Kima (52 km – 4200 m D+)
Filorera (Casa della Montagna) – Rifugio Scotti (1465 m) – Rifugio Ponti (2559 m) – Bocchetta Roma (2894 m) – Bivacco Kima (2750 m) – Passo Cameraccio (2950 m) – Bivacco Manzi (2562 m) – Passo Torrone (2518 m) – Rifugio Allievi-Bonacossa (2384 m) – Passo dell’Averta (2551 m) – Passo Qualido (2647 m) – Passo Camerozzo (2765 m) – Rifugio Gianetti (2534 m) – Passo Barbacan (2570 m) – Rifugio Omio (2108 m) – Bagni di Masino – San Martino – Filorera.
Periodo: Luglio 2020
Partenza: Filorera (841 m)
Distanza: 52 km
Dislivello: 4200 m
Acqua: fontana all’Allievi e alla Giannetti, per il resto ci siamo serviti ai ruscelli.
GPX (clic dx, salva link con nome)
I numeri del Trofeo Kima, una delle più spettacolari skymarathon in Italia, sono impressionanti: 52 km, 4200 m di dislivello positivo e 7 passi ad alta quota, tecnicissimi, da superare in velocità lungo quella meravigliosa alta via che è il Sentiero Roma. Roba da top runner, insomma. Pensare ai tempi non solo di chi vince la gara in sei ore, ma anche di chi la chiude entro le undici ore concesse dal regolamento, mette davvero in soggezione i comuni mortali come me. Mai avrei immaginato di poterlo fare in un giorno solo.
Ma i super soci Meme e Samuel hanno deciso di osare: come avrei potuto tirarmi indietro senza poi passare la giornata a rosicare per non essere lì con loro? La mia idea era di partire con loro e a un certo punto ritirarmi in buon ordine: dall’Allievi scendendo per la val di Zocca, oppure più avanti, dal bivacco Molteni-Valsecchi per la Val del Ferro – le vie di fuga non mancano, in questo giro, e in tutta onestà è stata proprio la possibilità di abbandonare a convincermi a provare. Invece le gambe giravano, i soci mi aspettavano pazientemente e, in qualche modo, abbiamo trovato tutti e tre la motivazione per superare, uno dopo l’altro, i sette temibili passi del Kima e l’infinita discesa per chiudere il giro.
Ecco allora il racconto della nostra impresa, per chi vuole affrontare la stessa sfida e per chi preferisce dividere il percorso in due o più giorni: in entrambi i casi, sarà un viaggio indimenticabile.
Permettetemi innanzitutto di darvi qualche consiglio pratico. Primo, bisogna essere preparati ad affrontare un ambiente estremamente severo di alta montagna: provate magari a percorrere qualche pezzo del Sentiero Roma prima di affrontare il giro completo, in modo da rendervi conto delle difficoltà. Secondo, a meno che siate al tempo stesso alpinisti provetti e runner di livello, considerate dei tempi molto più lunghi di quelli che potreste impiegare, a parità di distanza e dislivello, in una gara trail. Terzo, aspettate che le condizioni meteo siano ideali: sarebbe pericoloso affrontare questo percorso con la pioggia o in condizioni di scarsa visibilità. Un altro fattore da tenere a mente è la neve: nel mese di luglio ce n’è ancora tanta e alcuni nevai permangono in agosto; la parte più alta del giro è anche quella che affronterete per prima, tra la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio, e passando al mattino presto rischiate di trovare neve ghiacciata. I ramponcini, se non proprio indispensabili per chi si sa muovere bene, sono comunque uno strumento fondamentale per superare velocemente e in sicurezza i primi traversi su nevaio. Infine, vi consiglio caldamente di affrontare l’impresa in compagnia di un paio di amici fidati: non solo perché è bello condividere gioie e dolori di questo percorso, ma anche perché è più facile arrivare alla fine con qualcuno accanto che ti incoraggia e ti tira su di morale negli inevitabili momenti di crisi.
