Un bellissimo “lungo” ad alta quota tra vette maestose, nevai, cascate e laghetti alpini.
Chiesa in Valmalenco – Alpe Cavaglia – Alpe Prabello (2225 m) – Passo di Campagneda (2615 m) – Val Poschiavina – Alpe Gembré – Rifugio Bignami (2401 m) – Diga di Campo Moro – Alpe Musella (2021 m) – Alpe Campascio (1844 m) – Dosso dei Vetti – Cima Sassa (1721 m) – Ponte – Chiesa in Valmalenco
Periodo: Luglio 2021
Partenza: Chiesa in Valmalenco (960 m)
Distanza: 48,5 km
Dislivello: 2750 m
Acqua: si trovano fontane a tutti gli alpeggi, oltre a numerosi ruscelli
Quando penso a un luuungo giro estivo, il primo posto che mi viene in mente è la Valmalenco, con la sua fantastica alta via che a ogni svolta del sentiero offre un nuovo scorcio più bello del precedente – e dove tra poco si svolgerà la famosa VUT. Lo scorso anno con Marta avevo provato l’intero percorso di gara: questa volta ho deciso invece di percorrere un tratto dell’alta via dove la gara non passa, vale a dire il passo di Campagneda e la meravigliosa Val Poschiavina.
Il mio punto di partenza è il centro sportivo Vassalini a Chiesa in Valmalenco. Ricordando bene l’infinita discesa dal rifugio Cristina all’alpe Cavaglia e da qui a Chiesa, faticosissima dopo il lungo giro dell’anno scorso, decido di togliermi subito quel tratto fastidioso andando a imboccare l’alta via in senso opposto al percorso della VUT. Dal centro sportivo prendo dunque la ciclabile in direzione Lanzada e Caspoggio, attraversando la statale (sottopasso) e poi il torrente Lanterna. Sulla destra trovo subito il sentiero per Caspoggio e, con una breve salita, arrivo in paese. Proseguo lungo la strada, sempre in salita, e vado a prendere la mulattiera per Pianaccio.
Un sentiero taglia i tornanti della mulattiera, permettendomi di guadagnare quota velocemente. Una volta a Pianaccio trovo diverse indicazioni: un sentiero a sinistra porta direttamente al rifugio Cristina, ma io ho intenzione di percorrere l’alta via e seguo dunque i cartelli per Piazzo Cavalli (sentiero 305, indicato anche come AV).
Superato l’alpeggio, si prosegue lungo la strada sterrata in direzione della seggiovia. Dopo qualche tornante, si troverà sulla sinistra il sentiero, ben segnalato da bolli bianco-rossi, e si continua a salire fino a raggiungere le piste da sci a Piazzo Cavalli.
A questo punto la cosa più logica è continuare lungo l’alta via, chiaramente indicata non solo con i bolli bianco-rossi, ma anche con un triangolo giallo rovesciato, in direzione Alpe Cavaglia. Io invece, poco astutamente, ho seguito il sentiero per Crap, che rimane poco più basso rispetto a quello principale, e mi è poi toccata una bella ravanata nel bosco per tornare sulla retta via. Raccomando quindi, in questo punto, di seguire i cartelli e non la mia traccia gpx.
Recuperato il sentiero corretto dopo l’excursus nel bosco, mi guardo intorno e mi rendo conto che questo tratto di alta via è molto più bello di quanto lo ricordassi. Raggiunti i 2000 m di quota, la salita si addolcisce, il bosco si dirada e spuntano le montagne: tra i rododendri in fiore, uno spettacolo che ogni anno riesce a sorprendermi come la prima volta, si comincia a intravedere il ghiacciaio Fellaria, mentre alle mie spalle, maestoso, troneggia il Disgrazia.
Il sentiero spiana mentre mi avvicino all’Alpe Cavaglia, che poi consiste solo in un paio di antiche baite ormai in disuso. In fondo a destra svetta il Pizzo Scalino, la cui presenza mi accompagnerà per tutta la prima parte del giro fino al passo di Campagneda.
Si prosegue con qualche saliscendi in un ambiente sempre più spettacolare fino all’alpeggio successivo, l’Alpe Acquanera. Questo alpeggio, a differenza dell’Alpe Cavaglia, è ancora utilizzato, con mucche al pascolo e pastori al lavoro. Superando l’ultima baita si troverà anche una fontana.
Circa 3 km di saliscendi mi separano ora dall’Alpe Prabello (2225 m), dove si trova il rifugio Cristina. Li percorro abbastanza velocemente e ben presto arrivo in vista del santuario Madonna della Pace.
Anche qui si può fare rifornimento d’acqua. Passando al mattino presto ho trovato l’alpeggio ancora addormentato, ma tenete conto che all’ora di pranzo il rifugio e gli ampi prati richiamano numerosi escursionisti.
Anche qui, sentitevi liberi di ignorare la mia traccia e di seguire i cartelli: l’alta via e il passo di Campagneda sono infatti chiaramente indicati. Io ho istintivamente continuato a seguire a ritroso il percorso della VUT lungo la strada sterrata che scende verso Campo Moro, salvo poi deviare a destra ritrovando le indicazioni per il passo di Campagneda.
Dopo un tratto di discesa, la mia strada sterrata riprende a salire e torno sull’alta via, con l’imponente Pizzo Scalino come presenza costante alla mia destra. Comincia ora la parte più bella del giro: accompagnata dai fischi delle marmotte salgo sempre più in alto, superando i laghi di Campagneda, che offrono scorci davvero meravigliosi, e incontrando i primi piccoli nevai verso quota 2400 m.
