Val Grande wild trail (21 km – 1800 m D+)
Nell’area wilderness più estesa d’Italia, tra alpeggi immersi in un’atmosfera di altri tempi, sentieri semi abbandonati e cime incredibilmente panoramiche.
Periodo: Settembre 2023
Partenza: Scareno (VCO)
Distanza: 21 km
Dislivello: 1800 m
Acqua: fontane agli alpeggi e al bivacco Pian Vadà
GPX (clic dx, salva link con nome)
Ogni tanto torno a fare un saluto ai miei posti del cuore – tra i quali rientrano a pieno titolo la Marona e la Zeda, tra le cime più alte della Val Grande. La cresta con le due vette costituisce la parte relativamente facile e “addomesticata” del sentiero Bove, una delle alte vie più selvagge e impegnative delle Alpi, che non ho ancora avuto il coraggio di percorrere per intero.
Un giro simile, un po’ più lungo, risale a qualche anno fa: lo trovate a questo link. Oggi come allora, per arrivare a percorrere quel breve, magico tratto di sentiero Bove ho affrontato un disagio dietro l’altro ma, per passare qualche minuto a godermi il silenzio della Val Grande dalle due croci della Marona e della Zeda, ne è valsa assolutamente la pena.
Per il ritorno in Val Grande scelgo una domenica di inizio ottobre, casualmente all’indomani dell’UTLM. Il clima è incredibilmente umido e soffocante e, sul lago Maggiore, aleggia una cappa di foschia che toglie ogni visibilità. Deve essere destino che io non veda mai il lago dall’alto di queste montagne!
Lascio l’auto nel minuscolo borgo di Scareno, dove non c’è un vero parcheggio ma, arrivando di buon mattino, si può trovare un buco lungo la strada. Dall’interno del borgo comincia il sentiero: le indicazioni da seguire sono quelle per il ponte del Dragone e per l’alpe Piaggia.
I primi chilometri sono quasi pianeggianti. Si costeggia il torrente, che poco prima del ponte del Dragone forma una bella cascata; dal ponte in avanti si comincia a guadagnare quota e si raggiunge l’alpe Piaggia. Qui il sentiero si divide: verso destra è indicato il passo Folungo, da cui arriverò al ritorno; a sinistra gli alpeggi Occhio e Onunchio. Il colle della Forcola, da dove prenderò il sentiero Bove, non è indicato, ma dovrebbe trovarsi dopo l’alpe Onunchio.
Mi sorprende trovare qui le balise dell’UTLM: il sentiero (orribile) che mi accingo a percorrere da Piaggia al colle della Forcola sarebbe la variante della gara in caso di maltempo – quella che toccò a me, con la fortuna che mi contraddistingue, quando partecipai due anni or sono. Forse gli organizzatori hanno tracciato entrambi i percorsi, nonostante il tempo stabilissimo dell’ultima settimana? Quale che sia la ragione, sono ben contenta delle balise che mi aiutano a orientarmi.
Ho già detto che questo sentiero è tremendo? A tratti stretto e sconnesso, evidentemente poco battuto, in un bosco soffocante pieno di rigagnoli e pozzanghere fangose, dove è difficile non dico tenere i piedi asciutti, ma a volte anche rimanere in piedi. Lo ribadisco perché non me ne vogliate, poi, nel caso decidiate di rifare questo giro. Mente fissa sull’obiettivo, esco finalmente dal bosco e raggiungo il colle della Forcola (1518 m).
Il sentiero Bove, da qui al monte Zeda, è relativamente facile (per essere un EE) e ben segnato. I bolli sono evidenti anche con la nebbia, che da queste parti scende di frequente e senza troppo preavviso, e tutti i punti potenzialmente scivolosi o esposti sono stati messi in sicurezza con catene. Non si può dire lo stesso per il resto dell’alta via, che va affrontata dopo attenta valutazione, con qualcosa in più di uno zainetto da cinque litri, due flask mezze vuote e un Garmin scarico.
La cima del pizzo Marona (2051) e la sua cappella sconsacrata, che funge anche da bivacco, si trovano al disopra della cappa di umidità che ricopre il lago: da qui, la vista sulla val Grande con il Monte Rosa alle spalle è semplicemente spaziale. Mi fermo qualche minuto alla piccola croce di vetta, godendomi la solitudine e il silenzio, e mi incammino poi verso la Zeda.
Dalla croce di vetta del monte Zeda butto un occhio verso la val Grande, dove si inoltra il sentiero Bove; ripromettendomi, prima o poi, di percorrerlo tutto, mi accingo a tornare alla civiltà, prendendo il più comodo sentiero che scende verso il passo Folungo passando per il bivacco Pian Vadà.