La partenza è da Filorera, dal piazzale antistante la Casa della Montagna – dove, se volete, la gentilissima signora Iris vi offrirà una sistemazione per la notte e preziosi consigli sulle condizioni del percorso. Tutto il giro è perfettamente indicato, per cui mi sento di dire che la traccia gpx, che pure allego al post come al solito, in questo caso non serve se non a consumarvi la batteria dell’orologio. Una volta acquisito il segnale gps – operazione che nel nostro caso ha richiesto parecchio tempo – si attraversa il ponte e si parte!
Per i primi 7 km si segue la strada asfaltata che sale per la valle di Predarossa, passando per il Rifugio Scotti. In questo primo tratto si supera una galleria non brevissima, illuminata da una luce temporizzata la cui durata deve però essere stata calcolata sui tempi di Kilian – meglio tenere la frontale a portata di mano, se non la percorrete proprio di corsa. Dopo Sasso Bisolo, troviamo sulla sinistra un sentiero, poco battuto ma bene indicato, che taglia i tornanti e ci porta rapidamente a quota 1980 m, dove finisce la strada e comincia il sentiero per il Rifugio Ponti.
La vista da qui si apre, regalandoci un piccolo assaggio dello scenario che ci attende poco più in alto. Possiamo goderci un chilometrino di corsa in piano lungo il torrente, prima che il sentiero cominci di nuovo a inerpicarsi verso il Rifugio Ponti (2559 m) e poi ancora più su, sempre più in alto, fino ai 2894 m della Bocchetta Roma.
Niente male, se si pensa che abbiamo guadagnato in un sol colpo duemila metri di quota. Di fronte a noi troneggia il Disgrazia mentre, più che seguire una traccia, saltelliamo da un blocco di granito all’altro seguendo i bolli, sempre evidenti, del Sentiero Roma fino alla bocchetta omonima, il primo dei sette passi che ci aspettano.
Superata la bocchetta, ci aspetta una discesa vertiginosa, tutt’altro che banale, giù per enormi placche di granito attrezzate con catene. Purtroppo non ho foto per illustrare i punti più verticali: portavo i guanti, avevo le mani occupate con le catene e la testa concentrata sull’obiettivo sopravvivenza. Credetemi, però, se vi dico che scendere dalla Bocchetta Roma al nevaio sottostante, con il vento e la temperatura che può esserci a quella quota alle nove del mattino, può risultare impegnativo anche per i più esperti.
Si attraversano ora dei tratti su nevaio, alcuni un po’ delicati a causa della neve ghiacciata. I ramponcini si sono rivelati fondamentali in questa fredda, severa Val Cameraccio. Superiamo il bivacco Kima e proseguiamo in un fantastico anfiteatro di vette aguzze in direzione di quella più aguzza di tutte, il Pizzo Cameraccio.
Superando o aggirando, a seconda dei casi, qualche altra lingua di neve, ora più morbida perché esposta al sole, arriviamo al Passo Cameraccio, che con i suoi 2950 m è il punto più alto del giro. Anche qui, la discesa è molto ripida e la roccia, forse per la neve, forse per la pioggia del giorno prima, risulta bagnata e scivolosa: dobbiamo calarci facendo affidamento solo sulle catene e sulla forza delle braccia, il che per alcuni (vedi i miei soci) non rappresenta un problema, per altri (vedi me) può risultare impegnativo. Come prima, alla fine delle catene atterriamo su un bel nevaio in discesa.
Per fortuna adesso la neve è morbida e ci si può lasciare scivolare verso il basso, chi sciando con qualche tonfo (vedi i miei soci), chi usando direttamente il sedere come slittino (vedi me). Pur con qualche abrasione, siamo arrivati in fondo al nevaio, ritrovandoci in un ambiente fantastico, reso ancora più bello dai famosi “blocchi di ghiaccio che si aggirano” di cui mi aveva parlato la signora Iris, per il divertimento di Samuel e Meme. Una valanga, infatti, si era staccata dalle ripide pareti del Pizzo Cameraccio, dando a questa valle, già imponente, un aspetto più fiabesco del solito.
Perdiamo ora parecchia quota, passando per il bivacco Manzi e scendendo giù per la Val Torrone. Dopo tanto tempo a spasso su neve e pietraie oltre i 2700 metri, il paesaggio sembra addolcirsi e finalmente possiamo corricchiare su una parvenza di sentiero.
