell’alta via e le indicazioni per Primolo. La prossima tappa è il passo Ventina, ma da qui i cartelli non lo indicano ancora. Proseguiamo su strada carrozzabile e poi su sentiero in discesa, perdendo un po’ di dislivello e superando altri alpeggi. All’alpe Giumellino prendiamo il sentiero in salita a sinistra, seguendo per il passo Ventina, ora indicato.
L’ambiente diventa più selvaggio man mano che ci allontaniamo dal bosco per inoltrarci nella pietraia rossa che sovrasta l’alpe Pradaccio e Primolo – entrambi visibili più in basso. Il passo Ventina – che poi sarebbe più accurato definire “i passi Ventina”, al plurale, visto che per ben tre volte si arriva a una bocchetta nella speranza che sia quella definitiva – è il punto più alto del primo giorno, a 2765 m di quota. Vi si arriva dopo una lunga ma divertentissima salita per roccette, passando per i laghi di Sassersa.
Una volta al passo, con la val Sassersa alle spalle, la vista si apre sulla val Ventina. A sinistra, il Pizzo Rachele nasconde il Cassandra, mentre possiamo ammirare il Disgrazia, il Pizzo Ventina e quanto resta dell’omonimo ghiacciaio. Il Disgrazia, in particolare, si vedrà sempre meglio nel corso della ripida discesa verso i rifugi Ventina e Gerli-Porro.
Arrivando ai rifugi, l’impressione è quella (non proprio gradevole) di essere tornati nella civiltà: superando orde di escursionisti lungo la mulattiera in discesa, ben presto arriveremo a Chiareggio. Da qui bisogna imboccare la strada principale verso destra fino al ponte sul torrente Nevasco, al momento aperto solo di giorno e super controllato dopo la recente frana (agosto 2020). Il sentiero per il rifugio Longoni, tappa successiva del giro, è stato distrutto dalla frana nel tratto in cui appunto supera il torrente. Bisogna quindi utilizzare il ponte e, subito dopo, seguire i nastri bianco-rossi in salita nel bosco fino a ricongiungersi al sentiero.
Dopo un tratto di salita nel bosco, il paesaggio torna ad aprirsi tra ampi pascoli, roccette, ruscelli e cascate. La vista sul Digrazia, da qui, è semplicemente spettacolare. Anche se il segnavia da seguire è sempre il triangolo giallo rovesciato dell’alta via, ci troviamo ora sul sentiero Bernina Sud, che seguiremo fino al Longoni e che riprenderemo nella seconda tappa dalla valle di Scerscen.
Dal rifugio Longoni, arroccato a 2450 m, bisogna seguire per il lago Palù – anche qui, i tempi di percorrenza indicati sono davvero abbondanti. Un primo tratto di discesa su sentiero ci porta a una strada carrozzabile, che va imboccata verso sinistra in leggera salita. Si prosegue più o meno in costa e sempre in costa bisogna rimanere, senza prendere i sentieri in discesa verso l’alpe Entova né quelli in salita verso l’omonima bocchetta. Le indicazioni qui non sono particolarmente accurate.
La strada lascia il posto a una selvaggia pietraia mentre cambiamo versante della montagna. Questa parte dell’alta via è poco battuta e ci costringe a procedere lentamente, ma ormai quasi tutta la salita è alle spalle e bisogna solo scendere fino al lago Palù, che finalmente compare sotto di noi.
La VUT passa per il rifugio Palù ed è qui che avremmo pernottato, se non fosse stato chiuso. Su consiglio del rifugista ci siamo rivolte al Motta, che si trova poco più avanti, vicino alle piste da sci. Più che un rifugio, sembra un albergo di quelli di lusso, da sciatori: camera privata con bagno, pulitissima e profumata, e ottima cena alla carta. Il conto, alla fine, non è stato molto più alto di quello di un rifugio con camerata e bagni comuni. Ma la cosa più bella è stata l’accoglienza: tutto il personale del Motta si è fatto in quattro per sistemarci, prepararci la cena, darci informazioni con una gentilezza che, dopo 12 ore in giro per i monti, ci ha riscaldato il cuore quasi quanto la meritatissima birra!
