Da Monastero a Monastero: una traversata che accarezzo dallo scorso inverno, quando sul monte Bassetta scoprii l’esistenza del sentiero Walter Bonatti. L’idea di partire da Monastero di Dubino, dalla casa del più grande alpinista di tutti i tempi, e arrivare a casa mia a Monastero di Berbenno, era così bella che non vedevo l’ora dell’estate per metterla finalmente in pratica. E chi poteva essere così fuori di testa da accompagnarmi, se non la mia socia omonima?
Si tratta di un giro davvero tosto, dove chilometri e dislivello non rendono la minima idea delle difficoltà. Noi stesse abbiamo sottovalutato parecchio i tempi di percorrenza, convinte che un buon allenamento e una traccia gpx fossero sufficienti a cavarcela bene e in fretta. Ma nel bel mezzo del sentiero Bonatti – un percorso selvaggio, poco segnato e ancor meno battuto – ci siamo trovate con un Garmin morto e l’altro scarico, quindi senza traccia; e l’allenamento serve a poco, quando ogni due passi bisogna fermarsi per capire da che parte andare. Avevamo calcolato non più di 8 ore da Dubino alla Omio: ce ne abbiamo messe 11!
Il sentiero Roma, che si connette con il sentiero Bonatti all’altezza del rifugio Omio, è invece terreno noto per me: si tratta di un percorso difficile ma più “addomesticato”, ben segnato e pieno di gente. Anche qui pecco di eccessiva sicurezza, calcolando i tempi di percorrenza sulla base del giro del Kima provato due anni fa, senza tenere conto dei 3200 m di dislivello positivo che già abbiamo sulle gambe e del fatto che Marta non è abituata ad arrampicarsi per roccette attrezzate. Pensavo di fare la traversata Omio-Ponti in 10-11 ore: ce ne abbiamo messe 13, arrivando giusto in tempo prima del buio.
Almeno per il terzo giorno si sperava di avere fatto bene i conti: l’idea era quella di seguire l’anello dei Corni Bruciati, passando prima dal passo di Corna Rossa, ultima bocchetta del sentiero Roma, poi dal passo di Caldenno e dal passo Scermendone, con una puntata al pizzo Bello per chiudere in bellezza e da qui per sentieri arcinoti scendere a Monastero. Mal consigliate, abbiamo seguito il “sentiero” Corna Rossa-Caldenno su orribile pietraia, impiegando più del doppio del tempo previsto. Arrivate finalmente al passo di Caldenno, eravamo talmente cotte che abbiamo saltato l’ultima parte e siamo scese dalla val Caldenno, per sentieri facili ma interminabili.
A chi volesse ripetere il giro, suggerisco di seguire il sentiero Roma dal passo di Corna Rossa al rifugio Bosio e, da qui, o scendere a Torre di Santa Maria o risalire al passo di Caldenno per proseguire con l’anello dei Corni Bruciati. La traversata su pietraia è stata davvero la parte peggiore del nostro giro e la sconsiglio.
Ecco allora la relazione della traversata.
SENTIERO WALTER BONATTI
La mattina di ferragosto, verso le 7, parcheggiamo alle scuole di Dubino in via Cappelletta e da qui andiamo a prendere il sentiero Walter Bonatti, indicato già lungo la strada. Saliamo a Monastero, dove comincia il sentiero vero e proprio. Occhio solo a un bivio poco chiaro: non bisogna salire verso le falesie, ma svoltare a sinistra seguendo il segnavia bianco-rosso. La prima tappa, che raggiungiamo in fretta su facile sentiero, è l’alpe Piazza, dove conviene fare scorta d’acqua perché fino al bivacco Primalpia non si trovano altre fontane.
Proseguiamo ora verso il monte Foffricio, l’altura che sovrasta l’alpe Piazza, e da qui raggiungiamo l’ampia cresta che ci porta al monte Bassetta (1744 m). Conviene abbandonare il sentiero, che passa sotto la cima vera e propria, e salire di pochi metri per ammirare il panorama che si apre sulla valle dei Ratti con l’inconfondibile sfondo del Sasso Manduino, oggi purtroppo immerso nelle nubi.
Fin qui tutto facile: sono passate due ore e mezza dalla partenza e abbiamo fatto quasi metà del dislivello. Non possiamo certo immaginare che staremo in ballo ancora più di otto ore, ma cominciamo a renderci conto che il sentiero è poco battuto già nel primo tratto dopo il Bassetta. Passiamo a sinistra del monte Brusada e con un traverso poco corribile, ma facilmente camminabile, raggiungiamo l’alpe Codogno.
Ci troviamo sopra il lago di Novate Mezzola e la val Chiavenna; ben presto arriviamo in vista di Frasnedo, per cui troviamo anche qualche indicazione. Da Frasnedo si passa per il giro del Tracciolino, molto bello ma purtroppo al momento inagibile.
Superiamo l’alpe Codogno (1790 m) e continuiamo a salire, mentre l’ambiente intorno a noi si fa sempre più selvaggio. Le uniche forme di vita sono capre, pecore e mucche, oltre a un paio di pastori di cui sentiamo le urla in lontananza. Trovare il sentiero comincia a diventare complicato, ma a questo punto il mio Garmin è ancora vivo e ci affidiamo alla traccia gpx, qui davvero indispensabile.
Si superano diverse bocchette, di cui mi ero anche segnata i nomi come punti di riferimento, ma non sono indicate e sapere come si chiamano è poco utile. Si tenga conto invece dei seguenti riferimenti: alpe Piempo (2050 m), bivacco Primalpia (1980 m), lago dal Marzel (2310 m). Sono gli unici punti dove si trova un cartello per orientarsi e farsi un’idea di dove ci si trova.
Passiamo per le prime pietraie, che personalmente preferisco rispetto all’erba alta, in cui le marmotte la fanno da padrone e i bolli si perdono di vista. Riusciamo comunque a sbagliare strada in diversi punti, perché le indicazioni sono minime e da queste parti non passa davvero nessuno. Sorprendentemente, invece, il telefono prende piuttosto bene in diversi punti del percorso.
