Val Grosina e Val Viola (40 km – 1900 m D+)
Spettacolare cavalcata tra due valli meravigliose: da Arnoga (Valdidentro) a Eita, laghi di Très, lago Negro, passo Dosdè (2824 m) e per finire laghi della Val Viola.
Periodo: Agosto 2022
Partenza: Arnoga, Valdidentro (1870 m)
Distanza: 40 km
Dislivello: 1900 m
Acqua: varie fontane
GPX (clic dx, salva link con nome)
Decido per una volta di allontanarmi dalle aspre montagne della bassa Valtellina e di guidare fino a Bormio, in cerca di pendenze più dolci e di sentieri corribili.
Vorrei esplorare la val Viola, dove non sono mai stata: cercandola sulla cartina, scopro che poco lontano c’è un altro posto scoperto di recente, la val Grosina, e mi viene l’idea di concatenare le due valli in un unico, lungo ma relativamente veloce anello, tutto da correre. Il giro è di difficoltà escursionistica, eccetto il passo Desdè, che si raggiunge su pietraia e in un ambiente severo di alta montagna. Per il passo è necessario avere esperienza e attendere condizioni meteo favorevoli, mentre il resto del giro si potrebbe fare anche sotto la pioggia.
Rispetto ai sentieri a cui sono abituata, qui sembra di stare in Trentino: comode mulattiere e pendenze quasi collinari, valli ampie e aperte e, per quanto riguarda la val Viola, anche un certo numero di turisti attratti dal rifugio e dai laghi facilmente accessibili. La val Grosina, invece, rimane per fortuna meno frequentata.
La partenza è da Arnoga, sopra Valdidentro. L’ideale è lasciare l’auto alla Baita Viola, ma il parcheggio è piccolo e potrebbe essere pieno: in alternativa c’è un parcheggione poco più avanti, dopo il tornante. Sono mattiniera e, al mio arrivo, il termometro segna 10 gradi. Venendo da lidi più temperati, sono in canotta e nello zainetto non ho altro che un antivento leggero, ma dopo il caldo degli ultimi due mesi decido che un po’ di aria fresca non può farmi male!
Il sentiero comincia subito dopo il parcheggio della Baita Viola ed è così pianeggiante che fa venire voglia di partire in quarta. Un po’ mi dispiace avere le gambe cotte dai giri precedenti, perché 3 km così piatti a 1800 m di quota non li avevo davvero mai visti. Al bivio, prendo la stradina in discesa con una curva a gomito verso sinistra: senza possibilità d’errore, questa mulattiera va seguita per una decina di chilometri fino a Eita.
Freddo è freddo, ma tengo botta e confido nel sole, che prima o poi dovrà pur fare capolino dalle montagne. Percorro circa 400 m di dislivello, arrivando intorno a 2300 m di quota, per poi scollinare in val Grosina, finalmente al sole e al caldo. Il clima, da questa parte delle montagne, è più mite e finalmente mi dà un po’ di tregua il vento gelido che mi ha accompagnato per tutta la salita.
Ben presto raggiungo dall’alto il laghetto Acque Sparse, da cui passa il Valgrosina trail, a cui ho partecipato appena una settimana fa (bella gara, ve la consiglio!).
Continuo la discesa, seguendo per un tratto il percorso della gara, e arrivo a Eita, graziosissimo paesino immerso nel verde della val Grosina.
Da qui abbandono il giro del Valgrosina trail, ma resto comunque su un percorso noto, quello provato con Marta un mesetto fa (qui il link). Prendo la strada asfaltata verso destra e seguo le puntuali indicazioni per i laghi di Très (il plurale continua a rimanere un mistero, a me anche questa volta è sembrato un lago solo).
Dopo un breve tratto in discesa prendo la stradina in cemento che sale verso destra e raggiungo l’alpeggio di Vermulèra. Da qui comincia il sentiero per i laghi di Très, la prima vera salita del mio giro. Il paesaggio è bucolico e in giro non c’è quasi nessuno, come ricordavo. Già mi pregusto il silenzio dell’alta montagna, quando dal nulla sbuca una motoretta da trial. A bordo, un aitante centauro a malapena maggiorenne, con annessa fidanzatina isterica che scopre nel bel mezzo della val Grosina di avere paura della moto. Passino il rumore e la puzza, ma le scenate in montagna anche no!