Il bivacco, dove si trova anche un’utilissima fontanella, è immerso nella nebbia. Da qui al passo Folungo si può seguire la strada sterrata in discesa o il sentiero che ne taglia i tornanti – io prendo il sentiero e ben presto arrivo in vista del passo.
Si trova, qui, un crocevia di sentieri e stradine. I pochi escursionisti che incontro sono arrivati quassù in auto, che mi pare più faticoso che salire a piedi. Studio i cartelli, visto che la batteria del mio Garmin è morta in cima alla Zeda, e vedo che l’alpe Piaggia è indicata tutto a destra, lungo una strada sterrata chiusa da una sbarra.
Sperando che il divieto di accesso sia rivolto alle auto e non vedendo sentieri alternativi, supero la sbarra e mi avvio lungo la strada in discesa. Ben presto mi rassicuro: sono ricomparse le balise dell’UTLM e riconosco la salita che, a suo tempo, mi ero sparata sotto il sole verso il cinquantesimo chilometro di gara. Ripercorrendola in senso contrario, so che arriverò al facile sentiero per Piaggia.
Le balise mi accompagnano fino alle prime, antiche baite di Piaggia. Da qui, non mi resta che tornare sui miei passi fino a Scareno.
Esplorando la Valcuvia (35 km – 1950 m D+)
12 Maggio 2024 by marta • Altro Tags: arcumeggia, cuvignone, lago maggiore, laveno, pizzoni, val cuvia, vararo, varesotto • 0 Comments
Su e giù per boschi, borghi pittoreschi e trincee della Grande Guerra, con scorci meravigliosi sul lago Maggiore.
Casalzuigno – Aga – Pozzopiano (981 m) – Vararo – Pizzoni di Laveno (1015 m) – rifugio Adamoli – San Michele – forte di Vallalta – Arcumeggia – Marianne – Casalzuigno.
Periodo: Maggio 2024
Partenza: Casalzuigno (VA)
Distanza: circa 35 km
Dislivello: circa 1950 m
Acqua: fontane a Vararo, San Michele, Arcumeggia.
GPX (clic dx, salva con nome)
Finalmente di ritorno sui sentieri, decido di esplorare le montagne tra la Valcuvia e il lago Maggiore: mi aspetto di trovarvi un ambiente silenzioso e selvatico, meno frequentato rispetto alle più popolari cimette del Campo dei Fiori, e disegno un giro con qualche chilometro su asfalto per recuperare il tempo che inevitabilmente perderò a scavalcare gli alberi caduti sui sentieri.
Se volete provare a ripeterlo, ecco i miei consigli:
Il parcheggio più comodo da cui partire è quello, gratuito, della Villa della Porta Bozzolo, un’impressionante villa cinquecentesca gestita dal FAI. E non sarà l’unico pezzo di storia che incontrerò in questo giro. Guardando la villa, si prende la stradina a sinistra che attraversa il piccolo centro di Casalzuigno. Trovo delle indicazioni per sentiero 3V (Via Verde Varesina) e altre per Aga, prima tappa del percorso.
Prendo dapprima una mulattiera in salita a sinistra del torrentello, che poi attraverso per proseguire verso Aga. Un sentiero taglia un paio di curve, per il resto seguo la strada e arrivo ben presto a questo minuscolo e grazioso borgo, a 500 m di altezza.
Raggiunto il piccolo abitato, svolto a sinistra e supero le poche case, trovandomi ben presto sul sentiero per Pozzopiano. Oltre ai soliti bolli bianco-rossi, ce ne sono altri giallo-verdi, che penso appartengano al sentiero 3V. La salita nel bosco è facile e piacevole, ma dal numero di alberi sradicati capisco che dietro a questo bel sentiero c’è un lavoro immenso di ripristino dopo le tempeste dell’inverno.
Arrivo senza problemi a Pozzopiano (981 m), seconda tappa del mio giro, dove i cartelli danno Vararo, la tappa successiva, a 3 ore di cammino. Dopo avere attraversato il prato, occhio a prendere il sentiero che sale ripido nel bosco e non la stradina pianeggiante poco più in basso. Senza salire in cima al monte Nudo – di dislivello in questo giro ce n’è già abbastanza per le mie gambe poco allenate! – proseguo in piano nel bosco, che nel punto più alto è un vero campo di battaglia.
Dopo avere scavalcato qualche tronco e una ruspa parcheggiata, non trovo altri ostacoli e scendo lungo una stradina sterrata a tornanti in direzione passo Cuvignone. Con il senno di poi, sarebbe stato più bello passare dal vicino monte Crocetta, indicato al bivio, e di lì scendere a Vararo: peccato non averci pensato prima. Arrivo alla strada asfaltata e, senza raggiungere il passo Cuvignone, prendo il facile sentiero in discesa per Vararo.