Per quanto il sentiero sia facile e l’ambiente assolutamente non pericoloso, consiglio di utilizzare la traccia gpx. In alcuni punti, infatti, i bolli si perdono nell’erba o nella neve ed è comodo avere un riferimento per orientarsi.
Poco prima di raggiungere il passo trovo delle roccette attrezzate con una catena e persino delle staffe per i piedi, che mi sembrano un po’ eccessive vista la quantità di appigli naturalmente offerti dalla roccia.
Il passo di Campagneda (2615 m), più che una bocchetta, si rivela un ampio e panoramico pianoro roccioso, dove un arco in legno segna il punto di passaggio di una skyrace che ormai non si tiene più, la Valmalenco – Val Poschiavo. Esco dal sentiero bollato per aggirare un nevaio e raggiungo l’arco, che a quanto pare è posto proprio sul confine: puntualmente, infatti, ricevo il classico SMS di benvenuto e un secondo SMS con la normativa Covid-19 in Svizzera.
Superato il passo, si scende verso la Val Poschiavina sempre lungo l’alta via, seguendo i bolli tra roccette e piccoli nevai. I ramponcini sono rimasti sempre nello zainetto: ho infatti trovato neve molle e mai in punti esposti. Approfitto di un ponticello per attraversare il torrente Poschiavina, il cui corso mi accompagnerà giù per l’omonima valle e fino al lago di Gera. Poco dopo arrivo al passo di Cancian (2498 m), il cui aspetto è così poco quello di un passo che mi accorgo di averlo superato solo più tardi, riguardando il percorso sulla cartina.
Dopo un primo tratto di discesa per roccette, anche qui esageratamente attrezzate con catene e staffe, proseguo in leggera discesa se non addirittura in piano per la bucolica ma infinitamente lunga val Poschiavina. Pensavo di impiegare di meno a percorrere i 4-5 km che ancora mi separano dal lago di Gera, ma il sentiero, per quanto facile e semi pianeggiante, si rivela sconnesso e paludoso e mi costringe quasi a camminare.
Finalmente arrivo in vista dell’Alpe Val Poschiavina, dove trovo una fontana per rabboccare le borracce, e del lago di Gera. Proseguo in discesa tenendo la destra, seguendo le indicazioni per l’Alpe Gembré.
Seguo il sentiero lungo la sponda orientale del lago e la vista si apre sul ghiacciaio Fellaria, o su quanto ne rimane. Compare anche il rifugio Bignami, prossima tappa del mio giro.
Raggiungo e supero l’Alpe Gembré, senza fermarmi alla fontana visto che ho già le borracce piene, e proseguo lungo il sentiero ora in discesa per il rifugio Bignami. Bisogna abbandonare brevemente il sentiero principale e seguire le frecce verdi che portano a un ponte per attraversare il torrente poco più in basso: ponte utilissimo, a maggior ragione con il torrente in piena per la neve che si sta sciogliendo.
Si può ora corricchiare a fondovalle, sempre seguendo i bolli e i triangoli rovesciati dell’alta via in un ambiente da favola, con i rododendri in fiore e il fragore delle cascate che provengono dal ghiacciaio.
Attraverso il torrente Valle di Campo Moro, anch’esso in piena, grazie a un altro ponte, qui davvero indispensabile. Il terzo ponte, invece, manca: trovo infatti il sentiero interrotto da un altro torrente, non altrettanto impetuoso ma comunque carico d’acqua. Dopo avere cercato inutilmente un punto sicuro per l’attraversamento, stabilisco che la soluzione migliore sia togliermi le scarpe e guadare con l’acqua al ginocchio. Qualunque cosa pur di non tornare indietro e rovinare l’anello!
Altre persone che arrivavano dalla parte opposta hanno preferito rinunciare e tornare indietro. Ma non temete, la piccola ruspa parcheggiata lì vicino e i sassi ammonticchiati su entrambe le sponde mi fanno pensare che presto ci sarà un ponticello anche qui! In alternativa, per evitare questo tratto, dalla Val Poschiavina si può scendere direttamente a Campo Moro senza passare per il Bignami. Che però sarebbe proprio un peccato!
Il rifugio è sempre affollatissimo in questa stagione, per cui mi fermo giusto il tempo di una foto e riparto in discesa per la mulattiera che passa sulla sponda occidentale del lago di Gera. Qui c’è come sempre una processione di escursionisti da 400 m di dislivello, nonostante un paio di nevai che, pur battuti, aumentano un po’ la difficoltà del percorso. Come al solito, tra la folla, c’è chi si lamenta di essere superato e chi mi chiede che fretta abbia per scendere di corsa – l’idea che mi manchino ancora 20 km, dopo i quasi 30 già percorsi, ovviamente non li sfiora – ma trovo anche tante persone gentili che mi sorridono e si complimentano.
Alla fine della mulattiera attraverso la diga di Gera, da cui si gode di una vista fantastica sul ghiacciaio Fellaria e il sottostante rifugio Bignami, e proseguo in discesa verso Campo Moro. Un sentiero che si prende sulla destra mi permette di evitare la strada, superando in fretta il lago di Campo Moro e arrivando all’omonima diga.
Il panettone che si vede dietro alla diga è il monte Motta, che dovrò superare – pur senza arrivare in cima – per tornare a Chiesa. Da Campo Moro, le indicazioni da seguire sono quelle per l’Alpe Musella: si prende dunque la strada in discesa verso destra, si attraversa la diga e si continua lungo la mulattiera in discesa, senza farsi tentare dai cartelli per Campo Franscia. Mi aspetta ancora un po’ di salita, ma era una cosa voluta e mi attengo al programma. Il sentiero per l’Alpe Musella, in ogni caso, è facile e mai troppo ripido, con lunghi tratti pianeggianti e corribili e torrentelli dove ogni tanto mi fermo a bere un sorso d’acqua.