Dopo una notte di sonno rigenerante, disturbata solo dalle risa sguaiate di attempati escursionisti che chiaramente non avevano la sveglia alle 6, siamo ripartite per la seconda metà del percorso – consapevoli che il grosso del dislivello era già fatto, ma che la giornata sarebbe stata lunga, se non altro per il chilometraggio. Dal Motta si risale la pista da sci e si scende verso il lago di Campomoro, ben visibile di fronte a noi, fino a incontrare sulla sinistra un sentiero che si addentra nel bosco senza alcuna indicazione se non quella di un percorso per mountain bike. Utile, qui, la traccia gpx, almeno per sapere dove svoltare. Proseguendo lungo questo sentiero, ritroveremo i segnali della VUT: siamo di nuovo sul percorso.
Dopo una bella e facile discesa, il sentiero riprende a salire fino all’alpe Musella e al rifugio Mitta. Da qui, ignorando i cartelli che danno il rifugio Marinelli tutto dritto a 2h30′, dobbiamo prendere il sentiero a sinistra, indicato come variante, per la valle di Scerscen e il rifugio Marinelli (4h40′). Non spaventatevi, anche camminando ci vuole molto meno. Entrambi i sentieri sono segnati come alta via con il triangolo giallo rovesciato, ma per fare il giro completo della VUT bisogna prendere appunto la variante. Attenzione anche a un secondo alpeggio, dove si arriva poco dopo il bivio: il sentiero, un po’ nascosto, prosegue tutto a sinistra dopo avere superato una recinzione.
Dopo un tratto nel bosco, ci addentriamo nella bellissima valle di Scerscen, la parte del giro che in assoluto ci è piaciuta di più, anche perché non vi abbiamo incontrato anima viva. Si segue il corso del torrente in un ambiente sempre più selvaggio, che a ogni svolta del sentiero si apre a mostrare una nuova vetta, un nuovo pezzo di ghiacciaio.
Le foto davvero non bastano a descrivere la meraviglia di questa valle, la vista sulle vette innevate e sui ghiacciai di Scerscen, il fragore delle cascate e del torrente che ci ha accompagnato per tutto il tempo. Tra l’altro, siamo tornati sul sentiero Bernina Sud. Cambiamo valle e arriviamo al rifugio Marinelli Bombardieri (2813 m), punto più alto dell’intero percorso. Anche da qui la vista non è male: di fronte, le cime di Musella e l’omonimo laghetto, a sinistra Punta Marinelli (3182 m) e il gruppo del Bernina, a destra la Vedretta di Scerscen Superiore.
Si prosegue ora in discesa verso il rifugio Carate. Abbandonando il sentiero principale, molto frequentato, abbiamo seguito quello più alto e forse un poco più faticoso che passa per il monumento al V Alpini. Da qui, un bel traverso panoramico ci porta proprio sopra il Carate.
Il tratto Carate – Bignami è altrettanto affollato, soprattutto nel mese di agosto e in questa pazza estate 2020, in cui tutti sono improvvisamente diventati montanari. Rimpiangeremo un po’ la pace e il silenzio della valle di Scerscen, ma l’ambiente anche qui è talmente spettacolare che nemmeno gli schiamazzi di certi escursionisti riescono a intaccarne la bellezza.
Avvicinandoci alla forcella di Fellaria (2787 m) abbiamo trovato gli ultimi residui di neve – fino a qualche settimana prima di sicuro ce n’era molta di più. Si prosegue in salita per facili e divertenti roccette fino alla bocchetta, da dove si apre una vista spaziale sul ghiacciaio di Fellaria e sul lago sottostante.
Comincia ora una lunga discesa, all’inizio piuttosto ripida, poi decisamente facile e corribile, fino al rifugio Bignami.
