Alta via di Fundres (76 km – 5400 m D+)
Da Vipiteno a Brunico lungo un’alta via selvaggia, durissima, semplicemente spettacolare.
Primo giorno (40,5 km – 3600 m D+): Vipiteno / Sterzing – Malga Simile / Mahd (2011 m) – Lago Selvaggio / Wilder See – Forcella Rauhtal (2807 m) – Rifugio Bressanone / Brixen (2307 m) – Forcelle Steinkar, Keller e Donnel – Gaisscharte (2700 m) – Rifugio Ponte di Ghiaccio / Edelraut (2545 m).
Secondo giorno (35,5 km – 1800 m D+): Rifugio Ponte di Ghiaccio – Baita Gruipa – Baita Gambia – Forcella Sega Alta / Hohe Säge (2610 m) – Rifugio Lago di Pausa / Tiefrasten (2312 m) – Kleines Tor (2375 m) – Cima delle Dodici / Zwölferspitz (2351 m) – Cime di Putzen – Cime Valperna e Plattner – Monte Sommo / Sambock (2396 m) – Kofl – San Giorgio (Brunico).
Periodo: Agosto 2021
Partenza: Vipiteno
Arrivo: San Giorgio (Brunico)
Distanza: 76 km
Dislivello: 5400 m
Acqua: si trova regolarmente, tranne sulla lunga cresta tra Kleines Tor e il monte Sommo.
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Chiunque ci conosca sa che, a noi Martas, le cose facili non piacciono. E l’alta via di Fundres, una lunga e intensa traversata tra i monti dell’Alto Adige da Vipiteno a Brunico, non è stata certo una passeggiata. Il divertimento, d’altra parte, è proporzionale alle difficoltà superate – e noi ci siamo divertite tantissimo.
La logistica di questo giro non è banale: Vipiteno non è proprio dietro l’angolo e prenotare una stanza all’ultimo momento per il 12 agosto non è stato semplice, così come trovare posto al rifugio Ponte di Ghiaccio – per fortuna i gestori sono stati solidali con la nostra piccola impresa e ci hanno riservato due letti di emergenza, sapendo che non avevamo soluzioni alternative per percorrere l’alta via in due giorni. Il giro finisce poi a San Giorgio (Brunico) e da lì abbiamo dovuto prendere un autobus e due treni per tornare a Vipiteno.
Problematico è stato anche il reperimento di informazioni precise sul percorso. Le poche relazioni disponibili in italiano (solo a giro concluso ho visto che ci sono relazioni migliori in tedesco) riportano dislivelli errati – in particolare per il secondo giorno ci aspettavamo dai 1200 ai 1400 m di dislivello positivo, ma ne abbiamo fatti più di 1800! – e non rendono neanche vagamente la difficoltà di questa alta via che passa per pietraie, traversi esposti senza protezioni, torrenti da attraversare senza ponte. Tutti problemi che sappiamo affrontare, ma che non ci aspettavamo: dai siti italiani questo giro sembrava una passeggiata per famiglie, divisa in sei comode tappe, quando in realtà richiede esperienza e dimestichezza con un ambiente davvero selvaggio di alta montagna.
A chi volesse provare lo stesso percorso consiglio di tenere a mente quanto segue: 1) il primo giorno è durissimo, ma anche il secondo non scherza; 2) la parte più tosta del giro si affronta alla fine del primo giorno e culmina nella ferratina per scendere dalla forcella Gaisscharte, a 2700 m di altezza, quando ormai è sera e sulle gambe si hanno 3500 m di dislivello; 3) i tratti “corribili” su questa alta via sono pochi e per lo più si procede con lentezza esasperante; 4) per la maggior parte del percorso, compreso il rifugio Ponte di Ghiaccio, il telefono non prende; 5) l’alta via è bene indicata, ma la traccia gpx aiuta e, per avere dei riferimenti, conviene segnarsi i nomi tedeschi: quelli italiani spesso non sono riportati sui cartelli. Con la giusta preparazione, sarà un giro indimenticabile!