Il tratto più difficile, almeno dal punto di vista dell’orientamento, è quello tra l’alpe Piempo e il bivacco Primalpia. Bisogna dapprima attraversare un pratone con rari bolli consumati dal tempo; poi arrampicarsi per un ripido canale erboso, verticalissimo, con la speranza che la discesa dall’altra parte sia meno scoscesa; infine superare un traverso, con erba alta e tane di marmotte lungo tutto il sentiero, e scendere fino al bivacco.
Al bivacco troviamo una fontana dove finalmente possiamo riempire le borracce, e un gruppo di asinelli che ci fanno compagnia mettendosi a bere con noi. Siamo incredule quando leggiamo che da qui alla Omio il tempo di percorrenza CAI è 5 ore e mezza: mancano pochi chilometri e neanche così tanto dislivello! Invece non è molto meno di quanto ci metteremo.
Il paesaggio diventa sempre più bello man mano che guadagniamo quota. Sopra i 2200 m bolli e indicazioni si fanno più evidenti, forse perché siamo in prossimità di alcune vie di arrampicata e cime importanti, per esempio il Ligoncio che dovrebbe trovarsi da queste parti.
Superato il minuscolo lago dal Marzel, continuiamo a inerpicarci tra erba scivolosa e roccette taglienti seguendo i bolli, che ora si vedono – per fortuna, perché l’orologio di Marta è scarico e il mio è improvvisamente morto senza spiegazioni. Comincia ora la faticosa pietraia che ci porterà alla bocchetta del Calvo, a quota 2700 m circa, da cui dovremmo infine cominciare a scendere verso il rifugio Omio.
Il passo sembra rimanere sempre alla stessa distanza, dalla lentezza con cui ci muoviamo tra questi sassoni di granito. Il cielo ora è bello scuro e speriamo quantomeno di superare la bocchetta prima del temporale, previsto per le 18. Noi contavamo di essere al rifugio per le 14 o le 15 al più tardi!
Il passo di per sé non è particolarmente impegnativo. Si percorre una lunga cengia, in parte coperta di erba scivolosa, che è stata messa in sicurezza con catene. Solo una è divelta, per il resto sono in ottimo stato e ci affidiamo a loro per scendere il più in fretta possibile.
A differenza dei sette passi del Kima, tenuti puliti dal passaggio frequente e attrezzati con catene dall’inizio alla fine, la bocchetta del Calvo è piena di sfasciumi che nessuno ha ancora avuto modo di far cadere e, per di più, è attrezzata solo nei tratti resi pericolosi dall’erba. In altri punti, ripidi e scivolosi per il ghiaino, dobbiamo cavarcela senza catena. Finalmente individuiamo il rifugio, lontanissimo ma almeno in vista: il temporale si sta avvicinando e per fortuna abbiamo superato la parte più pericolosa.
Ci fermiamo giusto il tempo di mettere la giacca a vento e proseguiamo il più velocemente possibile sotto la grandine battente, tra erba fradicia e lastroni scivolosi. Arriviamo finalmente al rifugio poco prima delle 18, bagnate come pulcini ma felici di avercela fatta! Per fortuna alla Omio ci permettono di mettere le scarpe ad asciugare vicino alla stufa. La birra è fantastica e la cena ancora meglio. Dormiamo il sonno del giusto e alle 7 del mattino siamo pronte per ripartire alla conquista del sentiero Roma.
SENTIERO ROMA
Ci aspettano ora i sette passi del giro del Kima, fatti in senso opposto: Barbacan (2570 m), Camerozzo (2765 m), Qualido (2647 m), Averta (2551 m), Torrone (2518 m), Cameraccio (2950 m), Roma (2894 m). Per fare il giro con calma bisognerebbe passare una notte al rifugio Allievi-Bonacossa, a poco più di metà strada tra la Omio e la Ponti, ma noi abbiamo gambe forti e soprattutto la testa dura, e siamo determinate a fare tutto in una volta.
1° PASSO: BARBACAN
La bocchetta si raggiunge senza troppa fatica dal rifugio Omio: la conosco bene per averla percorsa più volte (qui il link del giro più recente). Fate attenzione a non perdere di vista i bolli, perché ci sono sentierini alternativi molto ripidi, scavati dal passaggio degli animali. Io sbaglio sempre e anche oggi non mi smentisco, arrampicandomi per placchette e zolle d’erba mentre Marta sale tranquilla dal sentiero corretto. Di là dal passo, scendiamo con l’aiuto delle catene e ben presto ci troviamo nella fantastica val Porcellizzo.
Riconosciamo i profili del Badile e del Cengalo, le due cime più note di questa valle, che si possono raggiungere partendo dal rifugio Gianetti.
Il rifugio stesso non è troppo lontano: rabbocchiamo le borracce alla fontana esterna, che oggi troviamo aperta, e senza indugio proseguiamo verso il passo Camerozzo. La val Porcellizzo è lunghissima, ma finalmente arriviamo nei pressi della bocchetta.
2° PASSO: CAMEROZZO
Si tratta, insieme forse al Cameraccio, del passo più impegnativo, soprattutto percorso nel nostro senso di marcia: saliamo infatti con tratti di sentiero e poche facili catene fino al punto più alto, mentre molto più lunga e vertiginosa risulta la discesa. Sotto di noi si apre la val del Ferro, che con le sue enormi placche granitiche è uno dei punti più caratteristici del sentiero Roma. È anche l’unica valle dove il telefono prende bene.
Poco più in basso vediamo il bivacco Molteni-Valsecchi, un altro dei tanti punti di appoggio per chi percorre il sentiero Roma in più giorni.
3° PASSO: QUALIDO
Al passo Qualido si arriva abbastanza facilmente risalendo un ripido pendio di sfasciumi. Tra i sette, è forse il passo meno impegnativo. Si scende in val Qualido lungo una semplice cengia, di cui solo l’ultimo tratto è attrezzato con un paio di catene.
4° PASSO: AVERTA
Anche il passo dell’Averta è abbastanza semplice: ci si arriva superando un punto un po’ verticale con l’aiuto di un paio di catene e si scende senza troppi problemi nell’ampia val di Zocca, dove dovrei saper riconoscere la punta Allievi e la cima Castello, ma ancora non ho capito con esattezza quali siano.
