Sentiero Roma con tre passi (29 km – 2250 m D+)
Val di Mello – Val Torrone – Sentiero Roma – Passo Torrone 2518 m – Passo dell’Averta 2540 m – Passo Qualido 2647 m – discesa dalla Valle del Ferro
Periodo: Ottobre 2018
Partenza: San Martino in Val Masino (920 m)
Distanza: 29 km
Dislivello: circa 2250 m
Acqua: fontane chiuse in questo periodo, si può prendere acqua dai ruscelli anche se la presenza di animali rende l’acqua poco sicura.
GPX (clic dx, salva link con nome)
In una meravigliosa giornata di autunno inoltrato ho riproposto agli amici un giro provato circa un mese prima, allungandolo in modo da toccare ben tre passi sopra i 2500 m lungo il Sentiero Roma. Punto di partenza, sempre la stupenda Val di Mello; salita sempre dalla Val Torrone, dove questa questa volta la giornata limpidissima ci ha permesso di orientarci senza problemi e di andare a prendere il Sentiero Roma nel punto più basso; superato il Passo Torrone e raggiunto il rifugio Allievi, anziché scendere dalla Val di Zocca come l’altra volta abbiamo proseguito lungo il Sentiero Roma, superando altri due passi e scendendo dalla Valle del Ferro, che con i colori dell’autunno è davvero uno spettacolo impagabile. Giro consigliato solo a chi si senta a proprio agio su roccette, canalini attrezzati, traversi esposti.
Si lascia la macchina a San Martino. Entrando in paese, seguiamo le indicazioni per il parcheggio gratuito verso destra. Percorriamo in auto la stretta strada asfaltata che dopo avere superato le ultime case attraversa il torrente e termina in un ampio spiazzo adibito a parcheggio. Se arriviamo al mattino presto, probabilmente troveremo gruppetti di climber che preparano l’attrezzatura per affrontare le numerose, famose quanto impegnative vie di arrampicata sulle meravigliose pareti della Val di Mello.
Torniamo indietro lungo la strada da cui siamo arrivati, e subito prima del ponte prendiamo il sentiero a destra, che risale la Val di Mello mantenendosi a destra del torrente. Il sentiero è ben tracciato e bollato. Attraversiamo boschi fiabeschi, pozze d’acqua cristallina, pascoli e alpeggi, sempre tenendoci sulla sponda destra del torrente: i primi 5 km sono quasi pianeggianti, perfetti per correre e scaldare le gambe.
Seguiamo le indicazioni per Rasica, dove arriviamo dopo circa 5 km dalla partenza. Qui dobbiamo attraversare il torrente e seguire il sentiero che passa adesso tra le baite. Incontriamo una fontana che purtroppo a ottobre era chiusa, non so se per il freddo o perché non pioveva da tempo. Dato che queste valli sono comunque ricche d’acqua, immagino che le fontane vengano chiuse in autunno per evitarne il congelamento.
Continuiamo a seguire i bolli bianco/rossi che, superato l’alpeggio, ci conducono attraverso un bosco molto bello. Il sentiero diventa via via più ripido e ben presto, verso il km 6, arriviamo a un bivio. Seguiamo il sentiero che si inerpica verso sinistra, con l’indicazione “Val Torrone” scritta in rosso sulla roccia. Adesso ci aspetta un bel vertical, circa 1300 m di salita in 5 km.
Il sentiero è sempre bollato, ma poco battuto, e la traccia diventa via via meno visibile quando si esce dal bosco. Guadagnando quota, la fatica è compensata dalla vista che si apre sullo spettacolare anfiteatro roccioso della Val Torrone.
Adesso dobbiamo fare attenzione a seguire i bolli e gli ometti di pietra, perché la traccia si perde continuamente tra erba alta, roccette e ruscelli. Arriviamo a incrociare il Sentiero Roma a circa 2300 m di quota, nel punto in cui un cartello di legno indica la Val Torrone appunto nella direzione da cui siamo arrivati.