Anche questo rifugio, facilmente raggiungibile da Campomoro, attira frotte di escursionisti: lo abbandoniamo in fretta, prendendo la facile mulattiera in discesa lungo il lago di Gera e attraversando poi la diga per scendere dall’altra parte, sempre su stradina corribile e poi su asfalto, costeggiando il lago di Campomoro. È tristemente ironico osservare dall’alto la foresta di auto parcheggiate a duemila metri di altezza per permettere ai turisti di andare a vedere con poca fatica il ghiacciaio che si sta sciogliendo a causa del cambiamento climatico.
Una volta a Campomoro, si prende il sentiero in salita a sinistra per il rifugio Zoia – che si raggiunge in pochi minuti – e per il rifugio Cristina. Il sentiero, pur non spettacolare come quelli da cui siamo passati finora, è molto grazioso e, tra falesie, boschi e alpeggi, ci porta al Cristina relativamente in fretta.
Le indicazioni da seguire, adesso, sono quelle per l’alpe Cavaglia, che sembra lontanissima e in effetti lo è. Quest’ultima parte del giro è davvero lunga e faticosa, anche se rimane ben poca salita da fare. Dopo tutti questi chilometri, gli ultimi dieci, anche se in discesa, sembrano non finire mai. Dall’alpe Cavaglia si prosegue in direzione Caspoggio, passando per il graziosissimo alpeggio di Pianaccio. Da qui consiglio di seguire la traccia gpx, perché il percorso di gara prosegue verso Lanzada, mentre noi dobbiamo scendere a Caspoggio, altro borgo molto bello e pittoresco, e da qui verso il cimitero, per prendere il sentiero in discesa per Chiesa. Alla fine di questo sentiero sbucheremo sulla ciclabile che ci riporterà all’auto. Dopo questo viaggio, sembra incredibile che l’abbiamo parcheggiata lì solo la mattina precedente!
Tutti i colori della Valmalenco (38 km – 3050 m D+)
22 Agosto 2021 by marta • Valtellina Tags: alpe fora, alpe musella, alta via della valmalenco, bocchel del cane, bocchetta d'entova, chiareggio, chiesa in valmalenco, corsa in montagna, lago palù, lago pirola, rifugio longoni, san giuseppe, trail running, valle di scerscen, valmalenco, valtellina, vut • 2 Comments
San Giuseppe – Alpe Lagazzuolo (1974 m) – Bocchel del Cane (2551 m) – Lago Pirola (2300 m) – Chiareggio – Alpe Fora – Rifugio Longoni (2450 m) – Forcella d’Entova (2831 m) – Vallone di Scerscen – Alpe Musella – Lago Palù (1925 m) – San Giuseppe.
Periodo: Agosto 2021
Partenza: San Giuseppe (SO)
Distanza: 38 km
Dislivello: 3050 m
Acqua: fontane e torrenti
GPX (clic dx, salva link con nome)
Saremo noiose e abitudinarie, ma in un modo o nell’altro torniamo sempre qui. Ufficialmente il posto “prefe” delle Martas, anche questa volta la Valmalenco non ci ha deluso!
Questo giro, lunghetto e impegnativo, eventualmente divisibile in due giorni con pernottamento al Longoni, ci ha dato così tante soddisfazioni che a malapena abbiamo sentito la fatica. Per quanto riguarda le difficoltà tecniche, si tenga conto di un terreno generalmente poco corribile, con lunghi tratti su pietraia, e di un sentiero un po’ ostico tra il rifugio Longoni e la bocchetta d’Entova (indicato come EEA, sicuramente EE impegnativo). La parte più difficile si può evitare utilizzando il sentiero che dal Longoni scende per un tratto verso l’alpe Entova e risale poi verso la bocchetta d’Entova passando per il lago della Balena. Non avendolo provato, non so descrivere la difficoltà di questo percorso alternativo: se serve, consiglio di chiedere al rifugio.
Per quanto riguarda la logistica, noi abbiamo parcheggiato a caso nel primo posto trovato entrando a San Giuseppe. Con il senno di poi, consiglio invece di lasciare l’auto nell’ampio piazzale davanti all’albergo Sasso Nero: eviterete un mezzo chilometro di strada all’andata e mi ringrazierete della dritta alla fine del giro. Il primo sentiero da cercare è quello per l’alpe Lagazzuolo (n. 321): si scende fino al torrente Mallero, lo si attraversa e subito comincia la prima ripida salita.