La val di Zocca è larga più o meno quanto la val Porcellizzo e attraversarla richiede parecchio tempo. Il sentiero scende al di sotto del rifugio Allievi-Bonacossa e ci costringe a un’ultima faticosa salita per raggiungerlo. Il limite massimo che ci siamo date per arrivare all’Allievi sono le 14: dopo quest’ora, rischiamo di finire il giro con il buio. Arriviamo alle 13:59 e decidiamo di proseguire, non prima di avere acquistato due panini e quattro bottigliette di acqua frizzante (la fontana davanti al rifugio è chiusa). Abbiamo impiegato 7 ore dalla Omio all’Allievi e, tenendo lo stesso passo, dovremmo mettercene 6 da qui alla Ponti.
5° PASSO: TORRONE
Al passo Torrone si arriva da un facile, panoramico e piacevolissimo sentiero. È la prima volta che faccio questo passo in discesa e devo dire che in salita mi è sempre parso molto più semplice. Si scende per un ripido canalino, come sempre attrezzato con catene, e si perde parecchia quota addentrandosi nella selvaggia val Torrone.
Il sentiero Roma passava originariamente più in alto su ampie placche di granito. Il percorso è stato cambiato diversi anni fa, dopo un incidente dovuto proprio a una placca bagnata, ed è ora più faticoso ma sicuro. Nonostante il vecchio sentiero sia ancora chiaramente battuto, seguiamo il percorso corretto che ci fa scendere parecchio sotto le placche e poi risalire verso il bivacco Manzi e il passo Cameraccio.
6° PASSO: CAMERACCIO
È il mio passo preferito, nonché il più alto di tutto il sentiero Roma. Due anni fa lo feci in discesa e con la neve: ora ha cambiato completamente faccia, ma lo trovo sempre bellissimo. Il percorso originale è stato modificato per i crolli dovuti alla siccità di quest’anno e si passa ora sul lato sinistro della valle, seguendo i bolli più recenti e gli ometti. Risaliamo a fatica il pendio di instabili sfasciumi (molto meglio la neve!) e finalmente raggiungiamo la sicurezza delle catene, con cui percorriamo gli ultimi 100 m di dislivello che ci separano dalla bocchetta.
Dal passo si scende per facile pietraia verso la val Cameraccio. Piano piano, ma senza mai fermarci, arriviamo al bivacco Kima e cominciamo l’ultima parte del giro, che ho ben stampata in mente per averla provata di recente (qui il link).
7° PASSO: BOCCHETTA ROMA
Assomiglia un po’ al passo Cameraccio, ma è più breve: la bocchetta Roma si raggiunge dopo avere attraversato un pendio di sfasciumi davvero molto instabile, dove conviene tenere sempre la destra e seguire accuratamente i bolli fino all’inizio delle catene.
Con l’aiuto delle catene si scalano le ultime, ripide placche per arrivare alla bocchetta e, da qui, la vista si apre finalmente sulla valle di Predarossa, dal Disgrazia ai Corni Bruciati.
Scendiamo di buon passo verso il rifugio Ponti: sono quasi le 20 e siamo in ritardo per cena! La pietraia è impervia nella parte più alta, dove bisogna seguire scrupolosamente i bolli senza inventarsi soluzioni originali, perché la valle di Predarossa può riservare brutte sorprese; poi il sentiero si addolcisce e ci porta finalmente al rifugio, dove ci ristoriamo con una birra e un’ottima cena.
ANELLO DEI CORNI BRUCIATI
La mattina del terzo giorno ci avviamo verso il passo di Corna Rossa, seguendo le indicazioni per il monte Disgrazia. Il cielo è cupo ma non sono previsti temporali prima del tardo pomeriggio.
Le strade per il Disgrazia e per la bocchetta si dividono dopo la morena: seguiamo ora le indicazioni per l’ex rifugio Desio. Si risale il solito pendio di sfasciumi, qui particolarmente brutto anche perché il passaggio è nettamente inferiore rispetto al giro del Kima; la roccia è diversa, più liscia e scivolosa rispetto a quella incontrata finora. I tratti migliori, più solidi, sono sempre quelli attrezzati con catene.
Raggiungiamo il passo di Corna Rossa (2836 m) e l’ex rifugio Desio, un tempo punto di partenza per il Disgrazia, oggi abbandonato e pericolante.
La vetta del Disgrazia è purtroppo immersa nelle nubi, altrimenti la vista sarebbe spettacolare. Cominciamo la discesa verso la Valmalenco, un po’ su ghiaino scivoloso e un po’ su solida pietraia; alcune placche rosse con un grip pazzesco ci permettono di procedere un po’ più spedite, almeno in alcuni punti.
Arriviamo infine al punto in cui comincia il traverso per il passo di Caldenno, che ci è stato consigliato come “pietraia facile”. A vederlo non sembra granché e valutiamo anche la comoda alternativa di scendere fino al rifugio Bosio lungo il sentiero principale, risalendo da lì al passo di Caldenno per pratoni, ma alla fine decidiamo di fidarci e di passare dalla pietraia – che di facile, ahimè, non avrà proprio niente.
Lentamente, faticosamente, percorriamo questo instabile traverso, senza neanche poterci consolare con un bel risparmio di dislivello – l’altro sentiero, in alcuni punti, passa appena cinquanta metri sotto di noi. Fosse capitato il primo giorno, l’avremmo vissuto più serenamente, ma trovarsi davanti a una difficoltà inaspettata dopo due giorni di fatiche è davvero troppo!
Finalmente arriviamo al passo e di comune accordo decidiamo che per oggi è l’ultimo. Mancherebbe ancora il passo Scermendone, ripido per quanto tecnicamente semplice, ma davvero non ne abbiamo più. Scendiamo allora giù per la val Caldenno.
Arriviamo a Prato Isio, da dove si potrebbe raggiungere Berbenno di Valtellina; noi proseguiamo invece lungo la traversata per Prato Maslino, che sembra breve quando si passa di corsa, ma oggi è davvero infinita; scendiamo poi per sentieri a Gaggio di Monastero. Con poche speranze di potercela cavare con un autostop, ci avviamo lungo la strada a tornanti per Monastero, che giustamente è una delle meno trafficate della Valtellina (ho scelto Monastero in quanto esatto opposto di Milano). Come un miraggio, però, un’auto appare alle nostre spalle: una super nonna e due nipoti adolescenti si fanno in quattro per stringersi e permetterci di infilarci dentro con loro, risparmiandoci gli ultimi chilometri di cammino. Un enorme GRAZIE, come sempre, a chi è gentile con i viandanti!