Si parte dunque da Vipiteno, dove si può lasciare l’auto nell’ampio parcheggio gratuito della stazione. Si attraversa la ferrovia dal sottopasso poco distante e si segue la ciclabile lungo la strada per Wiesen (Prati). In tutto sono un paio di chilometri in piano prima di cominciare la salita per la val di Vizze. Poco prima del cimitero si svolta a destra e si attraversa il Rio di Vizze; subito dopo il ponte si svolta ancora a destra e si trova sulla sinistra un sentiero in salita: l’avventura comincia qui! Le indicazioni da seguire sono sempre quelle per Pfunderer Höhenweg (alta via di Fundres in tedesco) e un inequivocabile cerchio bianco e rosso.
La salita non comincia proprio nel migliore dei modi: il bosco è umido, infestato da zanzare cattivissime e pieno di alberi caduti da scavalcare. Per di più dobbiamo superare recinzioni per il bestiame che sembrano fortezze, con tanto di filo spinato e nessun passaggio per gli escursionisti. Accaldate, punzecchiate e anche un po’ irritate mettiamo insieme i primi mille metri di dislivello nella speranza che il bosco finisca quanto prima e che cominci finalmente la vera montagna.
Superiamo delle baite e continuiamo verso Jagerjöchl, la prima delle tante forcelle da cui ci troveremo a passare in questo lungo viaggio. Per lo più, in realtà, le attraverseremo inconsapevolmente: se dalle nostre parti ogni bocchetta è identificata da un cartello con il nome e l’altitudine, qui le indicazioni sono più rare. Da Jagerjöchl, in ogni caso, siamo sopra i duemila metri e non scenderemo più sotto questa quota se non alla fine del percorso. Finalmente le zanzare ci lasciano in pace e la vista può spaziare sulle montagne che ci circondano.
Arrivate a una seconda forcella, che potrebbe essere il giogo di Trens, ma chi lo sa, troviamo le indicazioni per la malga Simile, il primo dei punti di appoggio per chi percorre l’alta via in sei giorni. Poco dopo vediamo dall’alto la malga, servita da una strada pastorale, e la raggiungiamo con una ripida discesa. Siamo, qui, a circa 15 km dalla partenza, troppo presto per fare una vera pausa. Ci limitiamo dunque a riempire le borracce al lavatoio fuori dalla malga e riprendiamo l’alta via in salita verso il lago Selvaggio (Wilder See).
Si guadagna quota senza grandi difficoltà, in un ambiente che a ogni passo diventa più bello. Attraversiamo ampie vallate verdeggianti e bucoliche, percorse da torrentelli, popolate da placide mucche e colonie di marmotte. Arriviamo a quota 2600 m e davanti a noi si apre lo spettacolo del lago Selvaggio, che costeggiamo continuando a salire.
Proseguiamo fino al punto più alto del percorso, la Forcella Rauhtal (2807 m). Solo qui abbiamo trovato qualche piccolo nevaio, comunque facilmente attraversabile senza ramponcini. Siamo circondate da cime rocciose, invitanti, e in effetti questo è uno dei pochi punti dell’alta via in cui incontriamo qualche escursionista.
Scendiamo, con attenzione ma senza grandi difficoltà, e raggiungiamo il rifugio Bressanone (Brixen). A questo punto abbiamo percorso 24 km e 2200 m di dislivello e, ingenuamente convinte che non ci manchino più di 5 ore, ci concediamo un panino con lo speck e un litro e mezzo di acqua frizzante – in attesa della meritata birra che ci aspetta al Ponte di Ghiaccio. Per chi non volesse acquistare l’acqua al rifugio, c’è anche anche una fontana dove si possono rabboccare le borracce.
In realtà la parte più lunga, difficile e faticosa di questo primo giorno deve ancora cominciare. Avevamo preventivato 10-11 ore in tutto, ma alla fine ce ne abbiamo messe più di 13 (12 in movimento). Dal rifugio Bressanone al Ponte di Ghiaccio non abbiamo incontrato un solo essere umano: solo mucche, pecore e una miriade di marmotte.
