Sentiero delle Orobie (93 km – 6300 m D+)
Prima tappa: Ardesio – Valcanale – Alpe Corte – Laghi Gemelli – passo d’Aviasco – valle dei Frati – Calvi.
Seconda tappa: passo Valsecca – bivacco Frattini – Brunone – passo Simal – Coca – Curò.
Terza tappa: passo Manina – Albani – passo Scagnello – Valzurio – Colle Palazzo – Ardesio.
Se frequentate queste montagne, di sicuro vi sarà già capitato di percorrere, magari senza saperlo, qualche tratto del sentiero delle Orobie (orientali). Avrete raggiunto uno dei rifugi sul percorso e magari notato le indicazioni per quello successivo, apparentemente lontanissimo. Ora vi spiego come concatenarli tutti in un unico giro, da suddividere in più giorni in base alla propria preparazione.
Farlo in un’unica tirata o anche in due giorni, dal mio punto di vista, è una vera impresa. Per finirlo in tre giorni, come abbiamo fatto noi (Tony, mitico organizzatore del giro, e le due Martas), è necessario comunque un buon allenamento. Se volete camminare più rilassati e godervi ogni scorcio di questo meraviglioso itinerario, potete anche pensare di suddividere il percorso su quattro giorni.
Le tracce gpx che trovate qui sopra sono rispettivamente la traccia “fittizia” del giro completo e le tre tracce “reali” dei nostri tre giorni di cammino. Attenzione: quella del primo giorno riporta verso l’inizio un errore di percorso, da non ripetere. In ogni caso il giro si può fare senza tracce gpx, seguendo le indicazioni del CAI Bergamo che, salvo pochi casi, sono decisamente chiare.
Il percorso comincia e finisce ad Ardesio, uno dei primi paesi dell’alta val Seriana. Abbiamo deciso di spostare leggermente il punto di partenza rispetto alle indicazioni CAI, lasciando l’auto davanti al bar Florida, a pochi passi dal fiume: una strategia vincente che ci ha permesso, all’arrivo, di rinfrescarci i piedi nell’acqua ghiacciata prima di essere accolti dal gentilissimo personale del Florida con birra, pizza, hamburger e patatine, che qui vengono serviti a tutte le ore del giorno e per buona parte della notte.
Si attraversa il ponte e si prosegue sul marciapiede verso destra, fino a incontrare, poco più avanti, le indicazioni per il sentiero delle Orobie dall’altra parte della strada. Si seguono i bolli del sentiero 220 prima lungo la strada in salita e successivamente nel bosco, sbucando poi su un tratto in piano che passa per prati e alpeggi (con insetti piuttosto molesti). Rientrando nel bosco, il sentiero si sdoppia e bisogna mantenere la destra – c’è un bollo blu un po’ sbiadito – per proseguire in piano seguendo il fiume a fondovalle: qui noi abbiamo erroneamente preso a sinistra e continuato in salita (è questo l’unico punto in cui la traccia è sbagliata e non va seguita).
Arrivati a Valcanale, possiamo fare un primo rifornimento d’acqua alla fontana del paese; poi si prosegue lungo la strada, si supera il laghetto e si prende la noiosa mulattiera in salita per Alpe Corte, il primo dei tanti rifugi che incontreremo nel nostro percorso.
Dall’Alpe Corte (1410 m), come ha sentenziato il nostro Tony, “comincia la montagna”: la mulattiera diventa sentiero, il bosco cede il passo a un ambiente più alpino e, alle nostre spalle, la vista si apre sul pizzo Arera. Si segue ora il sentiero 216 in direzione Laghi Gemelli e ci si inoltra finalmente nelle selvagge Orobie, guadagnando rapidamente quota fino al passo dei Laghi Gemelli (2139 m). Da qui si scende all’omonimo rifugio (1969 m), costeggiando il lago sul lato sinistro. Il sentiero delle Orobie vero e proprio proseguirebbe ora verso il Calvi con il segnavia 213, mentre noi siamo passati dal passo d’Aviasco e dalla valle dei Frati – una variante che consiglio: la valle dei Frati è tra i posti più belli che abbiamo visto in questi tre giorni.
Dal rifugio Laghi Gemelli si attraversa la diga e si prende a sinistra il facile sentiero che porta al lago Colombo (2.046 m). Si supera questa seconda diga e si prosegue in salita lungo il sentiero 214 seguendo le indicazioni per il passo d’Aviasco (2.289 m), a cui si arriva piuttosto velocemente con un ultimo strappetto in salita. Da qui si scende nella valle dei Frati, in un ambiente davvero selvaggio tra pietraie, lingue di neve, fiori sgargianti e branchi di stambecchi.