Arrivo all’alpeggio mentre il cielo si copre e cominciano a cadere le prime gocce. Poco male, non ci sono temporali in vista e piove quanto basta per rinfrescarmi. Speravo a quest’ora di essere già alla macchina, ma il guado e le continue soste per le foto mi hanno fatto perdere tempo. Dall’Alpe Musella seguo le indicazioni per l’Alpe Campascio, poco lontano.
Attraverso altri torrenti (sempre con ponti) e proseguo più o meno in piano fino a Dosso dei Vetti; da qui perdo ancora un po’ di quota prima dell’ultima salita. La mulattiera bagnata non contribuisce a migliorare il mio passo, già fiacco dopo tante ore sulle gambe, e la stanchezza mi impedisce di godermi appieno il paesaggio.
Finalmente arriva la salita che stavo aspettando: è il sentiero 339 per Cima Sassa e rifugio Motta. Lo seguo, guadagnando piano piano gli ultimi 200 m di dislivello di questo lungo giro, e raggiungo infine Cima Sassa (1721 m).
Non è una cima, ma da qui inizia la discesa. Non ci sono indicazioni in tal senso ma bisogna proseguire dritto, perdendo quota per i prati fino all’alpeggio sottostante – di cui non ricordo il nome, non me ne vogliano gli abitanti. Si trova anche qui una fontana, anche se io ho già fatto rifornimento all’ultimo torrente e decido di non fermarmi. Le prossime indicazioni da seguire sono quelle del sentiero 338 per Ponte, Lanzada e Chiesa, prima su strada carrozzabile e poi lungo un sentiero ben indicato. All’unico bivio non segnalato, come è naturale, ho sbagliato strada prendendo la discesa verso sinistra, mentre avrei dovuto proseguire dritto arrivando direttamente a Ponte. Poco male, ho allungato di poco e ho comunque raggiunto lo stesso paesino da un’altra strada. Bisogna ora seguire le indicazioni per Chiesa – non quelle per Lanzada! – lungo un sentierino ripido, umido e pieno di vegetazione.
Una volta a Chiesa, si scende ancora un po’ lungo la strada e, ignorando le indicazioni che non sono corrette, bisogna attraversare il ponte che vedete in foto in direzione della funivia. Subito dopo il ponte, si svolta a destra e ben presto si arriva in vista del centro sportivo Vassalini.
Un vero e proprio “classico” delle Orobie, questo percorso si fa di solito al contrario – affrontando subito il temibile vertical da Valbondione al rifugio Coca, poi la traversata lungo il sentiero 303 con arrivo al Curò e, infine, la facile discesa lungo la mulattiera per Valbondione. Io ve lo propongo nel senso opposto, con il vantaggio di anticipare al Curò la fiumana di escursionisti che vi si trova nelle belle giornate e di arrivare al Coca, meno frequentato, in tempo per l’ora di pranzo!
Si parte da Valbondione: l’ideale è lasciare l’auto in via Beltrame subito prima del tornante, nel punto in cui comincia il sentiero 301 per il rifugio Coca, in modo da recuperarla comodamente al ritorno. Non sempre è possibile, vista la popolarità di questo posto. In ogni caso ci si può arrangiare parcheggiando un po’ prima o un po’ dopo, dove si riesce. Consiglio comunque di partire di buon mattino per evitare il bagno di folla.
Ci si incammina lungo la strada in leggera salita fino a incontrare sulla destra il sentiero per il rifugio Curò: è difficile sbagliare, i sentieri da queste parti sono indicati molto bene. Ben presto si arriva alla trafficata mulattiera che sale lentamente verso il rifugio. Possiamo tagliare un po’ di tornanti prendendo il ripido sentierino che si stacca sulla sinistra a circa 4 km dalla partenza. Una volta al Curò, dove si arriva dopo circa 1000 m di dislivello, la vista si apre sul lago del Barbellino e sulle spettacolari vette circostanti.
Da qui si prende il sentiero 303 per il rifugio Coca. Si tratta di un EE, piuttosto tecnico nella parte alta, da affrontare solo con la dovuta esperienza e con condizioni meteo buone. Il periodo giusto è da giugno a ottobre, quando non c’è neve. Conviene comunque verificare con i rifugisti le condizioni della traversata prima di intraprenderla. Si comincia con un tratto in piano lungo il lago e una breve discesa verso la base della diga – dove non è insolito trovare atletici stambecchi in arrampicata libera.
Seguiamo sempre le indicazioni per il Coca, attraversando il fondovalle e il torrente Valmorta, per poi cominciare la faticosa risalita – in un chilometro e mezzo guadagneremo circa 500 m di quota – che ci porterà alla traversata vera e propria, ai piedi del Pizzo di Coca. Da qui la vista, che pure finora non è stata male, diventa davvero fantastica; dobbiamo però prestare attenzione a dove mettiamo i piedi, perché ora comincia il tratto più tecnico del giro. Un ripido canalino in discesa, pieno di sfasciumi, è attrezzato con catene, mentre in altri punti un po’ esposti o franosi non si può fare altro che procedere con cautela. Dal passo del Corno (2220 m) vedremo finalmente il rifugio Coca, parecchio più in basso.
Ancora qualche saliscendi, poi una bella discesa e finalmente arriviamo al ponticello che attraversa il torrente Coca. Il rifugio è poco più sopra e vale davvero la pena di farvi una sosta.