Dobbiamo superare quattro bocchette: prima Steinkarscharte, Kellerscharte e Donnelscharte, poi la più temibile Gaisscharte (2700 m). Prese singolarmente, non sono niente di eccezionale, a parte forse l’ultima che comprende una ripida parete da disarrampicare con l’aiuto di una catena – paragonabile alla bocchetta Roma nel giro del Kima, per intenderci. Questa ferratina è l’unico punto indicato sulle relazioni come moderatamente difficile (io toglierei il “moderatamente”). Ma la vera difficoltà sta non in un punto particolare, bensì nel mantenere sempre alta la concentrazione su pietraie e sentieri stretti, esposti e privi di protezioni, dove poche centinaia di metri richiedono spesso decine di minuti.
Dopo Steinkarscharte, dove tra l’altro prendiamo uno scroscio di pioggia e grandine, per fortuna di breve durata, scendiamo in una valle ampia e verdeggiante, ancora più suggestiva perché in tanto spazio non si vede alcun segno della presenza dell’uomo se non i bolli rotondi della nostra alta via. Diversi torrenti scendono dalle montagne circostanti e le mucche pascolano felici in questi enormi prati verdi.
I torrenti sono tanto belli visti dall’alto, quanto fastidiosi se vanno attraversati. In assenza di qualsivoglia forma di ponte, dobbiamo fare almeno tre guadi abbastanza impegnativi, seguite in ogni passaggio dallo sguardo imperturbabile delle mucche.
Anche qui perdiamo parecchio tempo a cercare, per ogni torrente, il punto migliore per attraversare. Avendo entrambe una caviglia fasciata causa scavigliate pregresse, cerchiamo in tutti i modi di evitare di bagnarci i piedi. Inutilmente: ci aspetta una pioggia torrenziale verso la fine della giornata, ma questo ancora non lo sappiamo!
Risaliamo e superiamo anche Kellerscharte: anche da qui si apre una vista semplicemente fantastica. Le difficoltà però aumentano: il sentiero è sempre più stretto, in molti punti esposto, e alle nostre spalle il cielo ha preso un colore inquietante.
Arriviamo infine alla forcella di Don, o Donnelscharte. Siamo qui a più di 35 km dalla partenza e avremmo dovuto già incontrare il bivacco Brenninger, che le relazioni davano a 34,5 km. Il fatto di non vederlo ancora, nemmeno in lontananza, ci preoccupa un po’: sia perché sta chiaramente per venire un temporale, sia perché ci viene il dubbio che il Ponte di Ghiaccio sia più lontano di quanto pensassimo. In realtà, scopriremo poi, era semplicemente sbagliata la posizione del bivacco nella relazione.
Finalmente, dopo 36 km e qualcosa, troviamo le indicazioni per il bivacco, che però non si trova sul percorso: bisogna scendere un po’ per raggiungerlo, i cartelli lo danno a 20′. Come potete intuire dall’espressione di Marta qui sopra, a questo punto siamo un po’ scoraggiate e valutiamo anche di scendere al bivacco e da lì a valle. Poi però ci facciamo coraggio: non piove ancora e decidiamo di proseguire per il rifugio Ponte di Ghiaccio, che non è mai indicato con questo nome, bensì con il corrispettivo tedesco (Edelrauthütte).
La salita verso l’ultima bocchetta di oggi, Gaisscharte, è lunga e faticosa, tutta su pietraia. I tuoni sono sempre più vicini, ma per ora non piove. Salendo, studio i massi più grossi per capire dove potremmo ripararci in caso il temporale ci sorprenda a questa quota. Le pecore che pascolano poco più in alto non sembrano porsi il problema, così decido di non preoccuparmi troppo nemmeno io.
L’atarassia delle pecore sembra portarci fortuna: arriviamo alla bocchetta senza che sia ancora caduta una goccia d’acqua. Meno male, penso quando mi affaccio dall’altra parte e butto un occhio sulla via di discesa.
La discesa in disarrampicata è ripida e impegnativa, ma si tratta di non più di una ventina di metri. Nel momento in cui tocchiamo terra, scoppia il temporale. Siamo state davvero fortunate: pochi minuti prima ci avrebbe sorpreso sulla ferrata.