La discesa dura troppo poco e ben presto si riprende a salire, per arrivare al canalino attrezzato con catene che porta al Passo Torrone (2518 m). La difficoltà non ha niente a che vedere con quella dei due passi precedenti e, in ogni caso, a questa quota sembra tutto più facile. Entriamo ora in un nuovo anfiteatro roccioso, quello della Val di Zocca. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi-Bonacossa, che per noi segna la metà del percorso. Qui facciamo la prima vera pausa, con rifornimento d’acqua alla fontana e di coca cola al rifugio, poi, senza perdere troppo tempo, ripartiamo alla volta del Rifugio Gianetti, che i cartelli danno a 7 ore di cammino.
Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al Passo dell’Averta (2551 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto. Altra valle, altro spettacolare anfiteatro di montagne: ma la stanchezza comincia a farsi sentire mentre di nuovo ci inerpichiamo verso il prossimo passo, il Qualido (2647 m).
A questo punto siamo a cinque passi su sette. Abbiamo sulle gambe tremila metri di dislivello e dobbiamo farne ancora mille. Abbiamo percorso circa trenta chilometri e sappiamo che ne mancano una ventina. Bene ma non benissimo, come si può dedurre dall’espressione di Meme qui sotto.
Ci facciamo coraggio e continuiamo in discesa lungo una canale franoso ma fortunatamente breve, trovandoci immersi nel fantastico scenario della Val del Ferro tra rocce, roccette ed enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Vediamo più in basso il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), che per noi rappresenta l’uscita di emergenza: da qui si potrebbe scendere fino a raggiungere la Val di Mello, San Martino e poi Filorera in tempi relativamente brevi. La tentazione c’è, ma siamo determinati a proseguire.
Il prossimo ostacolo da superare è il Passo Camerozzo (2765 m), decisamente più impegnativo dei tre precedenti. Va detto che, seguendo il giro del Kima, ci troviamo ad affrontare la parte difficile di questo passo in salita, non in discesa come per la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio. Dobbiamo comunque mantenere alta la concentrazione per aggirare una lingua di neve e un paio di catene rotte mentre faticosamente ci arrampichiamo verso la bocchetta, che sembra non arrivare mai.
Invece arriva e, finalmente, davanti a noi si spalanca la Val Porcellizzo in tutta la sua bellezza, con il Rifugio Gianetti ancora lontano, ma perlomeno in vista. Per scendere dobbiamo superare ancora qualche roccetta attrezzata con catene, ma il peggio è passato. Da qui in avanti non saranno tanto le doti alpinistiche a fare la differenza, quanto la resistenza e la resilienza che sapremo trovare dentro di noi.
Al rifugio ci fermiamo giusto il tempo di rabboccare le borracce e ammirare il Cengalo e il Badile che, nonostante sia ormai sera, sono ancora ben visibili in questa giornata dal meteo semplicemente perfetto. Il prossimo rifugio, l’Omio, è indicato a tre ore e mezza di cammino. Proseguiamo più o meno in piano, attraversando la Val Porcellizzo fino alla salita, l’ultima, per il Passo Barbacan (2570 m).
Il passo, in sé, non è impegnativo: in salita c’è qualche tratto attrezzato con catene, di cui si può anche fare a meno, in discesa invece bisogna fare i conti con un sentiero ripido e scomodo, ma privo di particolari difficoltà. Quando ci è sembrato di avere finalmente raggiunto un terreno facile, poi, abbiamo dovuto fare i conti con un vero e proprio pantano che ha rallentato ulteriormente il nostro passo – soprattutto il mio.
La parte più dura di tutto il giro è stata la discesa, infinita: dal Rifugio Omio ai Bagni di Masino attraverso il bosco, ormai con la frontale accesa; dai Bagni di Masino per circa 7 km lungo la strada fino a San Martino e poi a Filorera. Dando fondo alle ultime energie rimaste e ignorando i dolori ai piedi e alle ginocchia, finalmente abbiamo guadagnato il parcheggio della Casa della Montagna, senza finish line e senza pubblico, è vero, ma con un bel trofeo morale da mettere in bacheca!