Dopo una lunga e panoramica discesa, rientriamo nel bosco e incontriamo di nuovo il segnavia ufficiale, il n. 213, che seguiamo più o meno in piano, con qualche breve tratto in salita, fino al rifugio Calvi. Qui abbiamo dormito la prima notte, e all’alba del secondo giorno (beh, non proprio all’alba… ma per questa seconda tappa converrebbe partire il prima possibile) abbiamo ripreso il nostro cammino in direzione del passo Valsecca.
Il sentiero dal Calvi al Brunone è il 225, che passa alle pendici del Diavolino e del Diavolo di Tenda inerpicandosi fino al passo di Valsecca (2496 m). Se fino adesso il percorso è stato “escursionistico”, questa seconda tappa è decisamente “EE” e richiede un’attenta valutazione della propria preparazione, fisica e mentale.
In fondo alla valle, poco prima di arrivare al passo di Valsecca, abbiamo trovato ancora qualche nevaio (17 luglio), che siamo comunque riusciti ad attraversare tranquillamente senza ramponcini.
Dal passo di Valsecca si scende verso il bivacco Frattini, che dalla sua invidiabile posizione in cresta domina una valle selvaggia e incontaminata; dal bivacco si prosegue in discesa verso sinistra, inoltrandosi sempre di più, tra stambecchi, nevai e ghiaioni, in questo stupendo scenario orobico.
La discesa in alcuni punti è stata un po’ delicata, tra lingue di neve che si stanno ritirando e tratti in cui la neve appena sciolta ha lasciato il sentiero in parte franato, o comunque in condizioni non ottimali. Di sicuro tra qualche settimana sarà più agevole! Si continua a perdere quota fino ad attraversare, nel punto più basso e anche qui su nevaio, quel Fiume Nero che dà il nome al paese a fondovalle, mille metri più in basso. Da qui si riprende a salire, lungo un sentiero sempre nervoso, che richiede continua attenzione, fino al rifugio Brunone (2295 m).
Si tenga presente che, sia per questo tratto sia per quello successivo, dal Brunone al Coca, eravamo convinti che i tempi CAI (5 ore dal Calvi al Brunone, 6 ore dal Brunone al Coca) fossero assurdi, ma ci siamo dovuti ricredere: pur procedendo di buon passo, non abbiamo impiegato molto meno.
Dal Brunone prendiamo il sentiero 302 per affrontare la parte più tosta e affascinante dell’intero giro: il passo Simal. Questo tratto si può evitare con la variante bassa, di cui comunque bisogna verificare le condizioni al rifugio.
Il sentiero 302 passa ai piedi del Redorta e si inerpica per sfasciumi e nevai, da attraversare con attenzione. I bastoncini e/o i ramponcini cominciano a diventare fondamentali per gli attraversamenti su neve, soprattutto per chi passi di qui al mattino presto, quando la neve è gelata. Noi siamo arrivati con il sole già alto e nella neve si camminava più serenamente, ma la severità di questo ambiente non va sottovalutata.
Il paesaggio si fa sempre più aspro e spettacolare quando, superato un primo canale di sfasciumi, arriviamo a un tratto quasi pianeggiante con roccia più solida. Per arrivare al laghetto e poi al Simal (2712 m) abbiamo dovuto attraversare un altro nevaio di qualche centinaio di metri, non particolarmente impegnativo con la neve morbida del primo pomeriggio, di sicuro più delicato per chi si trovasse a passare di qui di prima mattina.
Dal Simal, dove la vista si apre finalmente sulla valle successiva e sul Pizzo Coca, si scende lungo un canale di sfasciumi franosissimo, fortunatamente attrezzato con catene. Consiglio la massima attenzione, soprattutto quando ci sono altre persone nei paraggi. Dato che non ci sono premi in palio per chi arriva prima al Coca, forse è meglio metterci cinque minuti in più ed evitare di scaricare una frana su chi si trova più in basso.
Se alla fine del canale pensate che le difficoltà siano finite, vi sbagliate! Il sentiero 302 prosegue ancora a lungo tra saliscendi, roccette, piccoli nevai, tratti con catene. Non c’è un punto particolarmente difficile: la difficoltà sta nel mantenere costantemente alta l’attenzione, senza mai abbassare la guardia dal passo Valsecca al lago di Coca.
Dal lago al rifugio Merelli Coca (1892 m) possiamo finalmente tirare il fiato e camminare o corricchiare tranquilli su un comodo sentiero. Dal rifugio, tappa utile per un ultimo rifornimento d’acqua, scendiamo brevemente per attraversare il torrente e riprendiamo a salire in direzione Curò.