In questo giro abbiamo potuto apprezzare tutti i colori della Valmalenco e il primo è stato l’azzurro smeraldo del lago Lagazzuolo. Si arriva all’alpe Lagazzuolo e al bivacco degli Alpini (attualmente chiuso) dopo circa 500 m di dislivello e, poco dopo, si raggiunge il laghetto. Da qui il bosco si dirada e il sentiero, da escursionistico, diventa una pietraia.
Altri 500 m di dislivello ci separano dal Bocchel del Cane e l’ambiente diventa sempre più fiabesco via via che si guadagna quota. Riusciamo a seguire i bolli con facilità, ma l’ambiente è severo e questa salita è assolutamente sconsigliata in caso di maltempo e di neve.
La salita è sempre più ripida e finalmente arriviamo alla bocchetta (2551 m), da dove la vista si spalanca su un’enorme pietraia rossa e sul lago Pirola, prossima tappa. Scendiamo con attenzione tra le rocce, inizialmente seguendo i bolli, poi tenendoci alte sulla sinistra per evitare le ultime lingue di neve.
Il “sentiero” svolta ora verso sinistra, aggirando la Punta Rosalba. La pendenza diminuisce e, superando questo severo torrione, compare di fronte a noi il monte Disgrazia.
Si prosegue su pietraia, ora quasi in piano, fino incontrare un bivio. O meglio un punto in cui il sentiero sembrerebbe svoltare tutto a sinistra, verso il ghiacciaio Ventina e il Disgrazia, ma dove noi sappiamo di dover andare proprio dalla parte opposta: a destra, verso il lago Pirola. Per qualche centinaio di metri seguiamo semplicemente la traccia gpx, poi finalmente ritroviamo i bolli: il sentiero c’è e da qui in poi è anche ben segnato.
Percorriamo il perimetro di questo splendido lago artificiale, con scorci spettacolari sul ghiacciaio Ventina e il monte Disgrazia, la cui cima rimane purtroppo avvolta dalle nuvole. A un breve tratto di salita segue una lunga discesa, che proseguirà fino a Chiareggio.
Dall’alpe Pirola ci sono due opzioni per Chiareggio: noi prendiamo il sentiero a destra, un po’ più ripido e meno corribile rispetto a quello che passa per i rifugi, ma più veloce e meno affollato. Ben presto siamo a Chiareggio: attraversiamo il torrente, facciamo un rifornimento d’acqua alla fontana e proseguiamo verso destra lungo la strada. Dopo il parcheggio, troviamo sulla sinistra le indicazioni per l’alpe Fora e il rifugio Longoni: siamo ora su un terreno che conosciamo bene, l’alta via della Valmalenco, indicata da un triangolo giallo rovesciato.
Dopo una piacevole salita tra i pini, ri-superiamo la linea del bosco e ci troviamo all’alpe Fora. Da qui al rifugio Longoni si attraversa un bellissimo pianoro verdeggiante, dove le mucche pascolano beatamente tra ampi prati, cascate e rocce dalle forme più fantasiose. A destra, oltre la valle di Chiareggio, si vede di nuovo il Disgrazia, mentre le altissime montagne alla nostra sinistra sono il gruppo del Bernina.
Al rifugio Longoni (2450 m) abbiamo percorso 2000 m di dislivello e ce ne mancano altri 1000. Come distanza siamo invece a meno di metà, circa 15 km. Da qui, seguendo le indicazioni per la forcella di Entova, attacchiamo il tratto più difficile del percorso.
I bolli sono più rari e sbiaditi rispetto ai tratti più frequentati dell’alta via, ma riusciamo sempre a seguirli senza problemi. L’intero percorso è pulito, come probabilmente lo si trova per non più di un paio di mesi all’anno. Consiglio sempre di fare una telefonata al rifugio per avere informazioni aggiornate sulla situazione neve, prima di avventurarsi da queste parti: in caso di nevai anche piccoli le difficoltà possono aumentare in modo esponenziale.