Conclusione raggiunta dopo 17 ore (ebbene sì) in giro per i monti: tutto si può fare, a patto di avere gambe allenate, forza di volontà e soprattutto un paio di buoni amici che ti sostengono quando gambe e testa vacillano, aiutandoti a superare i tuoi limiti e a raggiungere un obiettivo altrimenti irrealizzabile.
Sentieri Bonatti e Roma (70 km – 6200 m D+)
21 Agosto 2022 by marta • Valtellina Tags: allievi, bivacco primalpia, bocchetta del calvo, bocchetta di corna rossa, bocchetta roma, corni bruciati, dubino, gianetti, kima, monte bassetta, monte disgrazia, passo barbacan, passo cameraccio, passo camerozzo, passo di caldenno, ponti, rifugio omio, sentiero roma, sentiero walter bonatti, traversata, val dei ratti, val masino, valtellina • 0 Comments
Una lunga traversata, durissima e spettacolare, tra la valle dei Ratti e la val Masino.
Periodo: Agosto 2022
Partenza: Monastero (Dubino)
Arrivo: Monastero (Berbenno di Valtellina)
Distanza: circa 70 km
Dislivello: circa 6200 m
GPX (clic dx, salva link con nome)
GIORNO 1: SENTIERO WALTER BONATTI
Dubino - biv. Primalpia (1980 m) - bocchetta del Calvo (2700 m) - rifugio Omio (2100 m)
GIORNO 2: SENTIERO ROMA CON I 7 PASSI DEL KIMA
Rifugio Omio - Gianetti (2534 m) - Allievi (2388 m) - Ponti (2559 m)
GIORNO 3: ANELLO DEI CORNI BRUCIATI
Ponti - passo di Corna Rossa (2836 m) - passo di Caldenno (2517 m) - Monastero
Da Monastero a Monastero: una traversata che accarezzo dallo scorso inverno, quando sul monte Bassetta scoprii l’esistenza del sentiero Walter Bonatti. L’idea di partire da Monastero di Dubino, dalla casa del più grande alpinista di tutti i tempi, e arrivare a casa mia a Monastero di Berbenno, era così bella che non vedevo l’ora dell’estate per metterla finalmente in pratica. E chi poteva essere così fuori di testa da accompagnarmi, se non la mia socia omonima?
Si tratta di un giro davvero tosto, dove chilometri e dislivello non rendono la minima idea delle difficoltà. Noi stesse abbiamo sottovalutato parecchio i tempi di percorrenza, convinte che un buon allenamento e una traccia gpx fossero sufficienti a cavarcela bene e in fretta. Ma nel bel mezzo del sentiero Bonatti – un percorso selvaggio, poco segnato e ancor meno battuto – ci siamo trovate con un Garmin morto e l’altro scarico, quindi senza traccia; e l’allenamento serve a poco, quando ogni due passi bisogna fermarsi per capire da che parte andare. Avevamo calcolato non più di 8 ore da Dubino alla Omio: ce ne abbiamo messe 11!
Il sentiero Roma, che si connette con il sentiero Bonatti all’altezza del rifugio Omio, è invece terreno noto per me: si tratta di un percorso difficile ma più “addomesticato”, ben segnato e pieno di gente. Anche qui pecco di eccessiva sicurezza, calcolando i tempi di percorrenza sulla base del giro del Kima provato due anni fa, senza tenere conto dei 3200 m di dislivello positivo che già abbiamo sulle gambe e del fatto che Marta non è abituata ad arrampicarsi per roccette attrezzate. Pensavo di fare la traversata Omio-Ponti in 10-11 ore: ce ne abbiamo messe 13, arrivando giusto in tempo prima del buio.
Almeno per il terzo giorno si sperava di avere fatto bene i conti: l’idea era quella di seguire l’anello dei Corni Bruciati, passando prima dal passo di Corna Rossa, ultima bocchetta del sentiero Roma, poi dal passo di Caldenno e dal passo Scermendone, con una puntata al pizzo Bello per chiudere in bellezza e da qui per sentieri arcinoti scendere a Monastero. Mal consigliate, abbiamo seguito il “sentiero” Corna Rossa-Caldenno su orribile pietraia, impiegando più del doppio del tempo previsto. Arrivate finalmente al passo di Caldenno, eravamo talmente cotte che abbiamo saltato l’ultima parte e siamo scese dalla val Caldenno, per sentieri facili ma interminabili.