Supero in fretta il lago, dove la coppietta ha pensato bene di fermarsi a litigare con urla che echeggiano per tutta la valle, e proseguo in direzione lago Negro. L’altra volta, con Marta, ero invece andata verso il passo di Vermolera e sono curiosa di esplorare questo nuovo lato della val Grosina. Il sentiero è sempre facile e la pendenza moderata. Certo, me la godrei di più se la coppia malefica non fosse rimontata in sella per superarmi in salita e continuare a seminare smog e inquinamento acustico davanti a me.
A parte il rimbombo della motoretta, tutto tace intorno a me e cerco di concentrarmi sulle cose belle: l’enorme pietraia che mi circonda, il sentiero ancora facile e a tratti corribile, le cime che coronano la vallata. Un’ultima salita mi porta infine al lago Negro, oltre i 2500 m di quota.
I ragazzini hanno spento il motore, ma in compenso si sono rimessi a litigare, per la felicità di un povero escursionista solitario che deve essersi da poco accampato in riva al lago per godersi un po’ di pace e silenzio. Frustrata da tanta maleducazione, mi fermo giusto il tempo di una foto e riprendo subito il sentiero in direzione del passo Dosdé, che si intravede ora verso destra, alle spalle del lago. Con somma gioia vedo che comincia la pietraia, dove la maledetta motoretta non potrà seguirmi.
Giro intorno al lago e comincio a salire verso il passo. La pietraia è un po’ antipatica perché i bolli sono pochi e poco visibili. Cerco di dare il mio contributo aggiungendo sassi ai rari ometti che aiutano nell’orientamento e penso che non vorrei trovarmi qui in condizioni di scarsa visibilità: non ci sono tratti esposti o particolarmente pericolosi, ma l’ambiente è davvero severo a questa quota.
Arrivo infine alla bocchetta e per un attimo resto perplessa: intorno a me un’enorme pietraia – rispetto alla salita cambia solo il colore delle rocce – e nessuna traccia di una via di discesa. Per di più sono di nuovo sul versante settentrionale delle montagne e torno a essere sferzata dallo stesso vento gelido di stamattina.
Eppure ci deve essere una costruzione, ricordo di averla intravista mentre salivo. E un cartello, un’indicazione, un bollo o un ometto per la discesa… cammino un po’ tra le rocce e finalmente arrivo al passo vero e proprio, dove in effetti si trova un bivacco.
Trovo qui anche qualche indicazione: per il rifugio Federico, che mi sembra di capire sia il punto di appoggio per le scialpinistiche al pizzo Dosdè, e per il rifugio Viola, da dove rientrerò poi ad Arnoga. Vedo un bollo per la discesa e conto di impiegare non più di un’oretta dal passo al rifugio Viola, indicato a 3h20′.
Come sempre accade quando faccio i conti e decido di essere quasi arrivata, cominciano gli imprevisti. Intanto scopro che la discesa non è più facile della salita: tratti di sentiero si alternano alla pietraia, dove ometti e bolli sono sempre rari. Per di più, quando la pietraia sembra finalmente finita, mi trovo a un bivio: un bollo manda verso destra, un altro verso sinistra. A sinistra si vede una traccia, a destra più niente dopo il primo bollo, per cui vado a sinistra. Dopo qualche minuto capisco il motivo dell’esistenza di un secondo sentiero: quello principale è franato.
Quello che un mese fa doveva essere un torrente impetuoso non è che un rigagnolo, per cui non mi preoccupo troppo di non poterlo attraversare e continuo a scendere più o meno a caso nel letto vuoto del fiume, a destra rispetto al sentiero principale e al corso d’acqua che sento gorgogliare poco lontano.
La pendenza diminuisce e mi riavvicino al sentiero. Devo solo attraversare qualche ruscelletto e finalmente torno sulla retta via, dove posso rimettermi a correre. Ho perso parecchio tempo a ravanare nella pietraia, ma da qui in avanti dovrebbe essere tutto facile.
Il sentiero è facile e super panoramico, ora a destra ora a sinistra del torrente, tra ampi pascoli e cime maestose. Proseguo verso l’alpe Dosdè senza passare dal rifugio Federico, che vedo dall’altra parte del torrente.