Volendo allungare di poco il giro, si può salire al vicino lago di Coca, sempre debitamente indicato. Altrimenti si riattraversa il ponticello e, senza possibilità d’errore, si prosegue in ripida ma facile discesa lungo il sentiero 301, seguendo le indicazioni per Valbondione. Si attraversa il fiume Serio e si risale alla strada dove si è parcheggiato.
Cascata del Toce – Lago di Morasco (1.815 m) – Lago dei Sabbioni (2.460 m) – Piano dei Camosci e Rifugio Città di Busto – Passo del Gries (2.469 m) – Capanna Corno Gries (2.338 m) – Laghi del Boden (2.348 m) – Lago Kastel (2.216 m) – Cascata del Toce
Periodo: Ottobre 2019
Partenza: Frua, cascata del Toce (1.675 m)
Distanza: 34 km
Dislivello: 1790 m
Acqua: non ci sono fontane, si può prendere dai torrenti
La Val Formazza non è proprio a due passi da Milano, ma nemmeno così lontana da non consentire una gita in giornata. Estrema propaggine settentrionale del Piemonte, al confine con la Svizzera, la valle ospita le sorgenti e la famosa cascata del fiume Toce – che con i suoi 143 m è la cascata più alta d’Europa e viene considerata una delle più spettacolari nelle Alpi, benché non sia visibile in tutta la sua portata se non in rari periodi dell’anno.
Proprio dalla cascata parte il nostro giro: parcheggiamo a località Frua, nell’ampio spiazzo davanti al ristorante Cascata del Toce. Qui troveremo una mappa che illustra il percorso dell’antica strada del Gries lungo la val Formazza; poco oltre comincia il sentiero. Dopo un breve tratto pianeggiante tra i prati, uno strappetto ci porta a un bivio: a destra i laghi di Boden e il lago Kastel, da cui arriveremo al ritorno, a sinistra il lago di Morasco.
Seguiamo le indicazioni per il lago di Morasco, proseguendo in piano per un paio di chilometri e attraversando il piccolo centro abitato di Riale. Arrivati ai piedi della diga di Morasco, prendiamo la strada che sale verso sinistra fino alla diga e seguiamo poi il facile sentiero pianeggiante girando tutto intorno al lago, che rimarrà alla nostra destra. In alternativa si può prendere la strada che sale verso destra e aggirare il lago dal lato opposto, risparmiando forse un chilometro. Le due strade, in ogni caso, alla fine si ricongiungono.
Verso il km 6 raggiungiamo un bivio con indicazioni accurate per tutte le possibili destinazioni della zona. Bisogna seguire quelle per il lago dei Sabbioni (2.460 m), dato verso sinistra a 1 h 50′ lungo il sentiero G39. Il sentiero a destra, G41, porta sempre al lago dei Sabbioni ma con un giro più lungo, che prenderemo al contrario dal lago verso il Piano dei Camosci e il rifugio Città di Busto.
Dopo un breve tratto semi-pianeggiante, il sentiero si impenna e comincia la prima e più dura salita del giro – oltre 600 m senza mai tirare il fiato. Ma il paesaggio dalla diga dei Sabbioni merita tutta la fatica: nello specchio d’acqua si riflettono cime innevate di una bellezza unica.
Attraversiamo la diga e torniamo indietro dall’altro lato della valle, seguendo le indicazioni per il Piano dei Camosci. Il sentiero non è tecnicamente difficile, ma in alcuni tratti risulta esposto e vi ho trovato ghiaccio nonostante le temperature relativamente miti: consigliati ramponcini e bastoncini!
Dopo una serie di saliscendi arriviamo al Piano dei Camosci e da qui un bel falsopiano in discesa ci porta al rifugio Città di Busto. Imbocchiamo ora il sentiero G41 in discesa verso sinistra. In appena un chilometro e mezzo perdiamo 400 metri di dislivello, atterrando infine in un ampio pianoro verdeggiante percorso da ruscelli, con cascatelle che scendono tutto intorno dalle ripide vette circostanti; in basso, dal lato opposto, si intravede di nuovo il lago di Morasco.
Dal pianoro seguiamo le indicazioni per il passo del Gries (2.469 m) e ci inerpichiamo per la seconda faticosa salita di questo giro. Si guadagna velocemente quota, 400 m in poco più di 2 km, mentre intorno a noi la vista si allarga, sempre più spettacolare, man mano che ci avviciniamo al passo. Alle nostre spalle svetta la Punta dei Camosci o Battelmatthorn, che supera i 3000 m di altezza; di fronte sulla destra vediamo il Corno Gries e in basso a sinistra l’omonimo lago. Al passo, una targa ricorda il passaggio di Wagner nel 1852. Siamo ora in territorio svizzero!
Seguiamo adesso il sentiero, parte del GTA (Grande Traversata delle Alpi), costeggiando il lago di Gries in un ambiente fantastico, di cui le pale eoliche non riescono nemmeno a scalfire la bellezza.
Al bivio manteniamo la destra e, dopo un’ultima salitella, finalmente possiamo goderci la cavalcata in discesa lungo il GTA fino a Capanna Corno Gries (2.338 m). Anche qui ho trovato parecchia neve e tratti con ghiaccio.
Arrivati a Capanna Corno Gries, abbandoniamo il GTA, che scende dritto verso la Svizzera, e imbocchiamo invece il sentiero a destra, in direzione San Giacomo, che ci riporta verso l’Italia.
Ci aspetta ora un bel tratto di saliscendi, molto corribile e con una vista spettacolare sulla strada a tornanti per il Nufenenpass, o passo della Novena, che collega la Valle di Goms nell’alto Vallese con la Val Bedretto nell’alto Ticino.