Finalmente la vista si apre e le montagnette della Val Cuvia si mostrano in tutto il loro splendore.
Arrivo infine in paese, sperando di trovarvi dell’acqua: mi imbatto subito in un lavatoio, dove in realtà di acqua non ce n’è, ma trovo in compenso l’inquietante pupazzo di una lavandaia.
Perplessa e assetata, supero le ultime case perdendo via via le speranze, ma alla fine c’è per fortuna una fontanella funzionante davanti al piccolo cimitero poco fuori dal paese. Riempio le borracce e proseguo in leggera discesa in direzione Casere. Lungo la strada, tra tante ordinate villette dai giardini impeccabili, trovo una casa che pare quella del Cappellaio Matto – forse l’autore della lavandaia di prima?
Da Casere prendo il sentiero che sale ai Pizzoni di Laveno, quarta tappa del mio giro e vera attrazione della zona, dove incontro parecchi escursionisti. La cresta dei Pizzoni è l’unica parte un po’ tecnica del percorso, ma anche quella più panoramica.
La maggior parte degli escursionisti si ferma alla croce dei Pizzoni, ma trovo qualcuno anche sul sentiero che da qui porta al passo di Cuvignone. Girando sempre intorno al passo, che non raggiungo mai, scendo verso il rifugio Adamoli. Da qui, accendo la musica e mi armo di pazienza: mi aspettano diversi chilometri di strada a tornanti in discesa fino a un primo bivio, dove svolto a destra per Arcumeggia, e poi in piano fino al bivio per San Michele.
Qui mi aspettavo, a dire il vero, uno sterrato: invece la salita è ancora su asfalto, regno di ciclisti e di rumorosi motociclisti. Pazienza, un po’ correndo e un po’ camminando la percorro tutta e, dopo avere scollinato, prendo finalmente un sentiero segnato con il numero 9, non pulitissimo ma corribile, che scende verso San Michele, dove incrocio prima un bar-ristoro e poi una bellissima chiesa romanica.
Sono alla quinta tappa e ben oltre la metà del mio giro, con 20 km e buona parte del dislivello già fatti. Approfitto di una fontanella per riempire di nuovo le flask e riparto tranquilla in direzione Vallalta e Arcumeggia. Attraverso il minuscolo abitato e trovo un bel sentiero con qualche saliscendi, facile e corribile.
Scopro dai cartelli che da queste parti, durante la prima guerra mondiale, correva la linea Cadorna e, dopo un bivio dove proseguo lungo lo sterrato in salita, incontro alcune delle postazioni del forte di Vallalta.
Dai cartelli mi sembra di capire che il forte vero e proprio di trovi poco oltre queste grotte e che si possa raggiungere tramite un sentiero, il 260, che ne percorre tutte le postazioni. Io proseguo invece in salita lungo il 206/3V e alla prima occasione abbandono la stradina sterrata per quella che mi pare una scorciatoia. Qui occorre seguire la traccia gpx, perché ci sono diversi sentieri e le indicazioni sono poche. Quello giusto sale dapprima molto ripido, poi sempre più morbido nella pineta, fino a incontrare una strada asfaltata che non capisco a che serva; qui proseguo ancora in salita nel bosco, su traccia sempre più fievole ma pur sempre visibile. Alla fine una discesa mi deposita su un altro sterrato, la vista si apre e la salita pare terminata.
Ricompaiono le indicazioni del sentiero 206 per Arcumeggia, ultima tappa del mio giro: le seguo trotterellando in discesa prima su un noioso sterrato, poi lungo un sentierino che mi conduce direttamente in paese. Arcumeggia, più che un semplice borgo, è una galleria d’arte a cielo aperto che meriterebbe una visita a parte: se vi interessa saperne di più, potete trovare qui qualche informazione.
Riempio un’ultima volta le flask e mi avvio lungo la mulattiera in leggera salita che porta verso Duno. Anche qui si incrociano diversi sentieri, ma una volta imboccato quello giusto mi rilasso: sembra in ottime condizioni e già mi immagino di raggiungere l’auto in una mezz’oretta. Dopo averne già percorso una buona parte, trovo però il sentiero interrotto da una frana. Decido che attraversarla è troppo pericoloso e riesco ad aggirarla dall’alto, ma sconsiglio di ripetere l’operazione. Anche perché, superato il punto critico e raggiunta la mulattiera in discesa che mi deve riportare a Casalzuigno, scopro che si tratta di un’orribile striscia di cemento accidentata e con pendenza 25%, una gioia per i miei quadricipiti! Meglio trovare un’alternativa, se volete il mio parere.