Prendiamo il Sentiero Roma verso sinistra, in discesa. Dobbiamo perdere un po’ di quota per poi ricominciare a salire. Questo perché il tratto originale del sentiero, che passa più in alto, è stato chiuso anni fa in seguito a un incidente. Seguiamo dunque i bolli, ora evidenti (il Sentiero Roma, a differenza della traccia seguita finora, è segnato molto bene con bolli bianco/rossi e croci rosse), e affrontiamo il primo dei tre passi di questo giro, il Passo Torrone a 1518 m.
Il canalino che porta al passo è molto ripido e attrezzato con catene. Arrivati al passo, lo spettacolo che si apre sulle montagne circostanti è impagabile. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi, unica traccia umana in un ambiente davvero selvaggio.
Il sentiero, prima con qualche saliscendi, poi in discesa fino al rifugio, alterna tratti su placche e rocce, in cui bisogna prestare attenzione a dove si mettono i piedi, a tratti più semplici e corribili. Al rifugio troviamo una fontana, chiusa a ottobre come quella di Rasica. Nel tratto tra il passo e il rifugio si incontrano comunque diversi rigagnoli d’acqua, e a questa altezza non ci sono animali se non qualche marmotta e stambecco, per cui riempire la borraccia dovrebbe essere relativamente sicuro.
Dopo l’Allievi si prosegue seguendo le indicazioni per il Rifugio Gianetti, sempre seguendo il Sentiero Roma indicato dai soliti bolli bianco/rossi. Salite e discese si alternano in un ambiente severo, selvaggio e pressoché deserto, almeno in questa stagione. Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al secondo dei tre passi, il Passo dell’Averta (2540 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto.
Ci troviamo adesso in Val Qualido, anche qui circondati da un paesaggio splendido. Guardando in avanti, verso lo sviluppo del Sentiero Roma, è difficile capire dove sia il prossimo passo tra quelle montagne acuminate, apparentemente inaccessibili. Invece il passo c’è, e ci arriviamo ben presto dopo avere superato, anche con l’aiuto di catene, qualche altro tratto impervio e piuttosto esposto.
Il passo Qualido, con i suoi 2647 m, è il punto più alto del nostro giro. Da qui in poi è tutta discesa, piuttosto tecnica per la verità. Si perde rapidamente quota scendendo da un canale particolarmente franoso, dopodiché la pendenza diminuisce mentre attraversiamo la parte alta della Valle del Ferro tra rocce, roccette e enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Ambiente spettacolare, l’ho già detto?
Raggiungiamo il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), dove abbandoniamo il Sentiero Roma per cominciare la discesa per la Valle del Ferro. La prima parte è terribile: una traccia non bollata, che si vede sì e no, e che scende ripida e scoscesa in un pratone di erba scivolosa. Entrando nel bosco la situazione migliora gradualmente, e nell’ultima parte della discesa si riesce a correre abbastanza bene.
Sbuchiamo sulla strada sterrata che da San Martino porta a Rasica. Svoltiamo a sinistra e poi subito a destra, dove un ponte ci permette di attraversare il torrente e ci riporta sul sentiero dell’andata, che ovviamente imbocchiamo verso destra. Ancora un chilometro e mezzo circa, e siamo alla macchina.
Kima (52 km – 4200 m D+)
27 Luglio 2020 by marta • Senza categoria, Valtellina Tags: allievi, averta, bagni di masino, barbacan, bivacco kima, bocchetta roma, corsa in montagna, filorera, giannetti, kima, omio, passo cameraccio, passo camerozzo, passo torrone, ponti, predarossa, qualido, san martino, sentiero roma, trail running, valle del ferro, valmasino • 2 Comments
Filorera (Casa della Montagna) – Rifugio Scotti (1465 m) – Rifugio Ponti (2559 m) – Bocchetta Roma (2894 m) – Bivacco Kima (2750 m) – Passo Cameraccio (2950 m) – Bivacco Manzi (2562 m) – Passo Torrone (2518 m) – Rifugio Allievi-Bonacossa (2384 m) – Passo dell’Averta (2551 m) – Passo Qualido (2647 m) – Passo Camerozzo (2765 m) – Rifugio Gianetti (2534 m) – Passo Barbacan (2570 m) – Rifugio Omio (2108 m) – Bagni di Masino – San Martino – Filorera.