Bagnate come pulcini, ma grate di averla scampata sulla parte più difficile, ci incamminiamo per la pietraia domandandoci quanto mai potrà mancare al rifugio, che ancora non si vede. Perdiamo un po’ di quota e ai massi bagnati e scivolosi si alternano tratti su erba bagnata e scivolosa: bene ma non benissimo. Poi all’improvviso, evidentemente stufa dei nostri piagnistei, Madre Natura decide di zittirci con l’arcobaleno più colorato e luminoso che ci sia mai capitato di vedere. Uno spettacolo che, peraltro, ci siamo godute solo noi di tutto il genere umano!
Finalmente compare sotto di noi il lago Ponte di Ghiaccio e, sul cocuzzolo a sinistra, l’omonimo rifugio. Bisogna faticosamente scendere e poi risalire per un centinaio di metri, ma ce l’abbiamo fatta! Non ci sembra vero di trovare la birra, una bella cena calda (cucina top!) e persino una Trockenraum (stanza asciugatura) da cui scarpe e zainetto sono poi riemersi completamente asciutti. Una bella notte di sonno più o meno ristoratore, colazione sostanziosa e via! si parte per la seconda giornata.
L’inizio è promettente: un comodissimo e corribilissimo sentiero, il paradiso dopo le pietraie di ieri, ci deposita addirittura su una strada carrozzabile, che percorriamo in discesa sempre seguendo i bolli dell’alta via. Cominciamo poi a risalire verso la forcella delle Vacche (Kuhscharte) e, da lì, proseguiamo più o meno in piano lungo un sentiero (non più corribile) che attraversa ripide valli, prati e torrenti, fino alla baita Gruipa.
La tappa successiva è la baita Gambia, ma lì non abbiamo trovato acqua: conviene quindi rabboccare le borracce alla fontana della baita Gruipa. Il sentiero tra le due malghe è facile e ci permette di procedere di buon passo, se non proprio di corsa. Dalla baita Gambia ricominciamo a salire verso la Forcella Sega Alta (Hohe Säge) a 2610 m, il punto più alto di questa seconda parte di alta via, passando dal Passenjoch a 2440 m. Da Passenjoch a Hohe Säge i pascoli cedono di nuovo il passo a pietraie e laghetti alpini.
Continuiamo a guadagnare quota, chiedendoci da dove mai potremo passare per superare una corona di montagne dall’aspetto davvero severo. Il sentiero, in realtà, è ripido ma non difficile.
Da qui vediamo il laghetto della Pausa, prossima tappa dell’alta via, e l’omonimo rifugio, che in tedesco si chiama Tiefrastenhütte. Si scende da una scalinata ripida e vertiginosa, dove incontriamo diversi escursionisti che probabilmente arrivano dal rifugio.
Per la prima volta dalla Val di Vizze il telefono torna a dare segni di vita. Al rifugio prendiamo una coca e ci facciamo preparare un panino da portare via. Abbiamo percorso 15 km e circa 800 m di dislivello, per cui siamo (erroneamente) convinte che la salita sia quasi finita. Scendiamo lungo il facile e affollato sentiero per il rifugio fino a trovare sulla sinistra le indicazioni dell’alta via e quelle per il sentiero 5A. All’inizio si tratta dello stesso sentiero, poi al bivio si abbandona il 5A e si prosegue in salita per l’alta via.
Continuiamo a salire verso il passo che si vede in lontananza verso sinistra, Kleines Tor. Per arrivarci attraversiamo una valle dove scorre qualche ruscello e troviamo un provvidenziale tubo da cui escono poche gocce d’acqua. Armate di pazienza, ci prendiamo tutto il tempo necessario per riempire le borracce, e per fortuna: ancora non lo sappiamo, ma per più di 10 km non troveremo altre fonti d’acqua. Il sentiero sale poi verso sinistra e in breve raggiungiamo il passo, da cui l’alta via prosegue in direzione Zwölferspitz (Cima delle Dodici), dove comincia la lunga cresta che percorreremo fino al monte Sommo.