Di solito non torno nello stesso posto due volte in un mese, ma per il monte Bassetta ho fatto un’eccezione: tra le vette valtellinesi facilmente raggiungibili in inverno è, infatti, in assoluto la più panoramica! Da questo spettacolare panettone la vista può spaziare dal Legnone al lago di Como e, soprattutto, alle cime della val dei Ratti e della Val Masino, come l’inconfondibile Sasso Manduino. Se nel giro fatto a inizio gennaio c’era ancora neve, adesso (30/01/2022) ne è rimasta davvero pochissima solo in cima al Bassetta.
Parcheggio a Cino, in via Garibaldi. Nello zainetto ho solo una flask – sono erroneamente convinta di trovare fontane ovunque -, una barretta e i ramponcini (just in case). Parto corricchiando lungo la strada che collega Cino e Cercino, due dei paesini sulla soleggiata costiera dei Cèch. Dopo un chilometro e mezzo più o meno in piano, si trova sulla sinistra una mulattiera in salita.
Le indicazioni da seguire sono quelle per “percorso didattico” e Bioggio. La mulattiera sale dapprima con decisione, poi con pendenza sempre più blanda, fino a spianare arrivando a Bioggio.
Dal santuario ho preso il sentiero in leggera salita, ma in realtà si può seguire anche la strada in leggera discesa: i due percorsi si ricongiungono poco dopo. All’incrocio, si prende la strada senza indicazioni che prosegue in salita.
Questa seconda carrozzabile sarebbe infinita, ma per fortuna un sentierino, difficile da vedere, mi permette di tagliare qualche tornante. Si tratta di un ripido sentiero da enduristi – ormai li riconosco a colpo d’occhio – e infatti ben presto trovo tre ragazzi che, lasciate le moto sulla strada, sono scesi a ripulire il sentiero dagli alberi caduti. Se in altri posti c’è antipatia tra escursionisti e motociclisti, in questi boschi le due specie convivono più o meno in pace. Certi sentieri che percorro abitualmente sarebbero del tutto impraticabili, coperti di vegetazione e ostruiti dai tronchi, se non vi passassero regolarmente le moto da enduro. Per cui saluto con gratitudine e continuo a salire.
Gli ultimi tornanti invece mi tocca farli tutti, perché non vedo più nessuna scorciatoia su sentiero. Arrivo finalmente a un bivio, dove la vegetazione si apre e mi permette di ammirare il Legnone in tutta la sua imponenza.
Al bivio si prende la strada che svolta tutto a sinistra, in discesa, verso Prati Nestrelli. Nella direzione opposta è indicato il monte Brusada e mi ripropongo di tornare in esplorazione più avanti con la bella stagione: per il momento preferisco attenermi al piano originale di salire al Bassetta da Prati Nestrelli.
La strada è lunga e faticosa, un po’ a saliscendi. Sulla destra trovo in successione ben due sentieri che salgono al monte Bassetta, al sentiero Bonatti e al rifugio Brusada. Li ignoro, sia perché non so a che altezza arrivano, sia perché fa caldo, ho quasi finito l’acqua e vorrei proprio passare dalla fontana di Prati Nestrelli prima di cominciare la salita al Bassetta. In realtà, scopro che il sentiero Prati Nestrelli-Bassetta comincia ben prima della fontana e, stupidamente, non allungo il percorso per riempire la borraccia.
Il sentiero che sale da Prati Nestrelli al Bassetta è bello, semplice e panoramico. L’altra volta lo avevo fatto in discesa e ne ho conservato un buon ricordo. In due chilometri e mezzo si guadagnano circa 500 m di quota, ben distribuiti. Finalmente arrivo in vista dell’alpe Bassetta.
Raggiungo l’alpe, sperando di trovarvi dell’acqua. Non ci sono fontane, ma trovo molti escursionisti intenti a bere e mangiare. Nessuno a quanto pare ha dell’acqua da cedermi. Mi viene offerta una lattina di red bull e ricevo anche un mezzo rimprovero quando la rifiuto, come se non avessi davvero sete. Signori, se volete provo a spiegarvi che cosa succederebbe al mio stomaco e al mio intestino se durante una corsa ingerissi una red bull. Ma facciamo che vi lascio alla vostra abbuffata e mi arrangio da sola. Grazie, eh.
Lascio l’alpe e salgo al monte Bassetta, dove è rimasta un po’ di neve che mi metto a masticare. Meglio di niente. Provvidenzialmente arriva una persona gentile, che mi offre dell’acqua (e anche del vino). Accetto con gratitudine un goccio d’acqua, che vedrò di farmi bastare fino all’alpe Piazza, dove spero finalmente di trovare una fontana.
Senza ripassare dall’alpe, taglio giù per il prato andando a intercettare il sentiero Bonatti, che dal Bassetta scende verso il monte Foffricio. Le foto non rendono la bellezza di questa discesa: sembra di andare a tuffarsi nel lago di Como! Sulla destra compare poi la Val Chiavenna con il lago di Novate Mezzola.
Il sentiero è molto secco e a tratti scivoloso, ma facile al pari di quello che sale da Prati Nestrelli. In meno di venti minuti sono al monte Foffricio, indicato da un cartello, altrimenti non mi accorgerei neanche di essere su un monte.
Prendo ora il sentiero verso destra, che in un chilometro di facile discesa mi porta all’alpe Piazza, dove finalmente trovo una fontana. Che bello bere quando si ha davvero sete!
Dall’alpe scendo a intercettare la strada, che percorro brevemente fino a trovare sulla sinistra un altro sentiero taglia-tornanti. Bisogna prendere quello in discesa, naturalmente.
Da questo sentiero evidentemente gli enduristi non passano, perché è coperto di foglie e mi costringe a procedere lentamente. Mi fa comunque risparmiare un bel tratto di strada: solo per gli ultimi 2 km mi tocca correre su asfalto fino a Cino.
Un fantastico balcone sul Lario, la Valtellina, la Val Chiavenna e la selvaggia Valle dei Ratti: il Monte Bassetta, con i suoi 1744 m, è facilmente raggiungibile, soleggiato anche in inverno, poco frequentato nonostante la vista mozzafiato.