Da questa malga si può ammirare quello che resta del nevaio del pizzo Dosdè. Seguo ora le indicazioni per il rifugio Viola, lungo un grazioso sentierino in leggera salita. La val Viola, come immaginavo, è più affollata rispetto alla val Grosina, ma fino ai primi laghetti incontro solo escursionisti educati e sorridenti. Davanti al rifugio, invece, la fauna umana è più varia: ciclisti veri e ciclisti in e-bike, famiglie, anziani, gruppi civili e gruppi schiamazzanti.
Supero in fretta e furia il rifugio e vado a prendere la strada sterrata in leggera discesa, da cui ancora qualcuno sta salendo e scendendo. Per fortuna è ora di pranzo e la gran parte dei turisti è seduta a mangiare al rifugio, ma anche così la mulattiera è affollata. Niente, per godermi questa val Viola avrei probabilmente dovuto fare il giro al contrario, passando di qui di prima mattina. Adesso c’è troppa gente, sono stanca e non vedo l’ora di raggiungere la macchina.
La strada sterrata diventa asfaltata, supero qualche parcheggio e proseguo ora in discesa, ora in piano, ora con un’ultima cattivissima salita. Ancora pochi chilometri e sono al punto di partenza.
Anello in Adamello (40,5 km – 2550 m D+)
24 Settembre 2022 by marta • Valtellina Tags: adamello, bivacco linge, bivacco s. occhi, corsa in montagna, passo di pietrarossa, rifugio valmalza, sant'apollonia, trail running, ultratrail, valtellina, vezza d'oglio, vione • 0 Comments
Vezza d’Oglio – Vione – Roncal – Castèl – Baita Somalbosco – Sant’Apollonia – rifugio Valmalza – bivacco Linge (2273 m) – passo di Pietrarossa (2958 m) – bivacco S. Occhi – malga Val Grande – Vezza d’Oglio.
Periodo: Settembre 2022
Partenza: Vezza d’Oglio (BS)
Distanza: 40,5 km
Dislivello: 2550 m
Acqua: varie fontane lungo tutto il percorso.
GPX (clic dx, salva link con nome)
Venerdì 23 settembre si è corso l’ultratrail dell’Adamello e, con la mia amica Marta iscritta alla 90 km e una giornata dal meteo semplicemente perfetto, ho colto l’occasione per prendere un giorno di ferie, staccare pc e telefono e mettermi sulle tracce della gara.
Il giro che mi sono inventata in questa occasione è un bel lungo, facile e corribile, che mi ha richiesto circa 7 ore. Sono passata principalmente per stradine sterrate e mulattiere, con appena un quarto del percorso su sentieri degni di questo nome, comunque mai impegnativi. Al passo di Pietrarossa, a quasi 3000 m di quota, si arriva con un sentiero poco più che escursionistico, che in assenza di neve non presenta alcuna difficoltà.
Parcheggio al centro eventi di Vezza d’Oglio, da dove la gara di Marta è partita stamattina alle sette. Sono ormai quasi le dieci, ma il fondovalle è ancora in ombra e la temperatura non supera i dieci gradi. Poco male, i primi chilometri sono tutti da correre e mi riscaldo in fretta. Seguo per 3 km la pista ciclo-pedonale che costeggia il fiume Oglio, fino al piccolo centro di Stadolina.
Qui abbandono la ciclabile e svolto a sinistra, per poi prendere la stradina che sale in paese. Trovo una fontana dove mi fermo a riempire la flask e togliere la giacca, visto che al sole la temperatura è decisamente più gradevole. Dopo una ripida salita imbocco verso destra via Dante Alighieri, che mi porta al paese successivo, Vione.
Seguendo le balise della gara, risalgo verso il centro del paese e arrivo alla chiesa, ma poi mi accorgo di essere salita troppo e mi tocca scendere un pezzetto: devo infatti prendere la mulattiera per Molina Lecanù e Roncal, che passa poco più in basso.
Le indicazioni da seguire fino a Roncal sono quelle per il percorso mountain bike n. 11, una stradina semipianeggiante, morbida e corribile.
A Roncal, di nuovo, attraverso il paese in salita e, superate le ultime case, raggiungo una cappelletta. Qui abbandono il percorso n. 11 e prendo la mulattiera in salita verso sinistra, che porta verso le baite di Castèl. Si tratta di un altro percorso mountain bike, il n. 58, che seguirò da qui fino Sant’Apollonia.