Si tratta ora di superare una cimetta dopo l’altra, su facile sentiero – a parte pochi tratti su roccette – fino al monte Sommo, dove la salita diventa invece un po’ più tecnica. Siamo circondate da un ambiente bellissimo, che non ci godiamo appieno solo per il fatto che ci aspettavamo meno salita.
Il sentiero lungo le creste disegna un ampio arco verso destra, che culmina appunto nel monte Sommo. Questa è davvero l’ultima salita! In basso, a sinistra rispetto alla cima, si vede finalmente Brunico.
L’ultimo tratto di salita in alcuni punti è un po’ esposto, altro dettaglio mai menzionato nelle relazioni. Arriviamo in cima stanche e assetate, con 1800 anziché 1200 m di dislivello sulle gambe, brontolando contro chi ha scritto relazioni così superficiali. Ma il genere umano subito si riscatta grazie a una coppia gentilissima che, salita dalla parte opposta, ci offre dell’acqua e ci rassicura sulla presenza di una fontana un po’ più avanti.
Cominciamo a scendere verso San Giorgio: il sentiero è lungo, ma tutto facile e corribile. Ben presto troviamo la fontana che ci è stata indicata, una vera benedizione dopo diverse ore al sole e al vento. Bisogna seguire le indicazioni per Kofl e, da qui, il sentiero 66 per San Giorgio. Non sappiamo esattamente che cosa indichi il “Grosse Pippe” che leggiamo su un cartello in legno, ma si sposa bene con il nostro stato d’animo dopo 7 km di discesa nel bosco.
Sempre seguendo il sentiero 66 arriviamo a San Giorgio, dove si segue la strada verso il torrente Aurino; dopo il ponte a destra troviamo la fermata dell’autobus (il biglietto si fa a bordo) che ci porterà alla stazione di Brunico, in tempo per prendere il treno delle 17,31, nonché una piazzetta con fontana per rinfrescarci un po’ prima di prendere i mezzi (per fortuna ci sono social distancing e mascherine). Ecco, l’alta via finisce ufficialmente qui. Per chi volesse vedere le nostre facce da Pfunderer Höhenweg, metto la foto qui sotto. Tschüss!
Cammino dei Briganti (87,5 km – 3400 m D+)
22 Maggio 2022 by marta • Altro Tags: abruzzo, cammino, cammino dei briganti, centro italia, corsa in montagna, montagna, percorso ad anello, trail, trekking • 0 Comments
Nel cuore dell’Abruzzo per mulattiere, sentieri e strade bianche. Percorso ideale sia per un trekking sia come “lunghissimo” trail!
Periodo: Maggio 2022
Partenza: Sante Marie (CH)
Distanza: 87,5 km
Dislivello: 3400 m
Acqua: fontane nei paesi
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Era da un po’ che lo puntavamo, e finalmente siamo riuscite a ritagliarci tre giorni per esplorare questo cammino dal nome evocativo, un po’ fuori mano, certo, per chi arriva dal nord Italia, ma decisamente all’altezza della sua fama. I paesaggi e il silenzio delle selvagge montagne abruzzesi, insieme all’accoglienza calorosa riservataci dai locals, valgono bene la trasferta e qualche sbattimento.
Il team delle Martas, quest’anno troppo indietro con la preparazione atletica per affrontare più di ottanta chilometri di corsa, ha pensato bene di caricare gli zaini con tenda, sacco a pelo, provviste e fornelletto, e di partire per una volta in modalità trekking. Ma queste facili mulattiere con pendenze modeste sarebbero il terreno ideale per un ultratrail: se vi serve un “lunghissimo” in preparazione a qualche gara, tenete in considerazione questo percorso, che con il giusto allenamento si potrebbe fare di corsa, senza ammazzarsi, forse in quindici ore o anche meno. Lungo tutto il cammino si trovano fontane, che però possono essere chiuse nel pomeriggio o la sera. Non si trovano cestini o cassonetti per la spazzatura se non nei paesi più grandi nella seconda metà del cammino, da Magliano de’ Marsi in poi.