Il monte Bassetta è la prima, modesta cima dell’imponente catena montuosa che divide la Valtellina dalla Val Chiavenna, salendo dapprima dolcemente e poi con rilievi sempre più aspri dal punto in cui l’Adda si tuffa nel lago di Como fino alle spettacolari vette della Val Masino.
E tutto questo si offre alla vista con una semplice passeggiata priva di difficoltà, adatta anche alla stagione invernale (con la dovuta attrezzatura in base alla situazione neve), sulla soleggiata costiera dei Cèch in bassa Valtellina.
Sono partita da Mantello, dal comodo parcheggio in corrispondenza della rotonda e del ponte sull’Adda, per fare qualche chilometro di corsa in più; in alternativa, si possono togliere chilometri e dislivello parcheggiando a Cino, il cui campanile svetta alto sopra Mantello.
Dal parcheggio, attraverso la statale e subito l’abbandono, prendendo la via che entra in paese con indicazioni per Cino. Svolto subito a sinistra: un cartello indica che è una strada chiusa, ma non per i pedoni. Proseguo più o meno in piano per circa un chilometro, superando il piccolo cimitero di Mantello e seguendo una bella strada panoramica con vista sul Legnone. Trovo poi sulla destra il sentiero che sale verso Cino.
Il sentiero si inoltra nel bosco, mai troppo ripido, tagliando i tornanti della strada carrozzabile che serve gli alpeggi. Conviene seguirlo solo fino a quando si trovano le indicazioni per Cino. Non fate come me, che come al solito sono andata all’avventura nel bosco, lungo un sentiero non bollato di cui giustamente a un certo punto si perdono le tracce.
Non vi preoccupate: la traccia gpx qui allegata è già stata corretta in modo da risparmiarvi la mia ravanata nel bosco. Si tratta solo, a un certo punto, di prendere la strada carrozzabile verso sinistra e seguirla fino ai Prati dell’O, l’alpeggio super panoramico che io ho raggiunto per vie traverse. Non si passa per Cino all’andata, ma solo al ritorno.
In alternativa, si può salire anche dalla Piazza, altra alpe servita da strada carrozzabile, seguendo la dorsale dal monte Foffricio al monte Bassetta. Tenete presente che i pochi escursionisti di solito salgono in macchina fino alla Piazza, per cui i sentieri fino a qui sono davvero poco battuti e non si trovano tante indicazioni. Meglio affidarsi alla traccia gpx.
Si sale per la mulattiera in pietra e si attraversa il piccolo alpeggio Prati dell’O, per poi continuare su sentiero fino a incontrare le precise indicazioni che si potranno semplicemente seguire da qui in avanti: quelle che mi interessano sono per il monte Bassetta e il sentiero Bonatti. Quest’ultimo è un percorso di cui ignoravo l’esistenza, ma che ha decisamente stuzzicato la mia curiosità… ufficialmente inserito nella lista degli obiettivi per l’estate 2022!
La montagna innevata che mi accompagna sulla destra per tutta la salita è il monte Brusada, che supera di poco i 2000 m. Un altro posto che mi ripropongo di esplorare più avanti. Arrivo finalmente all’Alpe Bassetta e, da lì, salgo di pochi metri per raggiungere l’ampia cima dell’omonimo monte, da cui la vista spazia a trecentosessanta gradi dal Legnone verso il lago di Como, da qui alla Val Chiavenna e alla selvaggia Valle dei Ratti, infine sul caratteristico Sasso Manduino e verso la Val Masino.
Per il ritorno scelgo di passare da un altro alpeggio, Prati Nestrelli. Il sentiero, pure indicato da un cartello, non è evidente nella neve e per sbaglio rimango su una traccia poco più in alto. Quando mi rendo conto dell’errore, vedendo il vero sentiero dall’alto, lo raggiungo con un’ultima ravanata – anche questa eliminata dalla traccia gpx, che potete seguire con fiducia – e finalmente comincio a scendere di buon passo su un terreno facile e sicuro.
Scompaiono anche le ultime chiazze di neve e ghiaccio – i ramponcini sono rimasti sempre nello zaino – mentre, superato un breve traverso, comincio a perdere rapidamente quota. Continuo a seguire il sentiero, senza bolli ma sempre chiaramente indicato, fino a Prati Nestrelli.
Superato l’alpeggio, arrivo su una strada carrozzabile a tornanti. Trovo un sentiero per Cino, che probabilmente mi farebbe risparmiare tempo, ma oggi ho deciso di mettere nelle gambe un po’ di chilometri e proseguo dunque lungo la strada in discesa.
Arrivata a un campo sportivo poco sopra Cino, decido di complicarmi ulteriormente la vita prendendo la stradina che svolta tutto a sinistra rispetto alla strada principale. Con il senno di poi, conviene seguire la strada risparmiandosi forse mezzo chilometro di faticoso falsopiano. In ogni caso, si arriva abbastanza facilmente a Cino e, superata la chiesa, si continua in discesa lungo la strada che riporta a fondovalle e a Mantello.
Sentieri Bonatti e Roma (70 km – 6200 m D+)
21 Agosto 2022 by marta • Valtellina Tags: allievi, bivacco primalpia, bocchetta del calvo, bocchetta di corna rossa, bocchetta roma, corni bruciati, dubino, gianetti, kima, monte bassetta, monte disgrazia, passo barbacan, passo cameraccio, passo camerozzo, passo di caldenno, ponti, rifugio omio, sentiero roma, sentiero walter bonatti, traversata, val dei ratti, val masino, valtellina • 0 Comments
Una lunga traversata, durissima e spettacolare, tra la valle dei Ratti e la val Masino.
Periodo: Agosto 2022
Partenza: Monastero (Dubino)
Arrivo: Monastero (Berbenno di Valtellina)
Distanza: circa 70 km
Dislivello: circa 6200 m
GPX (clic dx, salva link con nome)
GIORNO 1: SENTIERO WALTER BONATTI
Dubino - biv. Primalpia (1980 m) - bocchetta del Calvo (2700 m) - rifugio Omio (2100 m)
GIORNO 2: SENTIERO ROMA CON I 7 PASSI DEL KIMA
Rifugio Omio - Gianetti (2534 m) - Allievi (2388 m) - Ponti (2559 m)
GIORNO 3: ANELLO DEI CORNI BRUCIATI
Ponti - passo di Corna Rossa (2836 m) - passo di Caldenno (2517 m) - Monastero
Da Monastero a Monastero: una traversata che accarezzo dallo scorso inverno, quando sul monte Bassetta scoprii l’esistenza del sentiero Walter Bonatti. L’idea di partire da Monastero di Dubino, dalla casa del più grande alpinista di tutti i tempi, e arrivare a casa mia a Monastero di Berbenno, era così bella che non vedevo l’ora dell’estate per metterla finalmente in pratica. E chi poteva essere così fuori di testa da accompagnarmi, se non la mia socia omonima?