Il sentiero svolta poi verso destra, riportandoci verso l’Italia. Teniamo sempre la destra seguendo le indicazioni per il passo San Giacomo e proseguiamo in salita fino a raggiungere una piccola pozza d’acqua. Qui, volendo accorciare il giro, si può prendere la strada carrozzabile seguendo le indicazioni per Riale.
Proseguendo invece verso sinistra, in leggera salita e in direzione Laghi di Boden – Capanna Maria Luisa, aggiungeremo ancora qualche chilometro e un centinaio di metri di dislivello, ampiamente ripagati dalla vista dall’alto su questi pittoreschi laghetti alpini. Il sentiero qui è sufficientemente segnalato da bolli sbiaditi, ma non sempre evidentissimo: potrebbe risultare difficile orientarsi in caso di nebbia, per cui consiglio comunque di seguire la traccia gpx.
Il primo lago comparirà all’improvviso superando una bocchetta: scendiamo fino alle sue sponde e lo aggiriamo a sinistra.
Si segue poi il sentiero, tenendo la destra al bivio, fino al secondo lago, che vedremo alla nostra sinistra, e si prosegue arrivando in vista della possente diga del lago Kastel (2.216 m). In caso di dubbio, seguiamo sempre le indicazioni per Riale.
Alla diga, imbocchiamo la carrozzabile verso sinistra in direzione Cascata del Toce. La seguiamo per circa 2 km, dopodiché troveremo sulla destra il sentiero per la cascata del Toce. Seguiamo questo sentiero, una discesa piuttosto ripida e faticosa, fino al bivio da cui siamo passati all’andata. Poche centinaia di metri e siamo al parcheggio.
Dal lago di Campo Moro (1.996 m) al rifugio Carate (2.636 m) – Alta Via della Valmalenco fino al rifugio Bignami (2.401 m) – discesa verso il lago di Gera – Alpe Gembré (2.213 m) – passo Confinale (2.628 m) – Cima Fontana (3.068 m) – ritorno a Campo Moro lungo il lago di Gera.
Periodo: Luglio 2019
Partenza: Campo Moro (1.996 m)
Distanza: 27,8 km
Dislivello: 1.900 m
Acqua: fontana all’alpe Gembré, più numerosi ruscelli e torrenti.
Un giro spettacolare, tutto sopra i 2.000 m, che attraversa la Valmalenco con scorci meravigliosi sul ghiacciaio Fellaria e sul lago di Gera, portandoci anche a conquistare una vetta oltre i 3.000 m. Le difficoltà tecniche sono minime, ma anche in piena estate è meglio avere nello zainetto un minimo di attrezzatura per l’alta montagna: ramponcini, bastoncini e giacca antivento.
Si parte da Campo Moro, dal parcheggio (gratuito) davanti al rifugio Poschiavino. Ci scaldiamo le gambe prendendo la strada che con una curva a gomito svolta tutto a sinistra, in discesa, verso la diga del lago di Campo Moro. Attraversiamo la diga e proseguiamo ancora per un breve tratto in discesa fino a incontrare di fronte a noi, nel punto in cui la strada svolta a sinistra per l’Alpe Musella, il sentiero che sale verso il rifugio Carate. Una prima salita ci porta a guadagnare circa 200 metri di dislivello, dopodiché possiamo tirare il fiato con un chilometro abbondante di sentiero semipianeggiante nel bosco. Di nuovo il percorso si impenna con uno strappo in cui saliamo di altri 500 metri, arrivando al rifugio Carate (2.636 m).
Si prosegue ora verso destra, lungo l’Alta Via della Valmalenco, in direzione del rifugio Bignami. Tra roccette, sfasciumi e residui di neve bisogna muoversi con cautela, senza perdere di vista i bolli bianco-rossi che indicano la retta via in mancanza di un vero e proprio sentiero da seguire. Dopo un tratto più o meno pianeggiante, una nuova salita ci porta a quota 2.820 m, alla Forca di Fellaria. Da qui la vista può spaziare a trecentosessanta gradi sull’ambiente maestoso intorno a noi, dal Sasso Moro al Monte delle Forbici alla Cima Fontana – meta, quest’ultima, del nostro giro.
Proseguiamo ora in discesa verso l’Alpe di Fellaria e il rifugio Bignami. Pietraie e nevai lasciano gradualmente il posto a una valle bucolica, con ampi prati verdi e un bel torrente spumeggiante che abbiamo giudicato abbastanza sicuro per rifornirci d’acqua. Di fronte a noi la vista si apre su quello che è rimasto del ghiacciaio Fellaria.
Giunti al rifugio Bignami (2.401 m), che gode di una posizione davvero invidiabile ai piedi del ghiacciaio e sopra il lago di Gera, imbocchiamo il sentiero in discesa verso sinistra, seguendo le chiare indicazioni per Gembré, Val Poschiavina, Passo Confinale.
Perdiamo quota fino ad arrivare praticamente al livello del lago, per poi ricominciare a salire verso l’Alpe Gembré. Poco dopo l’inizio della salita, incontreremo un bivio dove dobbiamo tenere la destra per poter attraversare il torrente all’altezza di un ponticello: il sentiero di sinistra porta sempre all’Alpe Gembré, ma costringe a un guado un po’ antipatico.
L’alpeggio, abitato durante i mesi estivi dai pastori, vanta una vista forse ancora più bella del Bignami, dal lago di Gera al ghiacciaio sovrastante. Qui troviamo, finalmente, una fontana dove rinfrescarci e rifornirci d’acqua.