Le principali informazioni sul Cammino dei Briganti, un percorso ben segnato e in ottime condizioni, si trovano su questo sito. Come vedrete, ci sono alcune varianti e il tempo di percorrenza consigliato è di sette giorni. Io vi propongo qui il giro come l’abbiamo fatto con Marta, dato che la nostra organizzazione ci è sembrata ragionevole: partite in auto da Milano alle 7 del venerdì mattina, abbiamo attaccato il cammino verso le 14,30, percorrendo 22 km prima di piantare la tenda a Villerose; il sabato ci siamo sparate 44 km da Villerose a Scurcula Marsicana passando per il lago della Duchessa – l’unico punto di vera montagna, dove si concentra la maggior parte del dislivello; infine la domenica abbiamo percorso gli ultimi chilometri, raggiungendo la macchina prima di mezzogiorno e riuscendo a tornare a Milano a un’ora accettabile.
La partenza è da Sante Marie, in realtà l’unico dei paesi del cammino che non abbiamo attraversato: abbiamo infatti parcheggiato vicino alla stazione, a fondovalle rispetto al centro del paese, e lì ci siamo fermate alla fine del giro, tagliando forse un paio di chilometri e un centinaio di metri di dislivello rispetto al percorso “corretto”. La prima tappa è S. Stefano, un grazioso paesino ad appena 5 km dalla stazione di Sante Marie, ed è qui che ci dirigiamo seguendo le indicazioni. Dopo un primo tratto di salita, la pendenza diminuisce e il cammino diventa facile e piacevole.
Raggiungiamo ben presto S. Stefano e facciamo un primo rifornimento d’acqua. Nonostante sia pomeriggio, le fontane sono ancora aperte: a quanto pare in questo periodo vengono chiuse solo di sera. Il paese successivo è Poggiovalle, un posto davvero suggestivo, semi deserto e circondato solo da natura e silenzio.
Da qui si scende in direzione Nesce, da cui però non passiamo: prima di arrivare in paese, il cammino devia tutto a destra e ci porta in un ampio pianoro ai piedi di Poggiovalle.
Dopo un paio di chilometri completamente in piano, immerse nel silenzio più totale, incontriamo un gregge di pecore accompagnato da cani pastore (in questo caso poco aggressivi, ma fate attenzione!) e arriviamo in vista di Villerose, dove abbiamo intenzione di passare la notte.
Le indicazioni qui non sono chiarissime, ma il paese è sempre visibile e in qualche modo lo raggiungiamo. Il problema, ora, è recuperare dell’acqua per la cena. Non troviamo fontane e il paese è completamente deserto. Lo attraversiamo (non ci vuole molto) e finalmente intravediamo una persona in lontananza: allunghiamo il passo e raggiungiamo il simpatico signor Alberto, che si fa davvero in quattro per aiutarci. La fontana è poco più avanti, dice, ma a quest’ora ormai è chiusa. Nessun problema, ci darà lui un paio di bottiglie d’acqua. Ci sconsiglia di piantare la tenda nel bosco, ci sono gli animali!, meglio accamparci nel campo da calcio abbandonato in mezzo al paese, dove non ci disturberà nessuno. Anzi, va lui stesso a informare i vicini, che approvano e si rendono disponibili per qualsiasi ulteriore necessità. Riconoscenti per tutta questa gentilezza, non ci poniamo problemi e ci sistemiamo nel campo da calcio (“in mezzo, eh! non sui lati”) come indicato dai simpatici abitanti di Villerose.
Dormire in mezzo a un prato dall’erba alta, lontano da qualsivoglia edificio, albero o altra forma di riparo, non è in realtà un’idea geniale, ma ce ne rendiamo conto solo qualche ora più tardi, quando ci ritroviamo nel sacco a pelo a battere i denti con la tenda che gocciola per l’umidità. Niente, per questa notte è andata così. Con le prime luci raccogliamo faticosamente le nostre cose – la tenda e i sacchi a pelo sono fradici, ma ci riproponiamo di farli asciugare più tardi, quando il sole sarà alto – e ci prepariamo la colazione con l’ultima acqua del signor Alberto. Altri signori del paese, che stanno andando a raccogliere funghi, si fermano a fare due chiacchiere mentre ci riscaldiamo con un bel nescafè e un muesli dal gusto discutibile. Infine salutiamo tutti e ci mettiamo in marcia.