Si tratta di un giro davvero tosto, dove chilometri e dislivello non rendono la minima idea delle difficoltà. Noi stesse abbiamo sottovalutato parecchio i tempi di percorrenza, convinte che un buon allenamento e una traccia gpx fossero sufficienti a cavarcela bene e in fretta. Ma nel bel mezzo del sentiero Bonatti – un percorso selvaggio, poco segnato e ancor meno battuto – ci siamo trovate con un Garmin morto e l’altro scarico, quindi senza traccia; e l’allenamento serve a poco, quando ogni due passi bisogna fermarsi per capire da che parte andare. Avevamo calcolato non più di 8 ore da Dubino alla Omio: ce ne abbiamo messe 11!
Il sentiero Roma, che si connette con il sentiero Bonatti all’altezza del rifugio Omio, è invece terreno noto per me: si tratta di un percorso difficile ma più “addomesticato”, ben segnato e pieno di gente. Anche qui pecco di eccessiva sicurezza, calcolando i tempi di percorrenza sulla base del giro del Kima provato due anni fa, senza tenere conto dei 3200 m di dislivello positivo che già abbiamo sulle gambe e del fatto che Marta non è abituata ad arrampicarsi per roccette attrezzate. Pensavo di fare la traversata Omio-Ponti in 10-11 ore: ce ne abbiamo messe 13, arrivando giusto in tempo prima del buio.
Almeno per il terzo giorno si sperava di avere fatto bene i conti: l’idea era quella di seguire l’anello dei Corni Bruciati, passando prima dal passo di Corna Rossa, ultima bocchetta del sentiero Roma, poi dal passo di Caldenno e dal passo Scermendone, con una puntata al pizzo Bello per chiudere in bellezza e da qui per sentieri arcinoti scendere a Monastero. Mal consigliate, abbiamo seguito il “sentiero” Corna Rossa-Caldenno su orribile pietraia, impiegando più del doppio del tempo previsto. Arrivate finalmente al passo di Caldenno, eravamo talmente cotte che abbiamo saltato l’ultima parte e siamo scese dalla val Caldenno, per sentieri facili ma interminabili.
A chi volesse ripetere il giro, suggerisco di seguire il sentiero Roma dal passo di Corna Rossa al rifugio Bosio e, da qui, o scendere a Torre di Santa Maria o risalire al passo di Caldenno per proseguire con l’anello dei Corni Bruciati. La traversata su pietraia è stata davvero la parte peggiore del nostro giro e la sconsiglio.
Ecco allora la relazione della traversata.
SENTIERO WALTER BONATTI
La mattina di ferragosto, verso le 7, parcheggiamo alle scuole di Dubino in via Cappelletta e da qui andiamo a prendere il sentiero Walter Bonatti, indicato già lungo la strada. Saliamo a Monastero, dove comincia il sentiero vero e proprio. Occhio solo a un bivio poco chiaro: non bisogna salire verso le falesie, ma svoltare a sinistra seguendo il segnavia bianco-rosso. La prima tappa, che raggiungiamo in fretta su facile sentiero, è l’alpe Piazza, dove conviene fare scorta d’acqua perché fino al bivacco Primalpia non si trovano altre fontane.
Proseguiamo ora verso il monte Foffricio, l’altura che sovrasta l’alpe Piazza, e da qui raggiungiamo l’ampia cresta che ci porta al monte Bassetta (1744 m). Conviene abbandonare il sentiero, che passa sotto la cima vera e propria, e salire di pochi metri per ammirare il panorama che si apre sulla valle dei Ratti con l’inconfondibile sfondo del Sasso Manduino, oggi purtroppo immerso nelle nubi.
Fin qui tutto facile: sono passate due ore e mezza dalla partenza e abbiamo fatto quasi metà del dislivello. Non possiamo certo immaginare che staremo in ballo ancora più di otto ore, ma cominciamo a renderci conto che il sentiero è poco battuto già nel primo tratto dopo il Bassetta. Passiamo a sinistra del monte Brusada e con un traverso poco corribile, ma facilmente camminabile, raggiungiamo l’alpe Codogno.
Ci troviamo sopra il lago di Novate Mezzola e la val Chiavenna; ben presto arriviamo in vista di Frasnedo, per cui troviamo anche qualche indicazione. Da Frasnedo si passa per il giro del Tracciolino, molto bello ma purtroppo al momento inagibile.
Superiamo l’alpe Codogno (1790 m) e continuiamo a salire, mentre l’ambiente intorno a noi si fa sempre più selvaggio. Le uniche forme di vita sono capre, pecore e mucche, oltre a un paio di pastori di cui sentiamo le urla in lontananza. Trovare il sentiero comincia a diventare complicato, ma a questo punto il mio Garmin è ancora vivo e ci affidiamo alla traccia gpx, qui davvero indispensabile.
Si superano diverse bocchette, di cui mi ero anche segnata i nomi come punti di riferimento, ma non sono indicate e sapere come si chiamano è poco utile. Si tenga conto invece dei seguenti riferimenti: alpe Piempo (2050 m), bivacco Primalpia (1980 m), lago dal Marzel (2310 m). Sono gli unici punti dove si trova un cartello per orientarsi e farsi un’idea di dove ci si trova.
Passiamo per le prime pietraie, che personalmente preferisco rispetto all’erba alta, in cui le marmotte la fanno da padrone e i bolli si perdono di vista. Riusciamo comunque a sbagliare strada in diversi punti, perché le indicazioni sono minime e da queste parti non passa davvero nessuno. Sorprendentemente, invece, il telefono prende piuttosto bene in diversi punti del percorso.
Il tratto più difficile, almeno dal punto di vista dell’orientamento, è quello tra l’alpe Piempo e il bivacco Primalpia. Bisogna dapprima attraversare un pratone con rari bolli consumati dal tempo; poi arrampicarsi per un ripido canale erboso, verticalissimo, con la speranza che la discesa dall’altra parte sia meno scoscesa; infine superare un traverso, con erba alta e tane di marmotte lungo tutto il sentiero, e scendere fino al bivacco.