A chi volesse ripetere il giro, suggerisco di seguire il sentiero Roma dal passo di Corna Rossa al rifugio Bosio e, da qui, o scendere a Torre di Santa Maria o risalire al passo di Caldenno per proseguire con l’anello dei Corni Bruciati. La traversata su pietraia è stata davvero la parte peggiore del nostro giro e la sconsiglio.
Ecco allora la relazione della traversata.
SENTIERO WALTER BONATTI
La mattina di ferragosto, verso le 7, parcheggiamo alle scuole di Dubino in via Cappelletta e da qui andiamo a prendere il sentiero Walter Bonatti, indicato già lungo la strada. Saliamo a Monastero, dove comincia il sentiero vero e proprio. Occhio solo a un bivio poco chiaro: non bisogna salire verso le falesie, ma svoltare a sinistra seguendo il segnavia bianco-rosso. La prima tappa, che raggiungiamo in fretta su facile sentiero, è l’alpe Piazza, dove conviene fare scorta d’acqua perché fino al bivacco Primalpia non si trovano altre fontane.
Proseguiamo ora verso il monte Foffricio, l’altura che sovrasta l’alpe Piazza, e da qui raggiungiamo l’ampia cresta che ci porta al monte Bassetta (1744 m). Conviene abbandonare il sentiero, che passa sotto la cima vera e propria, e salire di pochi metri per ammirare il panorama che si apre sulla valle dei Ratti con l’inconfondibile sfondo del Sasso Manduino, oggi purtroppo immerso nelle nubi.
Fin qui tutto facile: sono passate due ore e mezza dalla partenza e abbiamo fatto quasi metà del dislivello. Non possiamo certo immaginare che staremo in ballo ancora più di otto ore, ma cominciamo a renderci conto che il sentiero è poco battuto già nel primo tratto dopo il Bassetta. Passiamo a sinistra del monte Brusada e con un traverso poco corribile, ma facilmente camminabile, raggiungiamo l’alpe Codogno.
Ci troviamo sopra il lago di Novate Mezzola e la val Chiavenna; ben presto arriviamo in vista di Frasnedo, per cui troviamo anche qualche indicazione. Da Frasnedo si passa per il giro del Tracciolino, molto bello ma purtroppo al momento inagibile.
Superiamo l’alpe Codogno (1790 m) e continuiamo a salire, mentre l’ambiente intorno a noi si fa sempre più selvaggio. Le uniche forme di vita sono capre, pecore e mucche, oltre a un paio di pastori di cui sentiamo le urla in lontananza. Trovare il sentiero comincia a diventare complicato, ma a questo punto il mio Garmin è ancora vivo e ci affidiamo alla traccia gpx, qui davvero indispensabile.
Si superano diverse bocchette, di cui mi ero anche segnata i nomi come punti di riferimento, ma non sono indicate e sapere come si chiamano è poco utile. Si tenga conto invece dei seguenti riferimenti: alpe Piempo (2050 m), bivacco Primalpia (1980 m), lago dal Marzel (2310 m). Sono gli unici punti dove si trova un cartello per orientarsi e farsi un’idea di dove ci si trova.
Passiamo per le prime pietraie, che personalmente preferisco rispetto all’erba alta, in cui le marmotte la fanno da padrone e i bolli si perdono di vista. Riusciamo comunque a sbagliare strada in diversi punti, perché le indicazioni sono minime e da queste parti non passa davvero nessuno. Sorprendentemente, invece, il telefono prende piuttosto bene in diversi punti del percorso.
Il tratto più difficile, almeno dal punto di vista dell’orientamento, è quello tra l’alpe Piempo e il bivacco Primalpia. Bisogna dapprima attraversare un pratone con rari bolli consumati dal tempo; poi arrampicarsi per un ripido canale erboso, verticalissimo, con la speranza che la discesa dall’altra parte sia meno scoscesa; infine superare un traverso, con erba alta e tane di marmotte lungo tutto il sentiero, e scendere fino al bivacco.