Questo tratto, pur classificato come EE, è meno impegnativo rispetto a quello appena affrontato, ma a questo punto la stanchezza si fa sentire e bisogna fare un doppio sforzo per rimanere concentrati. La traversata di solito è piuttosto panoramica, ma noi l’abbiamo fatta con visibilità zero, avvolti nella nebbia. Nebbia che si è diradata un po’ solo nel corso della discesa verso il lago del Barbellino, che alla fine, per fortuna, siamo riusciti a vedere sotto di noi. La diga ci ha ricompensato di tutte le fatiche con il caratteristico spettacolo degli stambecchi scalatori. Un’ultima salitella, un tratto in piano lungo il lago e, finalmente, siamo al Curò.
Ne approfitto per ringraziare i gestori del rifugio Curò, dove siamo stati trattati davvero benissimo!
Il terzo giorno, preparati ad affrontare la parte più lunga, almeno come chilometraggio, del sentiero delle Orobie, ci siamo messi in cammino di buon’ora, scendendo per un breve tratto lungo la strada che dal Curò porta a Valbondione. Si lascia la strada all’altezza del primo tornante per prendere il sentiero 304 verso il passo della Manina e il rifugio Albani. Ci facciamo largo nell’erba alta per qualche chilometro e, mentre usciamo dal bosco, la vista si apre sulla Presolana. Scendiamo fino a fondovalle e attraversiamo il torrente che, insieme a qualche ruscelletto nelle immediate vicinanze, rappresenta l’ultimo punto acqua per parecchio tempo: dalla Manina all’Albani non si incontrano fontane né rifugi, a meno di deviare verso Lizzola o il rifugio Mirtillo.
Raggiunta la graziosa chiesetta al passo della Manina (1799 m), si prosegue lungo il sentiero 401 seguendo le indicazioni per il rifugio Albani. Dopo un breve tratto in salita, usciamo dal bosco e ci troviamo catapultati in un ambiente quasi dolomitico, dove montagne di roccia chiara, calcarea, spuntano come funghi dal verde dei prati. Poco a poco si abbandonano i prati e ci si addentra tra rocce e ghiaioni – completamente diversi da quelli attraversati il giorno prima – in direzione della Presolana.
Il sentiero non presenta difficoltà, se non un breve canalino attrezzato con catene che, dopo il Simal, è davvero una passeggiata. La vista, in compenso, è mozzafiato. Passiamo ai piedi del monte Ferrante, superiamo gli impianti e proseguiamo su strada o su sentiero (meglio il sentiero, è più grazioso) fino al rifugio Albani (1939 m). Poco più in basso del rifugio ci sono delle baite: qui troviamo finalmente una fontana per riempire la borraccia, anche se una birretta all’Albani si è rivelata ben più dissetante.
Per tornare ad Ardesio si torna indietro seguendo brevemente il sentiero 401 fino al passo Scagnello (2080 m): da qui ci aspetta una lunghissima discesa lungo il sentiero 311 verso Valzurio e le baite di Moschel. Troviamo già anche le indicazioni per Ardesio, che seguiamo insieme ai bolli bianco-rossi passando ora su sentiero, ora su strada forestale. Senza scendere fino a Valzurio, si seguono sulla destra le indicazioni per Colle Palazzo e si prosegue con salitelle alternate a tratti in piano in un bel bosco. Arriviamo a Colle Palazzo (1300 m) con una comoda strada forestale, che abbandoniamo per prendere il sentierino in discesa verso Ardesio. Questo tratto di sentiero è davvero brutto, scivoloso e franoso anche in condizioni meteo ottimali, ma finisce presto. Si torna su strada carrozzabile e, continuando a seguire i bolli, si torna finalmente ad Ardesio. Si attraversa il centro, si svolta a sinistra e si segue la strada principale fino all’auto.
E con i piedi a mollo nell’acqua gelata del torrente si chiude questo lungo, fantastico viaggio nelle Orobie orientali!
Anello da Valbondione (21,5 km – 1750 m D+)
8 Settembre 2020 by marta • Orobie Tags: coca, corsa in montagna, curò, lago del barbellino, orobie, passo bondione, recastello, rifugio, trail running, traversata, tre confini, valbondione • 0 Comments
Valbondione – Lizzola – sentiero 322 – Baita di Sasna (1961 m) – sentiero 321 – Val Cerviera – Rifugio Curò (1915 m) – Valbondione
Periodo: Settembre 2020
Partenza: Valbondione (900 m)
Distanza: 21,5 km
Dislivello: 1750 m
Acqua: fontana a Lizzola e al rifugio Curò
GPX (clic dx, salva link con nome)
Valbondione è notoriamente il punto di partenza per due popolarissimi rifugi orobici, il Coca e il Curò, verso cui si dipartono sentieri sempre molto frequentati. Vi sono anche, però, percorsi meno conosciuti e altrettanto interessanti – come il giro ad anello che vi propongo oggi.