Con qualche saliscendi tra piacevoli sentieri e strade sterrate, con un passaggio in una palude di fango breve, ma sufficiente a bagnarci e inzaccherarci completamente i piedi, arriviamo a Spedino, dove troviamo una fontana funzionante, e proseguiamo per Cartore. Tutte le nostre speranze di procurarci qualcosa per pranzo si concentrano su questo paesino, che vanta persino una locanda.
Una enorme scritta in 3D ci avverte che stiamo entrando nella riserva della Duchessa. Di fronte a noi si stagliano le montagne che stiamo per affrontare. Sappiamo che a Cartore comincerà la sola vera salita del percorso, circa 1000 m D+ per arrivare al lago della Duchessa.
Arriviamo a Cartore e per la prima volta troviamo un piccolo affollamento: c’è infatti chi arriva qui in auto per un trekking al lago della Duchessa. Troviamo una fontana e un piccolo ristoro, la locanda dei Casali di Cartore, i cui gentilissimi gestori ci preparano dei panini, ci danno informazioni sulla presenza di acqua lungo il percorso e ci permettono persino di gettare nei loro bidoni la spazzatura che, in mancanza di cassonetti, abbiamo portato fin qui. Ci viene indicata una fonte poco prima del lago, per cui decidiamo di riempire solo una borraccia a testa.
Alla fine la salita è tutta all’ombra e non abbiamo neanche la necessità di fermarci a cercare la fonte prima del lago. Marta zampetta tranquilla nonostante lo zaino, mentre io, che non sono abituata a fare dislivello con tutto questo peso sulle spalle, trovo la salita particolarmente faticosa. Poco male, ben presto ci ritroviamo fuori dal bosco e circondate da montagne bellissime. Abbiamo superato gli altri escursionisti, per cui ci godiamo il panorama in perfetta solitudine!
La parte più bella, in realtà, è quella dopo il lago, che tanti saltano per tornare a Cartore, dove lasciano lo zaino, e riprendere il cammino da lì. Io consiglio caldamente di sopportare il peso dello zaino e fare tutto l’anello, superando il lago della Duchessa (1788 m) e raggiungendo il passo (di cui non mi è chiaro il nome) a poco meno di duemila metri di altezza, scendendo da lì a Rosciolo de’ Marsi senza ripassare da Cartore.
Una distesa di crochi e le ultime chiazze di neve ci accompagnano verso il passo, il vocio degli altri escursionisti ormai lontano dietro di noi. Non incontreremo anima viva, salvo un branco di cinghiali, per i prossimi 10 km.
Cominciamo la lunga discesa per Rosciolo de’ Marsi. Non c’è nessuna indicazione e il sentiero sembra davvero poco battuto, ma è comunque evidente. Il primo tratto è un po’ scosceso, anche se la classificazione dell’itinerario come EE ci è parsa eccessiva, almeno adesso che non c’è neve.
Perdiamo circa cinquecento metri e la pendenza si fa sempre più dolce, mentre il sentiero si trasforma in strada sterrata. Alla fine della discesa, svoltiamo a sinistra verso Rosciolo de’ Marsi e cominciamo l’ultima salita di oggi, circa 200 m D+, particolarmente faticosa per il caldo. Sono infatti le 14 e stiamo aspettando di trovare una fontana per concederci finalmente la nostra pausa pranzo con i panini acquistati a Cartore.
La salita ci porta a un bell’altopiano coronato dalle montagne, dove incontriamo magnifici cavalli al pascolo – una costante da queste parti – e persino un paio di umani. Scendiamo ora verso Rosciolo e, poco prima di raggiungere il paese, troviamo la sospirata fontana davanti alla chiesa romanica di Santa Maria in Valle Porclaneta.