Al bivacco troviamo una fontana dove finalmente possiamo riempire le borracce, e un gruppo di asinelli che ci fanno compagnia mettendosi a bere con noi. Siamo incredule quando leggiamo che da qui alla Omio il tempo di percorrenza CAI è 5 ore e mezza: mancano pochi chilometri e neanche così tanto dislivello! Invece non è molto meno di quanto ci metteremo.
Il paesaggio diventa sempre più bello man mano che guadagniamo quota. Sopra i 2200 m bolli e indicazioni si fanno più evidenti, forse perché siamo in prossimità di alcune vie di arrampicata e cime importanti, per esempio il Ligoncio che dovrebbe trovarsi da queste parti.
Superato il minuscolo lago dal Marzel, continuiamo a inerpicarci tra erba scivolosa e roccette taglienti seguendo i bolli, che ora si vedono – per fortuna, perché l’orologio di Marta è scarico e il mio è improvvisamente morto senza spiegazioni. Comincia ora la faticosa pietraia che ci porterà alla bocchetta del Calvo, a quota 2700 m circa, da cui dovremmo infine cominciare a scendere verso il rifugio Omio.
Il passo sembra rimanere sempre alla stessa distanza, dalla lentezza con cui ci muoviamo tra questi sassoni di granito. Il cielo ora è bello scuro e speriamo quantomeno di superare la bocchetta prima del temporale, previsto per le 18. Noi contavamo di essere al rifugio per le 14 o le 15 al più tardi!
Il passo di per sé non è particolarmente impegnativo. Si percorre una lunga cengia, in parte coperta di erba scivolosa, che è stata messa in sicurezza con catene. Solo una è divelta, per il resto sono in ottimo stato e ci affidiamo a loro per scendere il più in fretta possibile.
A differenza dei sette passi del Kima, tenuti puliti dal passaggio frequente e attrezzati con catene dall’inizio alla fine, la bocchetta del Calvo è piena di sfasciumi che nessuno ha ancora avuto modo di far cadere e, per di più, è attrezzata solo nei tratti resi pericolosi dall’erba. In altri punti, ripidi e scivolosi per il ghiaino, dobbiamo cavarcela senza catena. Finalmente individuiamo il rifugio, lontanissimo ma almeno in vista: il temporale si sta avvicinando e per fortuna abbiamo superato la parte più pericolosa.
Ci fermiamo giusto il tempo di mettere la giacca a vento e proseguiamo il più velocemente possibile sotto la grandine battente, tra erba fradicia e lastroni scivolosi. Arriviamo finalmente al rifugio poco prima delle 18, bagnate come pulcini ma felici di avercela fatta! Per fortuna alla Omio ci permettono di mettere le scarpe ad asciugare vicino alla stufa. La birra è fantastica e la cena ancora meglio. Dormiamo il sonno del giusto e alle 7 del mattino siamo pronte per ripartire alla conquista del sentiero Roma.
SENTIERO ROMA
Ci aspettano ora i sette passi del giro del Kima, fatti in senso opposto: Barbacan (2570 m), Camerozzo (2765 m), Qualido (2647 m), Averta (2551 m), Torrone (2518 m), Cameraccio (2950 m), Roma (2894 m). Per fare il giro con calma bisognerebbe passare una notte al rifugio Allievi-Bonacossa, a poco più di metà strada tra la Omio e la Ponti, ma noi abbiamo gambe forti e soprattutto la testa dura, e siamo determinate a fare tutto in una volta.
1° PASSO: BARBACAN
La bocchetta si raggiunge senza troppa fatica dal rifugio Omio: la conosco bene per averla percorsa più volte (qui il link del giro più recente). Fate attenzione a non perdere di vista i bolli, perché ci sono sentierini alternativi molto ripidi, scavati dal passaggio degli animali. Io sbaglio sempre e anche oggi non mi smentisco, arrampicandomi per placchette e zolle d’erba mentre Marta sale tranquilla dal sentiero corretto. Di là dal passo, scendiamo con l’aiuto delle catene e ben presto ci troviamo nella fantastica val Porcellizzo.
Riconosciamo i profili del Badile e del Cengalo, le due cime più note di questa valle, che si possono raggiungere partendo dal rifugio Gianetti.
Il rifugio stesso non è troppo lontano: rabbocchiamo le borracce alla fontana esterna, che oggi troviamo aperta, e senza indugio proseguiamo verso il passo Camerozzo. La val Porcellizzo è lunghissima, ma finalmente arriviamo nei pressi della bocchetta.
2° PASSO: CAMEROZZO
Si tratta, insieme forse al Cameraccio, del passo più impegnativo, soprattutto percorso nel nostro senso di marcia: saliamo infatti con tratti di sentiero e poche facili catene fino al punto più alto, mentre molto più lunga e vertiginosa risulta la discesa. Sotto di noi si apre la val del Ferro, che con le sue enormi placche granitiche è uno dei punti più caratteristici del sentiero Roma. È anche l’unica valle dove il telefono prende bene.
Poco più in basso vediamo il bivacco Molteni-Valsecchi, un altro dei tanti punti di appoggio per chi percorre il sentiero Roma in più giorni.
3° PASSO: QUALIDO
Al passo Qualido si arriva abbastanza facilmente risalendo un ripido pendio di sfasciumi. Tra i sette, è forse il passo meno impegnativo. Si scende in val Qualido lungo una semplice cengia, di cui solo l’ultimo tratto è attrezzato con un paio di catene.
4° PASSO: AVERTA
Anche il passo dell’Averta è abbastanza semplice: ci si arriva superando un punto un po’ verticale con l’aiuto di un paio di catene e si scende senza troppi problemi nell’ampia val di Zocca, dove dovrei saper riconoscere la punta Allievi e la cima Castello, ma ancora non ho capito con esattezza quali siano.