Periodo: Luglio 2020
Partenza: Filorera (841 m)
Distanza: 52 km
Dislivello: 4200 m
Acqua: fontana all’Allievi e alla Giannetti, per il resto ci siamo serviti ai ruscelli.
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I numeri del Trofeo Kima, una delle più spettacolari skymarathon in Italia, sono impressionanti: 52 km, 4200 m di dislivello positivo e 7 passi ad alta quota, tecnicissimi, da superare in velocità lungo quella meravigliosa alta via che è il Sentiero Roma. Roba da top runner, insomma. Pensare ai tempi non solo di chi vince la gara in sei ore, ma anche di chi la chiude entro le undici ore concesse dal regolamento, mette davvero in soggezione i comuni mortali come me. Mai avrei immaginato di poterlo fare in un giorno solo.
Ma i super soci Meme e Samuel hanno deciso di osare: come avrei potuto tirarmi indietro senza poi passare la giornata a rosicare per non essere lì con loro? La mia idea era di partire con loro e a un certo punto ritirarmi in buon ordine: dall’Allievi scendendo per la val di Zocca, oppure più avanti, dal bivacco Molteni-Valsecchi per la Val del Ferro – le vie di fuga non mancano, in questo giro, e in tutta onestà è stata proprio la possibilità di abbandonare a convincermi a provare. Invece le gambe giravano, i soci mi aspettavano pazientemente e, in qualche modo, abbiamo trovato tutti e tre la motivazione per superare, uno dopo l’altro, i sette temibili passi del Kima e l’infinita discesa per chiudere il giro.
Ecco allora il racconto della nostra impresa, per chi vuole affrontare la stessa sfida e per chi preferisce dividere il percorso in due o più giorni: in entrambi i casi, sarà un viaggio indimenticabile.
Permettetemi innanzitutto di darvi qualche consiglio pratico. Primo, bisogna essere preparati ad affrontare un ambiente estremamente severo di alta montagna: provate magari a percorrere qualche pezzo del Sentiero Roma prima di affrontare il giro completo, in modo da rendervi conto delle difficoltà. Secondo, a meno che siate al tempo stesso alpinisti provetti e runner di livello, considerate dei tempi molto più lunghi di quelli che potreste impiegare, a parità di distanza e dislivello, in una gara trail. Terzo, aspettate che le condizioni meteo siano ideali: sarebbe pericoloso affrontare questo percorso con la pioggia o in condizioni di scarsa visibilità. Un altro fattore da tenere a mente è la neve: nel mese di luglio ce n’è ancora tanta e alcuni nevai permangono in agosto; la parte più alta del giro è anche quella che affronterete per prima, tra la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio, e passando al mattino presto rischiate di trovare neve ghiacciata. I ramponcini, se non proprio indispensabili per chi si sa muovere bene, sono comunque uno strumento fondamentale per superare velocemente e in sicurezza i primi traversi su nevaio. Infine, vi consiglio caldamente di affrontare l’impresa in compagnia di un paio di amici fidati: non solo perché è bello condividere gioie e dolori di questo percorso, ma anche perché è più facile arrivare alla fine con qualcuno accanto che ti incoraggia e ti tira su di morale negli inevitabili momenti di crisi.
La partenza è da Filorera, dal piazzale antistante la Casa della Montagna – dove, se volete, la gentilissima signora Iris vi offrirà una sistemazione per la notte e preziosi consigli sulle condizioni del percorso. Tutto il giro è perfettamente indicato, per cui mi sento di dire che la traccia gpx, che pure allego al post come al solito, in questo caso non serve se non a consumarvi la batteria dell’orologio. Una volta acquisito il segnale gps – operazione che nel nostro caso ha richiesto parecchio tempo – si attraversa il ponte e si parte!