Prima di tirare fuori i panini, stendiamo tenda e sacchi a pelo sul sagrato della chiesa: basta una mezz’oretta sotto il sole e asciuga tutto! L’acqua fresca, poi, è davvero un toccasana dopo il caldo degli ultimi chilometri. Chi volesse fare il giro in due giorni, o comunque dividere diversamente il percorso, può pensare di accamparsi qui: il posto è ideale e la fontana comodissima.
Ci rimettiamo in cammino e, superata Rosciolo, per facili strade bianche raggiungiamo Magliano de’ Marsi, che rispetto ai paesi attraversati finora ci sembra una metropoli.
Qui troviamo negozi, ristoranti e bar, ma siamo intenzionate a proseguire fino al paese successivo, Scurcula Marsicana. A questo punto io ho le vesciche ai piedi e l’idea fissa di una birra gelata, per cui è Marta a preoccuparsi della strada da seguire e del posto per piantare la tenda. Pare che ci siano due varianti, entrambe indicate come Cammino dei Briganti: noi scegliamo appunto quella che passa da Scurcula Marsicana. In paese troviamo le fontane chiuse, ma in un negozio di alimentari facciamo scorta di acqua, succo di frutta e birra (yeah!).
Dopo 44 km la birra ce la ben siamo meritata, no? Per di più in questo paese ci sono cestini e cassonetti per la raccolta differenziata, per cui non dobbiamo neanche portarci dietro le bottiglie vuote. Stanche ma ormai serene con i nostri tre litri d’acqua, principale preoccupazione per la sera, proseguiamo lungo il cammino superando Scurcula Marsicana e cominciando a cercare un posto per la tenda. Troviamo una casa abbandonata con un giardinetto riparato, seppure infestato dalle ortiche, che sembra fare al caso nostro. Per sicurezza ci confrontiamo con il proprietario della casa accanto e, per non farci mancare niente, anche con l’autista di un trattore di passaggio: niente, pare che la nostra presenza non dia fastidio a nessuno, siamo anzi le benvenute.
Ci sistemiamo nel giardinetto abbandonato e, sul ciglio della strada, Marta prepara la cena mentre io con ago e filo mi occupo delle mie vesciche. Il riso con gli sgombri sembra più buono del normale dopo questa lunga giornata in cammino.
Riparato è riparato, ma con la temperatura non è che vada molto meglio di ieri. “Non è il freddo, è l’umidità” è diventato il Leitmotiv del weekend. Se proprio vogliamo vedere il lato positivo della seconda notte in bianco, all’alba siamo già pronte con il nostro nescafè e riusciamo a metterci in cammino davvero presto. Dopo un facile tratto di strada, arriviamo al bivio con indicazioni per Le Crete, da cui non dobbiamo passare; prendiamo invece il sentiero a destra per San Donato, dove finalmente vediamo le prime indicazioni anche per Sante Marie.
Raggiungiamo il paese, dove troviamo una fontana, e proseguiamo in salita lungo l’antica mulattiera che una volta portava alla rocca di San Donato. Oggi non sono rimasti che dei ruderi, ma il percorso è davvero suggestivo.
Seguiamo il cammino che si inoltra tra un gruppo di case abbandonate ma, poco dopo, perdiamo di vista il segnavia e proseguiamo un po’ a caso lungo un sentiero non proprio battutissimo. Il percorso è comunque molto panoramico e ci riporta ben presto sulla retta via all’altezza dei ruderi dell’antico castello.
Dopo i ruderi comincia la discesa. Siamo in un ambiente collinare ma davvero bello e selvaggio, immerso nel silenzio e popolato solo da animali al pascolo.
I paesi successivi sono Scanzano e poi Tubione: in entrambi troviamo fontane e precise indicazioni. Ormai la nostra meta, Sante Marie, è davvero vicina!
Da Tubione scendiamo a fondovalle e ben presto ci ritroviamo accanto ai binari della ferrovia dove abbiamo lasciato la macchina. Sante Marie si erge poco più in alto sulla nostra sinistra, ma a questo punto il giro è praticamente finito e decidiamo di tagliare l’ultimo pezzo. Approfittiamo di un sottopasso per attraversare i binari e arriviamo alla stazione di Sante Marie, stanche ma decisamente soddisfatte!