Al bivacco troviamo una fontana dove finalmente possiamo riempire le borracce, e un gruppo di asinelli che ci fanno compagnia mettendosi a bere con noi. Siamo incredule quando leggiamo che da qui alla Omio il tempo di percorrenza CAI è 5 ore e mezza: mancano pochi chilometri e neanche così tanto dislivello! Invece non è molto meno di quanto ci metteremo.
Il paesaggio diventa sempre più bello man mano che guadagniamo quota. Sopra i 2200 m bolli e indicazioni si fanno più evidenti, forse perché siamo in prossimità di alcune vie di arrampicata e cime importanti, per esempio il Ligoncio che dovrebbe trovarsi da queste parti.
Superato il minuscolo lago dal Marzel, continuiamo a inerpicarci tra erba scivolosa e roccette taglienti seguendo i bolli, che ora si vedono – per fortuna, perché l’orologio di Marta è scarico e il mio è improvvisamente morto senza spiegazioni. Comincia ora la faticosa pietraia che ci porterà alla bocchetta del Calvo, a quota 2700 m circa, da cui dovremmo infine cominciare a scendere verso il rifugio Omio.
Il passo sembra rimanere sempre alla stessa distanza, dalla lentezza con cui ci muoviamo tra questi sassoni di granito. Il cielo ora è bello scuro e speriamo quantomeno di superare la bocchetta prima del temporale, previsto per le 18. Noi contavamo di essere al rifugio per le 14 o le 15 al più tardi!
Il passo di per sé non è particolarmente impegnativo. Si percorre una lunga cengia, in parte coperta di erba scivolosa, che è stata messa in sicurezza con catene. Solo una è divelta, per il resto sono in ottimo stato e ci affidiamo a loro per scendere il più in fretta possibile.
A differenza dei sette passi del Kima, tenuti puliti dal passaggio frequente e attrezzati con catene dall’inizio alla fine, la bocchetta del Calvo è piena di sfasciumi che nessuno ha ancora avuto modo di far cadere e, per di più, è attrezzata solo nei tratti resi pericolosi dall’erba. In altri punti, ripidi e scivolosi per il ghiaino, dobbiamo cavarcela senza catena. Finalmente individuiamo il rifugio, lontanissimo ma almeno in vista: il temporale si sta avvicinando e per fortuna abbiamo superato la parte più pericolosa.
Ci fermiamo giusto il tempo di mettere la giacca a vento e proseguiamo il più velocemente possibile sotto la grandine battente, tra erba fradicia e lastroni scivolosi. Arriviamo finalmente al rifugio poco prima delle 18, bagnate come pulcini ma felici di avercela fatta! Per fortuna alla Omio ci permettono di mettere le scarpe ad asciugare vicino alla stufa. La birra è fantastica e la cena ancora meglio. Dormiamo il sonno del giusto e alle 7 del mattino siamo pronte per ripartire alla conquista del sentiero Roma.
SENTIERO ROMA
Ci aspettano ora i sette passi del giro del Kima, fatti in senso opposto: Barbacan (2570 m), Camerozzo (2765 m), Qualido (2647 m), Averta (2551 m), Torrone (2518 m), Cameraccio (2950 m), Roma (2894 m). Per fare il giro con calma bisognerebbe passare una notte al rifugio Allievi-Bonacossa, a poco più di metà strada tra la Omio e la Ponti, ma noi abbiamo gambe forti e soprattutto la testa dura, e siamo determinate a fare tutto in una volta.
1° PASSO: BARBACAN
La bocchetta si raggiunge senza troppa fatica dal rifugio Omio: la conosco bene per averla percorsa più volte (qui il link del giro più recente). Fate attenzione a non perdere di vista i bolli, perché ci sono sentierini alternativi molto ripidi, scavati dal passaggio degli animali. Io sbaglio sempre e anche oggi non mi smentisco, arrampicandomi per placchette e zolle d’erba mentre Marta sale tranquilla dal sentiero corretto. Di là dal passo, scendiamo con l’aiuto delle catene e ben presto ci troviamo nella fantastica val Porcellizzo.