La val di Zocca è larga più o meno quanto la val Porcellizzo e attraversarla richiede parecchio tempo. Il sentiero scende al di sotto del rifugio Allievi-Bonacossa e ci costringe a un’ultima faticosa salita per raggiungerlo. Il limite massimo che ci siamo date per arrivare all’Allievi sono le 14: dopo quest’ora, rischiamo di finire il giro con il buio. Arriviamo alle 13:59 e decidiamo di proseguire, non prima di avere acquistato due panini e quattro bottigliette di acqua frizzante (la fontana davanti al rifugio è chiusa). Abbiamo impiegato 7 ore dalla Omio all’Allievi e, tenendo lo stesso passo, dovremmo mettercene 6 da qui alla Ponti.
5° PASSO: TORRONE
Al passo Torrone si arriva da un facile, panoramico e piacevolissimo sentiero. È la prima volta che faccio questo passo in discesa e devo dire che in salita mi è sempre parso molto più semplice. Si scende per un ripido canalino, come sempre attrezzato con catene, e si perde parecchia quota addentrandosi nella selvaggia val Torrone.
Il sentiero Roma passava originariamente più in alto su ampie placche di granito. Il percorso è stato cambiato diversi anni fa, dopo un incidente dovuto proprio a una placca bagnata, ed è ora più faticoso ma sicuro. Nonostante il vecchio sentiero sia ancora chiaramente battuto, seguiamo il percorso corretto che ci fa scendere parecchio sotto le placche e poi risalire verso il bivacco Manzi e il passo Cameraccio.
6° PASSO: CAMERACCIO
È il mio passo preferito, nonché il più alto di tutto il sentiero Roma. Due anni fa lo feci in discesa e con la neve: ora ha cambiato completamente faccia, ma lo trovo sempre bellissimo. Il percorso originale è stato modificato per i crolli dovuti alla siccità di quest’anno e si passa ora sul lato sinistro della valle, seguendo i bolli più recenti e gli ometti. Risaliamo a fatica il pendio di instabili sfasciumi (molto meglio la neve!) e finalmente raggiungiamo la sicurezza delle catene, con cui percorriamo gli ultimi 100 m di dislivello che ci separano dalla bocchetta.
Dal passo si scende per facile pietraia verso la val Cameraccio. Piano piano, ma senza mai fermarci, arriviamo al bivacco Kima e cominciamo l’ultima parte del giro, che ho ben stampata in mente per averla provata di recente (qui il link).
7° PASSO: BOCCHETTA ROMA
Assomiglia un po’ al passo Cameraccio, ma è più breve: la bocchetta Roma si raggiunge dopo avere attraversato un pendio di sfasciumi davvero molto instabile, dove conviene tenere sempre la destra e seguire accuratamente i bolli fino all’inizio delle catene.
Con l’aiuto delle catene si scalano le ultime, ripide placche per arrivare alla bocchetta e, da qui, la vista si apre finalmente sulla valle di Predarossa, dal Disgrazia ai Corni Bruciati.
Scendiamo di buon passo verso il rifugio Ponti: sono quasi le 20 e siamo in ritardo per cena! La pietraia è impervia nella parte più alta, dove bisogna seguire scrupolosamente i bolli senza inventarsi soluzioni originali, perché la valle di Predarossa può riservare brutte sorprese; poi il sentiero si addolcisce e ci porta finalmente al rifugio, dove ci ristoriamo con una birra e un’ottima cena.
ANELLO DEI CORNI BRUCIATI
La mattina del terzo giorno ci avviamo verso il passo di Corna Rossa, seguendo le indicazioni per il monte Disgrazia. Il cielo è cupo ma non sono previsti temporali prima del tardo pomeriggio.
Le strade per il Disgrazia e per la bocchetta si dividono dopo la morena: seguiamo ora le indicazioni per l’ex rifugio Desio. Si risale il solito pendio di sfasciumi, qui particolarmente brutto anche perché il passaggio è nettamente inferiore rispetto al giro del Kima; la roccia è diversa, più liscia e scivolosa rispetto a quella incontrata finora. I tratti migliori, più solidi, sono sempre quelli attrezzati con catene.
Raggiungiamo il passo di Corna Rossa (2836 m) e l’ex rifugio Desio, un tempo punto di partenza per il Disgrazia, oggi abbandonato e pericolante.
La vetta del Disgrazia è purtroppo immersa nelle nubi, altrimenti la vista sarebbe spettacolare. Cominciamo la discesa verso la Valmalenco, un po’ su ghiaino scivoloso e un po’ su solida pietraia; alcune placche rosse con un grip pazzesco ci permettono di procedere un po’ più spedite, almeno in alcuni punti.
Arriviamo infine al punto in cui comincia il traverso per il passo di Caldenno, che ci è stato consigliato come “pietraia facile”. A vederlo non sembra granché e valutiamo anche la comoda alternativa di scendere fino al rifugio Bosio lungo il sentiero principale, risalendo da lì al passo di Caldenno per pratoni, ma alla fine decidiamo di fidarci e di passare dalla pietraia – che di facile, ahimè, non avrà proprio niente.
Lentamente, faticosamente, percorriamo questo instabile traverso, senza neanche poterci consolare con un bel risparmio di dislivello – l’altro sentiero, in alcuni punti, passa appena cinquanta metri sotto di noi. Fosse capitato il primo giorno, l’avremmo vissuto più serenamente, ma trovarsi davanti a una difficoltà inaspettata dopo due giorni di fatiche è davvero troppo!
Finalmente arriviamo al passo e di comune accordo decidiamo che per oggi è l’ultimo. Mancherebbe ancora il passo Scermendone, ripido per quanto tecnicamente semplice, ma davvero non ne abbiamo più. Scendiamo allora giù per la val Caldenno.
Arriviamo a Prato Isio, da dove si potrebbe raggiungere Berbenno di Valtellina; noi proseguiamo invece lungo la traversata per Prato Maslino, che sembra breve quando si passa di corsa, ma oggi è davvero infinita; scendiamo poi per sentieri a Gaggio di Monastero. Con poche speranze di potercela cavare con un autostop, ci avviamo lungo la strada a tornanti per Monastero, che giustamente è una delle meno trafficate della Valtellina (ho scelto Monastero in quanto esatto opposto di Milano). Come un miraggio, però, un’auto appare alle nostre spalle: una super nonna e due nipoti adolescenti si fanno in quattro per stringersi e permetterci di infilarci dentro con loro, risparmiandoci gli ultimi chilometri di cammino. Un enorme GRAZIE, come sempre, a chi è gentile con i viandanti!