Non vedo più le balise e mi convinco di avere sbagliato i calcoli: pensavo che questa salita, in cui guadagnerò circa 800 m di dislivello, coincidesse con una discesa della gara in cui intendevo incrociare Marta, ma evidentemente mi sono sbagliata. L’unica cosa che posso fare ormai è salire il più in fretta possibile, sperando di incrociare il percorso di gara alla fine della mulattiera. La fortuna è dalla mia parte e mi ritrovo effettivamente sul sentiero balisato (che poi è sempre il n. 58) da cui stanno arrivando i concorrenti della 90 km. Metto la giacca e faccio uno spuntino, in attesa di vedere arrivare la mia amica.
Marta arriva prima del previsto perché, come scoprirò più tardi, non siamo al 35° ma solo al 28° km della gara. Evidentemente non ci ho capito una mazza, ma sono stata fortunata e l’ho incrociata per puro caso dopo appena cinque minuti dal mio arrivo. In fretta e furia tolgo la giacca e mi metto a correrle dietro, ché il passo di Marta è micidiale anche in una gara così lunga.
Percorro con lei un paio di chilometri in leggera discesa e, alla baita Somalbosco, la saluto e prendo il sentiero in discesa per Sant’Apollonia (sempre il n. 58). Arrivata in paese, svolto a sinistra in direzione del passo di Gavia e prendo la mulattiera pianeggiante che passa poco sotto la strada. Sono di nuovo sul percorso di gara, ma questa volta in senso opposto.
Le indicazioni da seguire, da qui fino al passo di Pietrarossa, sono quelle del sentiero n. 158 per il rifugio Valmalza e il bivacco Linge. Da entrambi passa la gara e mi rendo conto che è lungo questa mulattiera, e non quella precedente, che avevo calcolato di incrociare Marta! La rivedo passare, in effetti, a metà tra il rifugio e il bivacco.
Superato il bivacco (2273 m), mi lascio alle spalle i volontari, i concorrenti e il clima festoso della gara e mi avvio in solitaria verso il passo di Pietrarossa, che non è indicato ma si vede in lontananza. Da qui in poi non incontro anima viva se non stambecchi, cervi e marmotte. Il sentiero non è sempre evidente, né su questo né sull’altro versante, ma i bolli ci sono e basta seguirli. La traccia gpx può aiutare a procedere più in fretta e consiglio, a chi voglia ripetere il giro, di scaricarla.
Con un ultimo strappetto su pietraia raggiungo finalmente il passo di Pietrarossa (2958 m), da dove si apre una vista spaziale sulla Valle dei Messi, da cui arrivo, e sulla Val Grande, da dove scenderò per tornare a Vezza d’Oglio.
In realtà, guardando oltre il passo, vedo solo un enorme precipizio e mi domando se non sarebbe stato opportuno prendere qualche informazione sul sentiero per la discesa. Vedo tuttavia che i cartelli indicano Vezza d’Oglio a 4 ore di cammino non in direzione del precipizio, ma verso le montagne a sinistra. Seguo dunque i bolli lungo un breve tratto di roccette in cresta, forse l’unico punto un po’ esposto del giro, e raggiungo una croce e un altro passo non meglio identificato.
Da qui il panorama è ancora più bello e, soprattutto, la discesa assume un aspetto decisamente più umano!
Seguo i bolli giù per la pietraia, accompagnata dagli stambecchi che non si fanno scrupoli a smuovere sassi, e comincio piano piano a perdere quota. A tratti riesco a corricchiare, mentre altri punti sono sdrucciolevoli e mi costringono a procedere più lentamente. La pietraia cede via via il passo a un pratone, dove i bolli sono meno visibili e il sentiero è stato danneggiato dalle piene dei torrenti. Niente di difficile, ma perdo un po’ di tempo per capire da che parte andare. Finalmente il prato finisce e raggiungo una comoda mulattiera.
Devo avere superato velocemente sia il bivacco S. Occhi, sia la malga Val Grande, ma non posso fornire dettagli a riguardo perché non mi sono mai fermata. Dall’inizio della mulattiera manca una decina di chilometri a Vezza d’Oglio, ma ormai posso procedere a passo di corsa e ben presto raggiungo il parcheggio al centro eventi. Manca ancora parecchio ai primi arrivi della 90 km, ma io il mio dovere per oggi l’ho fatto e, nell’attesa, posso concedermi una meritata birretta!