Per i primi 7 km si segue la strada asfaltata che sale per la valle di Predarossa, passando per il Rifugio Scotti. In questo primo tratto si supera una galleria non brevissima, illuminata da una luce temporizzata la cui durata deve però essere stata calcolata sui tempi di Kilian – meglio tenere la frontale a portata di mano, se non la percorrete proprio di corsa. Dopo Sasso Bisolo, troviamo sulla sinistra un sentiero, poco battuto ma bene indicato, che taglia i tornanti e ci porta rapidamente a quota 1980 m, dove finisce la strada e comincia il sentiero per il Rifugio Ponti.
La vista da qui si apre, regalandoci un piccolo assaggio dello scenario che ci attende poco più in alto. Possiamo goderci un chilometrino di corsa in piano lungo il torrente, prima che il sentiero cominci di nuovo a inerpicarsi verso il Rifugio Ponti (2559 m) e poi ancora più su, sempre più in alto, fino ai 2894 m della Bocchetta Roma.
Niente male, se si pensa che abbiamo guadagnato in un sol colpo duemila metri di quota. Di fronte a noi troneggia il Disgrazia mentre, più che seguire una traccia, saltelliamo da un blocco di granito all’altro seguendo i bolli, sempre evidenti, del Sentiero Roma fino alla bocchetta omonima, il primo dei sette passi che ci aspettano.
Superata la bocchetta, ci aspetta una discesa vertiginosa, tutt’altro che banale, giù per enormi placche di granito attrezzate con catene. Purtroppo non ho foto per illustrare i punti più verticali: portavo i guanti, avevo le mani occupate con le catene e la testa concentrata sull’obiettivo sopravvivenza. Credetemi, però, se vi dico che scendere dalla Bocchetta Roma al nevaio sottostante, con il vento e la temperatura che può esserci a quella quota alle nove del mattino, può risultare impegnativo anche per i più esperti.
Si attraversano ora dei tratti su nevaio, alcuni un po’ delicati a causa della neve ghiacciata. I ramponcini si sono rivelati fondamentali in questa fredda, severa Val Cameraccio. Superiamo il bivacco Kima e proseguiamo in un fantastico anfiteatro di vette aguzze in direzione di quella più aguzza di tutte, il Pizzo Cameraccio.
Superando o aggirando, a seconda dei casi, qualche altra lingua di neve, ora più morbida perché esposta al sole, arriviamo al Passo Cameraccio, che con i suoi 2950 m è il punto più alto del giro. Anche qui, la discesa è molto ripida e la roccia, forse per la neve, forse per la pioggia del giorno prima, risulta bagnata e scivolosa: dobbiamo calarci facendo affidamento solo sulle catene e sulla forza delle braccia, il che per alcuni (vedi i miei soci) non rappresenta un problema, per altri (vedi me) può risultare impegnativo. Come prima, alla fine delle catene atterriamo su un bel nevaio in discesa.
Per fortuna adesso la neve è morbida e ci si può lasciare scivolare verso il basso, chi sciando con qualche tonfo (vedi i miei soci), chi usando direttamente il sedere come slittino (vedi me). Pur con qualche abrasione, siamo arrivati in fondo al nevaio, ritrovandoci in un ambiente fantastico, reso ancora più bello dai famosi “blocchi di ghiaccio che si aggirano” di cui mi aveva parlato la signora Iris, per il divertimento di Samuel e Meme. Una valanga, infatti, si era staccata dalle ripide pareti del Pizzo Cameraccio, dando a questa valle, già imponente, un aspetto più fiabesco del solito.
Perdiamo ora parecchia quota, passando per il bivacco Manzi e scendendo giù per la Val Torrone. Dopo tanto tempo a spasso su neve e pietraie oltre i 2700 metri, il paesaggio sembra addolcirsi e finalmente possiamo corricchiare su una parvenza di sentiero.
La discesa dura troppo poco e ben presto si riprende a salire, per arrivare al canalino attrezzato con catene che porta al Passo Torrone (2518 m). La difficoltà non ha niente a che vedere con quella dei due passi precedenti e, in ogni caso, a questa quota sembra tutto più facile. Entriamo ora in un nuovo anfiteatro roccioso, quello della Val di Zocca. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi-Bonacossa, che per noi segna la metà del percorso. Qui facciamo la prima vera pausa, con rifornimento d’acqua alla fontana e di coca cola al rifugio, poi, senza perdere troppo tempo, ripartiamo alla volta del Rifugio Gianetti, che i cartelli danno a 7 ore di cammino.
Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al Passo dell’Averta (2551 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto. Altra valle, altro spettacolare anfiteatro di montagne: ma la stanchezza comincia a farsi sentire mentre di nuovo ci inerpichiamo verso il prossimo passo, il Qualido (2647 m).
A questo punto siamo a cinque passi su sette. Abbiamo sulle gambe tremila metri di dislivello e dobbiamo farne ancora mille. Abbiamo percorso circa trenta chilometri e sappiamo che ne mancano una ventina. Bene ma non benissimo, come si può dedurre dall’espressione di Meme qui sotto.
Ci facciamo coraggio e continuiamo in discesa lungo una canale franoso ma fortunatamente breve, trovandoci immersi nel fantastico scenario della Val del Ferro tra rocce, roccette ed enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Vediamo più in basso il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), che per noi rappresenta l’uscita di emergenza: da qui si potrebbe scendere fino a raggiungere la Val di Mello, San Martino e poi Filorera in tempi relativamente brevi. La tentazione c’è, ma siamo determinati a proseguire.
Il prossimo ostacolo da superare è il Passo Camerozzo (2765 m), decisamente più impegnativo dei tre precedenti. Va detto che, seguendo il giro del Kima, ci troviamo ad affrontare la parte difficile di questo passo in salita, non in discesa come per la Bocchetta Roma e il Passo Cameraccio. Dobbiamo comunque mantenere alta la concentrazione per aggirare una lingua di neve e un paio di catene rotte mentre faticosamente ci arrampichiamo verso la bocchetta, che sembra non arrivare mai.
Invece arriva e, finalmente, davanti a noi si spalanca la Val Porcellizzo in tutta la sua bellezza, con il Rifugio Gianetti ancora lontano, ma perlomeno in vista. Per scendere dobbiamo superare ancora qualche roccetta attrezzata con catene, ma il peggio è passato. Da qui in avanti non saranno tanto le doti alpinistiche a fare la differenza, quanto la resistenza e la resilienza che sapremo trovare dentro di noi.
Al rifugio ci fermiamo giusto il tempo di rabboccare le borracce e ammirare il Cengalo e il Badile che, nonostante sia ormai sera, sono ancora ben visibili in questa giornata dal meteo semplicemente perfetto. Il prossimo rifugio, l’Omio, è indicato a tre ore e mezza di cammino. Proseguiamo più o meno in piano, attraversando la Val Porcellizzo fino alla salita, l’ultima, per il Passo Barbacan (2570 m).
Il passo, in sé, non è impegnativo: in salita c’è qualche tratto attrezzato con catene, di cui si può anche fare a meno, in discesa invece bisogna fare i conti con un sentiero ripido e scomodo, ma privo di particolari difficoltà. Quando ci è sembrato di avere finalmente raggiunto un terreno facile, poi, abbiamo dovuto fare i conti con un vero e proprio pantano che ha rallentato ulteriormente il nostro passo – soprattutto il mio.
La parte più dura di tutto il giro è stata la discesa, infinita: dal Rifugio Omio ai Bagni di Masino attraverso il bosco, ormai con la frontale accesa; dai Bagni di Masino per circa 7 km lungo la strada fino a San Martino e poi a Filorera. Dando fondo alle ultime energie rimaste e ignorando i dolori ai piedi e alle ginocchia, finalmente abbiamo guadagnato il parcheggio della Casa della Montagna, senza finish line e senza pubblico, è vero, ma con un bel trofeo morale da mettere in bacheca!
Conclusione raggiunta dopo 17 ore (ebbene sì) in giro per i monti: tutto si può fare, a patto di avere gambe allenate, forza di volontà e soprattutto un paio di buoni amici che ti sostengono quando gambe e testa vacillano, aiutandoti a superare i tuoi limiti e a raggiungere un obiettivo altrimenti irrealizzabile.