La partenza è dal grande parcheggio davanti all’ufficio turistico e al campo sportivo di Valbondione. Attenzione: tutti i parcheggi sono a pagamento – 5 euro per l’intera giornata – con biglietto acquistabile alle macchinette, all’ufficio turistico oppure online (in quest’ultimo caso bisogna stampare l’email di conferma ed esporla nell’auto). Dopo avere parcheggiato, a piedi si risale per un breve tratto lungo via Beltrame, si svolta a destra in via Galizzi e si imbocca poi via Roncaglia, la stradina in salita sulla sinistra. Quando la strada finisce, si prosegue in salita lungo un sentiero che taglia i tornanti della strada e ci porta fino a Lizzola.
Attraversiamo il paese seguendo via San Bernardino. Una fontana permette di fare rifornimento di acqua fresca; sulla sinistra troveremo delle indicazioni per il rifugio Curò, che noi però raggiungeremo passando più in alto per altri sentieri. Ben presto si cominceranno a vedere delle frecce blu, a cui successivamente si aggiungerà il segnavia biancorosso del sentiero 322.
Dopo avere superato Lizzola, la traccia gpx non serve più: basta seguire le indicazioni per Baita di Sasna e Passo Bondione. Dopo una breve salita su stradina carrozzabile si arriva a un tratto pianeggiante e corribile, che segue il corso del torrente Bondione tra alpeggi e pascoli.
Riprendiamo a salire, sempre seguendo il sentiero 322 per Passo Bondione, che qui diventa più accidentato e a tratti mangiato dalla vegetazione. Incroceremo il sentiero 304, indicato anche come Sentiero delle Orobie: è questo, infatti, il tratto della spettacolare traversata delle Orobie orientali (chi fosse interessato troverà qui il giro completo) che collega il rifugio Curò con l’Albani.
Il sentiero si inerpica, permettendoci di guadagnare quota piuttosto rapidamente in un ambiente che diventa sempre più bello e selvaggio. Poco prima di arrivare alla baita di Sasna, bisogna fare attenzione a non perdersi di vista come è successo a noi, perché il sentiero si sdoppia per un tratto abbastanza lungo e si può finire su percorsi diversi. Entrambi, in realtà, portano alla baita di Sasna, ma chi non lo sa rischia di dare il compagno per disperso e tornare indietro a cercarlo!
Superata la baita, si arriva ai laghetti di Sasna e si continua in salita in questa ampia e pittoresca vallata, che con la luce del tardo pomeriggio ci ha offerto degli scorci davvero stupendi.
Si attraversa il torrente e si riprende a salire tra prati e roccette fino a incrociare il sentiero 321, anch’esso bene indicato. Tenendo la destra si prosegue per il Passo Bondione e il rifugio Tagliaferri, mentre noi abbiamo svoltato a sinistra seguendo le indicazioni per il rifugio Curò.
Il piano originale, in realtà, comprendeva anche il Passo Bondione, il Pizzo Tre Confini e il Recastello, ma arrivate al crocevia ci siamo rese conto di essere partite troppo tardi e senza frontale, così abbiamo puntato direttamente al rifugio evitando le due vette, che sono rimaste alte sopra di noi.
Il sentiero che scende per la val Cerviera non presenta particolari difficoltà, ma tenete conto che ci si trova in un ambiente severo di alta montagna: bisogna prestare attenzione a un breve tratto in cresta e a una ripida discesa, oltre che alle condizioni meteo, che possono cambiare velocemente.
Lungo la discesa abbiamo incontrato greggi di pecore, una famigliola di marmotte e, per la prima volta da queste parti, un branco di camosci – di solito da queste parti bazzicano i più socievoli stambecchi. La pendenza diminuisce e il paesaggio si addolcisce man mano che ci si avvicina al fondovalle. Si attraversa in diversi punti il torrente (di cui non conosco e non ho trovato da nessuna parte il nome) che scende con noi dalla val Cerviera per poi gettarsi nel lago artificiale del Barbellino.
Una volta al lago, si prende verso sinistra l’ampia strada carrozzabile che in breve conduce al rifugio Curò – dove consiglio caldamente di fermarsi per cena (a pranzo è molto affollato), per una fetta di torta o una birretta prima di tornare a valle: la gentilezza dei gestori e l’ottimo cibo valgono una sosta prima della discesa!
Tornare a Valbondione è davvero semplice: basta seguire la strada carrozzabile fino in paese.