Riconosciamo i profili del Badile e del Cengalo, le due cime più note di questa valle, che si possono raggiungere partendo dal rifugio Gianetti.
Il rifugio stesso non è troppo lontano: rabbocchiamo le borracce alla fontana esterna, che oggi troviamo aperta, e senza indugio proseguiamo verso il passo Camerozzo. La val Porcellizzo è lunghissima, ma finalmente arriviamo nei pressi della bocchetta.
2° PASSO: CAMEROZZO
Si tratta, insieme forse al Cameraccio, del passo più impegnativo, soprattutto percorso nel nostro senso di marcia: saliamo infatti con tratti di sentiero e poche facili catene fino al punto più alto, mentre molto più lunga e vertiginosa risulta la discesa. Sotto di noi si apre la val del Ferro, che con le sue enormi placche granitiche è uno dei punti più caratteristici del sentiero Roma. È anche l’unica valle dove il telefono prende bene.
Poco più in basso vediamo il bivacco Molteni-Valsecchi, un altro dei tanti punti di appoggio per chi percorre il sentiero Roma in più giorni.
3° PASSO: QUALIDO
Al passo Qualido si arriva abbastanza facilmente risalendo un ripido pendio di sfasciumi. Tra i sette, è forse il passo meno impegnativo. Si scende in val Qualido lungo una semplice cengia, di cui solo l’ultimo tratto è attrezzato con un paio di catene.
4° PASSO: AVERTA
Anche il passo dell’Averta è abbastanza semplice: ci si arriva superando un punto un po’ verticale con l’aiuto di un paio di catene e si scende senza troppi problemi nell’ampia val di Zocca, dove dovrei saper riconoscere la punta Allievi e la cima Castello, ma ancora non ho capito con esattezza quali siano.
La val di Zocca è larga più o meno quanto la val Porcellizzo e attraversarla richiede parecchio tempo. Il sentiero scende al di sotto del rifugio Allievi-Bonacossa e ci costringe a un’ultima faticosa salita per raggiungerlo. Il limite massimo che ci siamo date per arrivare all’Allievi sono le 14: dopo quest’ora, rischiamo di finire il giro con il buio. Arriviamo alle 13:59 e decidiamo di proseguire, non prima di avere acquistato due panini e quattro bottigliette di acqua frizzante (la fontana davanti al rifugio è chiusa). Abbiamo impiegato 7 ore dalla Omio all’Allievi e, tenendo lo stesso passo, dovremmo mettercene 6 da qui alla Ponti.
5° PASSO: TORRONE
Al passo Torrone si arriva da un facile, panoramico e piacevolissimo sentiero. È la prima volta che faccio questo passo in discesa e devo dire che in salita mi è sempre parso molto più semplice. Si scende per un ripido canalino, come sempre attrezzato con catene, e si perde parecchia quota addentrandosi nella selvaggia val Torrone.
Il sentiero Roma passava originariamente più in alto su ampie placche di granito. Il percorso è stato cambiato diversi anni fa, dopo un incidente dovuto proprio a una placca bagnata, ed è ora più faticoso ma sicuro. Nonostante il vecchio sentiero sia ancora chiaramente battuto, seguiamo il percorso corretto che ci fa scendere parecchio sotto le placche e poi risalire verso il bivacco Manzi e il passo Cameraccio.
6° PASSO: CAMERACCIO
È il mio passo preferito, nonché il più alto di tutto il sentiero Roma. Due anni fa lo feci in discesa e con la neve: ora ha cambiato completamente faccia, ma lo trovo sempre bellissimo. Il percorso originale è stato modificato per i crolli dovuti alla siccità di quest’anno e si passa ora sul lato sinistro della valle, seguendo i bolli più recenti e gli ometti. Risaliamo a fatica il pendio di instabili sfasciumi (molto meglio la neve!) e finalmente raggiungiamo la sicurezza delle catene, con cui percorriamo gli ultimi 100 m di dislivello che ci separano dalla bocchetta.
Dal passo si scende per facile pietraia verso la val Cameraccio. Piano piano, ma senza mai fermarci, arriviamo al bivacco Kima e cominciamo l’ultima parte del giro, che ho ben stampata in mente per averla provata di recente (qui il link).