Abbandoniamo ora il sentiero che percorre il perimetro del lago di Gera e imbocchiamo quello in salita verso il passo Confinale e il bivacco Anghileri-Rusconi.
Una ripida salita ci condurrà a un ampio pianoro, dove incontreremo, sulla destra, delle indicazioni per la Val Poschiavina: dovrebbe esserci qui un sentiero, che però noi non abbiamo trovato. Proseguiamo comunque dritto, in leggera salita, fino al passo Confinale, che separa formalmente l’Italia dalla Svizzera, la Valmalenco dalla Val Poschiavo. Qui continuiamo a salire verso sinistra, arrivando ben presto al bivacco Anghileri-Rusconi (2.654 m), ben visibile per il suo colore arancio fiamma.
Si supera il bivacco e si prosegue in ripida salita, cercando di non perdere di vista i bolli bianco-rossi e i sempre più rari tratti di sentiero evidente. Il nostro percorso verso la Cima Fontana è comunque l’unico evidenziato dai segnavia, per cui è difficile sbagliare.
Ma la traccia tra rocce, sfasciumi e nevai diventa via via più labile, in un paesaggio che si fa sempre più selvaggio, lunare. Tra i residui di neve scrosciano piccoli e grandi corsi d’acqua, che qua e là formano cascatelle e laghetti, mentre sullo sfondo domina il ghiacciaio Fellaria. Uno spettacolo davvero magnifico.
Seguiamo il sentiero lungo un’ampia curva verso sinistra e arriviamo finalmente alla cresta sommitale, che percorriamo prestando attenzione ai pochi tratti esposti. Qui il sentiero è praticamente inesistente, ci muoviamo seguendo i bolli tra rocce e sfasciumi. Siamo ormai oltre i 3000 metri e la quota si fa sentire nelle gambe e nei polmoni.
Dalla vetta (3.068 m) si dovrebbe godere di un panorama impagabile… anche se noi non siamo stati fortunati con il meteo!
Torniamo ora sui nostri passi, ripassando per il bivacco, il passo Confinale, giù per il pianoro e fino all’Alpe Gembré, che vista dall’alto è ancora più bella.
All’alpeggio, riprendiamo il giro del lago di Gera laddove lo avevamo interrotto per salire alla Cima Fontana: questo facile sentiero, molto bello e panoramico in quanto costeggia appunto il lago, ci porterà in 5 km – in gran parte in discesa, ma con ancora qualche breve tratto di salita – alla diga del lago di Gera e, da qui, alla strada asfaltata che ci ricondurrà a Campo Moro.
Valmalenco e Val Poschiavina (48,5 km – 2750 m D+)
5 Luglio 2021 by marta • Valtellina Tags: alpe gembré, alpe musella, alta via, bignami, campomoro, corsa in montagna, diga, fellaria, ghiacciaio, lago di gera, percorso trail, poschiavo, rifugio cristina, trail running, val poschiavina, valmalenco, vut • 0 Comments
Un bellissimo “lungo” ad alta quota tra vette maestose, nevai, cascate e laghetti alpini.
Chiesa in Valmalenco – Alpe Cavaglia – Alpe Prabello (2225 m) – Passo di Campagneda (2615 m) – Val Poschiavina – Alpe Gembré – Rifugio Bignami (2401 m) – Diga di Campo Moro – Alpe Musella (2021 m) – Alpe Campascio (1844 m) – Dosso dei Vetti – Cima Sassa (1721 m) – Ponte – Chiesa in Valmalenco
Periodo: Luglio 2021
Partenza: Chiesa in Valmalenco (960 m)
Distanza: 48,5 km
Dislivello: 2750 m
Acqua: si trovano fontane a tutti gli alpeggi, oltre a numerosi ruscelli
GPX (clic dx, salva link con nome)
Quando penso a un luuungo giro estivo, il primo posto che mi viene in mente è la Valmalenco, con la sua fantastica alta via che a ogni svolta del sentiero offre un nuovo scorcio più bello del precedente – e dove tra poco si svolgerà la famosa VUT. Lo scorso anno con Marta avevo provato l’intero percorso di gara: questa volta ho deciso invece di percorrere un tratto dell’alta via dove la gara non passa, vale a dire il passo di Campagneda e la meravigliosa Val Poschiavina.
Il mio punto di partenza è il centro sportivo Vassalini a Chiesa in Valmalenco. Ricordando bene l’infinita discesa dal rifugio Cristina all’alpe Cavaglia e da qui a Chiesa, faticosissima dopo il lungo giro dell’anno scorso, decido di togliermi subito quel tratto fastidioso andando a imboccare l’alta via in senso opposto al percorso della VUT. Dal centro sportivo prendo dunque la ciclabile in direzione Lanzada e Caspoggio, attraversando la statale (sottopasso) e poi il torrente Lanterna. Sulla destra trovo subito il sentiero per Caspoggio e, con una breve salita, arrivo in paese. Proseguo lungo la strada, sempre in salita, e vado a prendere la mulattiera per Pianaccio.
Un sentiero taglia i tornanti della mulattiera, permettendomi di guadagnare quota velocemente. Una volta a Pianaccio trovo diverse indicazioni: un sentiero a sinistra porta direttamente al rifugio Cristina, ma io ho intenzione di percorrere l’alta via e seguo dunque i cartelli per Piazzo Cavalli (sentiero 305, indicato anche come AV).
Superato l’alpeggio, si prosegue lungo la strada sterrata in direzione della seggiovia. Dopo qualche tornante, si troverà sulla sinistra il sentiero, ben segnalato da bolli bianco-rossi, e si continua a salire fino a raggiungere le piste da sci a Piazzo Cavalli.