Superiamo una placchetta con l’aiuto della catena, proseguendo poi lungo un traverso a tratti un po’ esposto, con un sentierino stretto stretto dove è necessario procedere piano e con cautela. L’ambiente è spettacolare, davvero selvaggio. Nonostante il tempo non bellissimo, incontriamo qualche escursionista, per quanto naturalmente non sia un percorso frequentato dalle masse. Raggiungiamo infine una casetta abbandonata e una vecchia pista carrozzabile, risalenti ai tempi in cui si veniva qui a sciare – guardando in alto, si vede anche l’ex rifugio, ormai dismesso – e troviamo qui le indicazioni per San Giuseppe (utili in caso di necessità per accorciare il giro) oltre a quelle che ci interessano per la bocchetta di Entova.
Costeggiamo il piccolo lago della Balena continuando a salire su pietraia. Il percorso è lento, anche perché i bolli per orientarsi sono sempre più rari, ma privo di particolari insidie e comunque più semplice del traverso affrontato precedentemente.
Raggiugiamo finalmente la bocchetta, che con i suoi 2831 m è il punto più alto del nostro giro. La vista da qui è semplicemente spettacolare. Sulla destra vediamo la caratteristica cima del Sasso Nero, indicata da una scritta gialla.
Cominciamo a scendere ora, sempre seguendo i bolli in modo più o meno ligio, verso il vallone di Scerscen. In alcuni punti conviene rimanere a fondovalle, mentre i bolli si trovano più in alto – forse per essere visibile in caso di neve. Il nostro sentiero è quello del Bernina Sud, ma ci sono anche altre tracce e bolli che non vanno seguiti.
Attenzione in particolare a non seguire le frecce per i Sassi Bianchi, una strana e fantastica formazione rocciosa che si staglia in fondo alla valle e che ricorda un ghiacciaio. Il ghiacciaio in realtà c’è, ma è più lontano: in fondo, dietro ai Sassi Bianchi, si vede infatti la Vedretta di Scerscen.
Tutto il giro fin qui è stato bello, ma questa parte è in assoluto la migliore. Proseguiamo a bocca aperta fino a fondovalle, dove il sentiero fa una curva a U e troviamo le indicazioni per l’alpe Musella, prossima tappa.
Si prosegue ora su facile sentiero e con pendenza minima nel vallone di Scerscen, che non è una valle ma proprio un vallone. Seguiamo sempre i bolli bianco-rossi e il triangolo giallo rovesciato dell’alta via, lungo il corso del torrente che sentiamo scrosciare poco più in basso e passando sotto strane formazioni rocciose, questa volta di colore scuro.
Attraversato il torrente, seguiamo il sentiero nel bosco che, con qualche saliscendi, ci porta all’alpe Musella. Da qui si svolta a destra (il sentiero che prosegue dritto lungo il corso del torrente è quello per Campo Moro, direzione sbagliata!) e si scende ancora per un tratto fino all’ampio pianoro attraversato da varie ramificazioni del torrente Scerscen.
Superati alcuni ponti, si troveranno le indicazioni per il lago Palù, ultima tappa del nostro giro. Il sentiero è più o meno pianeggiante per circa un chilometro, fino al bivio dove si svolta tutto a destra e si imbocca l’ultima salita per il lago Palù. Il segnavia è sempre il triangolo giallo e le indicazioni sono puntuali e precise. Da qui al lago mancano circa 300 m di dislivello. Se passando sotto le piste da sci vi sembra di trovarvi in un brutto posto, aspettate di arrivare in vista del lago con la luce calda del tardo pomeriggio!
Dal punto in cui si vede il lago è tutta discesa, ripida all’inizio e poi via via sempre più facile e corribile. Si passa dal rifugio Palù e si seguono le indicazioni per San Giuseppe lungo una strada sterrata in discesa. Finiamo infine sulla strada asfaltata e da qui ignoriamo un ultimo sentiero per San Giuseppe, proseguendo sempre su strada fino al punto in cui abbiamo parcheggiato. Circa 10 ore e mezza per un giro davvero spettacolare!