7° PASSO: BOCCHETTA ROMA
Assomiglia un po’ al passo Cameraccio, ma è più breve: la bocchetta Roma si raggiunge dopo avere attraversato un pendio di sfasciumi davvero molto instabile, dove conviene tenere sempre la destra e seguire accuratamente i bolli fino all’inizio delle catene.
Con l’aiuto delle catene si scalano le ultime, ripide placche per arrivare alla bocchetta e, da qui, la vista si apre finalmente sulla valle di Predarossa, dal Disgrazia ai Corni Bruciati.
Scendiamo di buon passo verso il rifugio Ponti: sono quasi le 20 e siamo in ritardo per cena! La pietraia è impervia nella parte più alta, dove bisogna seguire scrupolosamente i bolli senza inventarsi soluzioni originali, perché la valle di Predarossa può riservare brutte sorprese; poi il sentiero si addolcisce e ci porta finalmente al rifugio, dove ci ristoriamo con una birra e un’ottima cena.
ANELLO DEI CORNI BRUCIATI
La mattina del terzo giorno ci avviamo verso il passo di Corna Rossa, seguendo le indicazioni per il monte Disgrazia. Il cielo è cupo ma non sono previsti temporali prima del tardo pomeriggio.
Le strade per il Disgrazia e per la bocchetta si dividono dopo la morena: seguiamo ora le indicazioni per l’ex rifugio Desio. Si risale il solito pendio di sfasciumi, qui particolarmente brutto anche perché il passaggio è nettamente inferiore rispetto al giro del Kima; la roccia è diversa, più liscia e scivolosa rispetto a quella incontrata finora. I tratti migliori, più solidi, sono sempre quelli attrezzati con catene.
Raggiungiamo il passo di Corna Rossa (2836 m) e l’ex rifugio Desio, un tempo punto di partenza per il Disgrazia, oggi abbandonato e pericolante.
La vetta del Disgrazia è purtroppo immersa nelle nubi, altrimenti la vista sarebbe spettacolare. Cominciamo la discesa verso la Valmalenco, un po’ su ghiaino scivoloso e un po’ su solida pietraia; alcune placche rosse con un grip pazzesco ci permettono di procedere un po’ più spedite, almeno in alcuni punti.
Arriviamo infine al punto in cui comincia il traverso per il passo di Caldenno, che ci è stato consigliato come “pietraia facile”. A vederlo non sembra granché e valutiamo anche la comoda alternativa di scendere fino al rifugio Bosio lungo il sentiero principale, risalendo da lì al passo di Caldenno per pratoni, ma alla fine decidiamo di fidarci e di passare dalla pietraia – che di facile, ahimè, non avrà proprio niente.
Lentamente, faticosamente, percorriamo questo instabile traverso, senza neanche poterci consolare con un bel risparmio di dislivello – l’altro sentiero, in alcuni punti, passa appena cinquanta metri sotto di noi. Fosse capitato il primo giorno, l’avremmo vissuto più serenamente, ma trovarsi davanti a una difficoltà inaspettata dopo due giorni di fatiche è davvero troppo!
Finalmente arriviamo al passo e di comune accordo decidiamo che per oggi è l’ultimo. Mancherebbe ancora il passo Scermendone, ripido per quanto tecnicamente semplice, ma davvero non ne abbiamo più. Scendiamo allora giù per la val Caldenno.
Arriviamo a Prato Isio, da dove si potrebbe raggiungere Berbenno di Valtellina; noi proseguiamo invece lungo la traversata per Prato Maslino, che sembra breve quando si passa di corsa, ma oggi è davvero infinita; scendiamo poi per sentieri a Gaggio di Monastero. Con poche speranze di potercela cavare con un autostop, ci avviamo lungo la strada a tornanti per Monastero, che giustamente è una delle meno trafficate della Valtellina (ho scelto Monastero in quanto esatto opposto di Milano). Come un miraggio, però, un’auto appare alle nostre spalle: una super nonna e due nipoti adolescenti si fanno in quattro per stringersi e permetterci di infilarci dentro con loro, risparmiandoci gli ultimi chilometri di cammino. Un enorme GRAZIE, come sempre, a chi è gentile con i viandanti!