A questo punto la cosa più logica è continuare lungo l’alta via, chiaramente indicata non solo con i bolli bianco-rossi, ma anche con un triangolo giallo rovesciato, in direzione Alpe Cavaglia. Io invece, poco astutamente, ho seguito il sentiero per Crap, che rimane poco più basso rispetto a quello principale, e mi è poi toccata una bella ravanata nel bosco per tornare sulla retta via. Raccomando quindi, in questo punto, di seguire i cartelli e non la mia traccia gpx.
Recuperato il sentiero corretto dopo l’excursus nel bosco, mi guardo intorno e mi rendo conto che questo tratto di alta via è molto più bello di quanto lo ricordassi. Raggiunti i 2000 m di quota, la salita si addolcisce, il bosco si dirada e spuntano le montagne: tra i rododendri in fiore, uno spettacolo che ogni anno riesce a sorprendermi come la prima volta, si comincia a intravedere il ghiacciaio Fellaria, mentre alle mie spalle, maestoso, troneggia il Disgrazia.
Il sentiero spiana mentre mi avvicino all’Alpe Cavaglia, che poi consiste solo in un paio di antiche baite ormai in disuso. In fondo a destra svetta il Pizzo Scalino, la cui presenza mi accompagnerà per tutta la prima parte del giro fino al passo di Campagneda.
Si prosegue con qualche saliscendi in un ambiente sempre più spettacolare fino all’alpeggio successivo, l’Alpe Acquanera. Questo alpeggio, a differenza dell’Alpe Cavaglia, è ancora utilizzato, con mucche al pascolo e pastori al lavoro. Superando l’ultima baita si troverà anche una fontana.
Circa 3 km di saliscendi mi separano ora dall’Alpe Prabello (2225 m), dove si trova il rifugio Cristina. Li percorro abbastanza velocemente e ben presto arrivo in vista del santuario Madonna della Pace.
Anche qui si può fare rifornimento d’acqua. Passando al mattino presto ho trovato l’alpeggio ancora addormentato, ma tenete conto che all’ora di pranzo il rifugio e gli ampi prati richiamano numerosi escursionisti.
Anche qui, sentitevi liberi di ignorare la mia traccia e di seguire i cartelli: l’alta via e il passo di Campagneda sono infatti chiaramente indicati. Io ho istintivamente continuato a seguire a ritroso il percorso della VUT lungo la strada sterrata che scende verso Campo Moro, salvo poi deviare a destra ritrovando le indicazioni per il passo di Campagneda.
Dopo un tratto di discesa, la mia strada sterrata riprende a salire e torno sull’alta via, con l’imponente Pizzo Scalino come presenza costante alla mia destra. Comincia ora la parte più bella del giro: accompagnata dai fischi delle marmotte salgo sempre più in alto, superando i laghi di Campagneda, che offrono scorci davvero meravigliosi, e incontrando i primi piccoli nevai verso quota 2400 m.
Per quanto il sentiero sia facile e l’ambiente assolutamente non pericoloso, consiglio di utilizzare la traccia gpx. In alcuni punti, infatti, i bolli si perdono nell’erba o nella neve ed è comodo avere un riferimento per orientarsi.
Poco prima di raggiungere il passo trovo delle roccette attrezzate con una catena e persino delle staffe per i piedi, che mi sembrano un po’ eccessive vista la quantità di appigli naturalmente offerti dalla roccia.
Il passo di Campagneda (2615 m), più che una bocchetta, si rivela un ampio e panoramico pianoro roccioso, dove un arco in legno segna il punto di passaggio di una skyrace che ormai non si tiene più, la Valmalenco – Val Poschiavo. Esco dal sentiero bollato per aggirare un nevaio e raggiungo l’arco, che a quanto pare è posto proprio sul confine: puntualmente, infatti, ricevo il classico SMS di benvenuto e un secondo SMS con la normativa Covid-19 in Svizzera.
Superato il passo, si scende verso la Val Poschiavina sempre lungo l’alta via, seguendo i bolli tra roccette e piccoli nevai. I ramponcini sono rimasti sempre nello zainetto: ho infatti trovato neve molle e mai in punti esposti. Approfitto di un ponticello per attraversare il torrente Poschiavina, il cui corso mi accompagnerà giù per l’omonima valle e fino al lago di Gera. Poco dopo arrivo al passo di Cancian (2498 m), il cui aspetto è così poco quello di un passo che mi accorgo di averlo superato solo più tardi, riguardando il percorso sulla cartina.
Dopo un primo tratto di discesa per roccette, anche qui esageratamente attrezzate con catene e staffe, proseguo in leggera discesa se non addirittura in piano per la bucolica ma infinitamente lunga val Poschiavina. Pensavo di impiegare di meno a percorrere i 4-5 km che ancora mi separano dal lago di Gera, ma il sentiero, per quanto facile e semi pianeggiante, si rivela sconnesso e paludoso e mi costringe quasi a camminare.
Finalmente arrivo in vista dell’Alpe Val Poschiavina, dove trovo una fontana per rabboccare le borracce, e del lago di Gera. Proseguo in discesa tenendo la destra, seguendo le indicazioni per l’Alpe Gembré.
Seguo il sentiero lungo la sponda orientale del lago e la vista si apre sul ghiacciaio Fellaria, o su quanto ne rimane. Compare anche il rifugio Bignami, prossima tappa del mio giro.
Raggiungo e supero l’Alpe Gembré, senza fermarmi alla fontana visto che ho già le borracce piene, e proseguo lungo il sentiero ora in discesa per il rifugio Bignami. Bisogna abbandonare brevemente il sentiero principale e seguire le frecce verdi che portano a un ponte per attraversare il torrente poco più in basso: ponte utilissimo, a maggior ragione con il torrente in piena per la neve che si sta sciogliendo.
Si può ora corricchiare a fondovalle, sempre seguendo i bolli e i triangoli rovesciati dell’alta via in un ambiente da favola, con i rododendri in fiore e il fragore delle cascate che provengono dal ghiacciaio.
Attraverso il torrente Valle di Campo Moro, anch’esso in piena, grazie a un altro ponte, qui davvero indispensabile. Il terzo ponte, invece, manca: trovo infatti il sentiero interrotto da un altro torrente, non altrettanto impetuoso ma comunque carico d’acqua. Dopo avere cercato inutilmente un punto sicuro per l’attraversamento, stabilisco che la soluzione migliore sia togliermi le scarpe e guadare con l’acqua al ginocchio. Qualunque cosa pur di non tornare indietro e rovinare l’anello!
Altre persone che arrivavano dalla parte opposta hanno preferito rinunciare e tornare indietro. Ma non temete, la piccola ruspa parcheggiata lì vicino e i sassi ammonticchiati su entrambe le sponde mi fanno pensare che presto ci sarà un ponticello anche qui! In alternativa, per evitare questo tratto, dalla Val Poschiavina si può scendere direttamente a Campo Moro senza passare per il Bignami. Che però sarebbe proprio un peccato!
Il rifugio è sempre affollatissimo in questa stagione, per cui mi fermo giusto il tempo di una foto e riparto in discesa per la mulattiera che passa sulla sponda occidentale del lago di Gera. Qui c’è come sempre una processione di escursionisti da 400 m di dislivello, nonostante un paio di nevai che, pur battuti, aumentano un po’ la difficoltà del percorso. Come al solito, tra la folla, c’è chi si lamenta di essere superato e chi mi chiede che fretta abbia per scendere di corsa – l’idea che mi manchino ancora 20 km, dopo i quasi 30 già percorsi, ovviamente non li sfiora – ma trovo anche tante persone gentili che mi sorridono e si complimentano.
Alla fine della mulattiera attraverso la diga di Gera, da cui si gode di una vista fantastica sul ghiacciaio Fellaria e il sottostante rifugio Bignami, e proseguo in discesa verso Campo Moro. Un sentiero che si prende sulla destra mi permette di evitare la strada, superando in fretta il lago di Campo Moro e arrivando all’omonima diga.
Il panettone che si vede dietro alla diga è il monte Motta, che dovrò superare – pur senza arrivare in cima – per tornare a Chiesa. Da Campo Moro, le indicazioni da seguire sono quelle per l’Alpe Musella: si prende dunque la strada in discesa verso destra, si attraversa la diga e si continua lungo la mulattiera in discesa, senza farsi tentare dai cartelli per Campo Franscia. Mi aspetta ancora un po’ di salita, ma era una cosa voluta e mi attengo al programma. Il sentiero per l’Alpe Musella, in ogni caso, è facile e mai troppo ripido, con lunghi tratti pianeggianti e corribili e torrentelli dove ogni tanto mi fermo a bere un sorso d’acqua.
Arrivo all’alpeggio mentre il cielo si copre e cominciano a cadere le prime gocce. Poco male, non ci sono temporali in vista e piove quanto basta per rinfrescarmi. Speravo a quest’ora di essere già alla macchina, ma il guado e le continue soste per le foto mi hanno fatto perdere tempo. Dall’Alpe Musella seguo le indicazioni per l’Alpe Campascio, poco lontano.
Attraverso altri torrenti (sempre con ponti) e proseguo più o meno in piano fino a Dosso dei Vetti; da qui perdo ancora un po’ di quota prima dell’ultima salita. La mulattiera bagnata non contribuisce a migliorare il mio passo, già fiacco dopo tante ore sulle gambe, e la stanchezza mi impedisce di godermi appieno il paesaggio.
Finalmente arriva la salita che stavo aspettando: è il sentiero 339 per Cima Sassa e rifugio Motta. Lo seguo, guadagnando piano piano gli ultimi 200 m di dislivello di questo lungo giro, e raggiungo infine Cima Sassa (1721 m).
Non è una cima, ma da qui inizia la discesa. Non ci sono indicazioni in tal senso ma bisogna proseguire dritto, perdendo quota per i prati fino all’alpeggio sottostante – di cui non ricordo il nome, non me ne vogliano gli abitanti. Si trova anche qui una fontana, anche se io ho già fatto rifornimento all’ultimo torrente e decido di non fermarmi. Le prossime indicazioni da seguire sono quelle del sentiero 338 per Ponte, Lanzada e Chiesa, prima su strada carrozzabile e poi lungo un sentiero ben indicato. All’unico bivio non segnalato, come è naturale, ho sbagliato strada prendendo la discesa verso sinistra, mentre avrei dovuto proseguire dritto arrivando direttamente a Ponte. Poco male, ho allungato di poco e ho comunque raggiunto lo stesso paesino da un’altra strada. Bisogna ora seguire le indicazioni per Chiesa – non quelle per Lanzada! – lungo un sentierino ripido, umido e pieno di vegetazione.
Una volta a Chiesa, si scende ancora un po’ lungo la strada e, ignorando le indicazioni che non sono corrette, bisogna attraversare il ponte che vedete in foto in direzione della funivia. Subito dopo il ponte, si svolta a destra e ben presto si arriva in vista del centro sportivo Vassalini.