Valmalenco e Val Poschiavina (48,5 km – 2750 m D+)

Un bellissimo “lungo” ad alta quota tra vette maestose, nevai, cascate e laghetti alpini.
Chiesa in Valmalenco – Alpe Cavaglia – Alpe Prabello (2225 m) – Passo di Campagneda (2615 m) – Val Poschiavina – Alpe Gembré – Rifugio Bignami (2401 m) – Diga di Campo Moro – Alpe Musella (2021 m) – Alpe Campascio (1844 m) – Dosso dei Vetti – Cima Sassa (1721 m) – Ponte – Chiesa in Valmalenco

Periodo: Luglio 2021

Partenza: Chiesa in Valmalenco (960 m)

Distanza: 48,5 km

Dislivello: 2750 m

Acqua: si trovano fontane a tutti gli alpeggi, oltre a numerosi ruscelli

GPX (clic dx, salva link con nome)

Quando penso a un luuungo giro estivo, il primo posto che mi viene in mente è la Valmalenco, con la sua fantastica alta via che a ogni svolta del sentiero offre un nuovo scorcio più bello del precedente – e dove tra poco si svolgerà la famosa VUT. Lo scorso anno con Marta avevo provato l’intero percorso di gara: questa volta ho deciso invece di percorrere un tratto dell’alta via dove la gara non passa, vale a dire il passo di Campagneda e la meravigliosa Val Poschiavina.

Tra Italia e Svizzera al passo di Campagneda

Il mio punto di partenza è il centro sportivo Vassalini a Chiesa in Valmalenco. Ricordando bene l’infinita discesa dal rifugio Cristina all’alpe Cavaglia e da qui a Chiesa, faticosissima dopo il lungo giro dell’anno scorso, decido di togliermi subito quel tratto fastidioso andando a imboccare l’alta via in senso opposto al percorso della VUT. Dal centro sportivo prendo dunque la ciclabile in direzione Lanzada e Caspoggio, attraversando la statale (sottopasso) e poi il torrente Lanterna. Sulla destra trovo subito il sentiero per Caspoggio e, con una breve salita, arrivo in paese. Proseguo lungo la strada, sempre in salita, e vado a prendere la mulattiera per Pianaccio.

Ultime baite sopra Caspoggio

Un sentiero taglia i tornanti della mulattiera, permettendomi di guadagnare quota velocemente. Una volta a Pianaccio trovo diverse indicazioni: un sentiero a sinistra porta direttamente al rifugio Cristina, ma io ho intenzione di percorrere l’alta via e seguo dunque i cartelli per Piazzo Cavalli (sentiero 305, indicato anche come AV). 

Il sentiero attraversa Pianaccio

Superato l’alpeggio, si prosegue lungo la strada sterrata in direzione della seggiovia. Dopo qualche tornante, si troverà sulla sinistra il sentiero, ben segnalato da bolli bianco-rossi, e si continua a salire fino a raggiungere le piste da sci a Piazzo Cavalli.

Sulle piste da sci

A questo punto la cosa più logica è continuare lungo l’alta via, chiaramente indicata non solo con i bolli bianco-rossi, ma anche con un triangolo giallo rovesciato, in direzione Alpe Cavaglia. Io invece, poco astutamente, ho seguito il sentiero per Crap, che rimane poco più basso rispetto a quello principale, e mi è poi toccata una bella ravanata nel bosco per tornare sulla retta via. Raccomando quindi, in questo punto, di seguire i cartelli e non la mia traccia gpx.

Il sentiero verso l’Alpe Cavaglia

Recuperato il sentiero corretto dopo l’excursus nel bosco, mi guardo intorno e mi rendo conto che questo tratto di alta via è molto più bello di quanto lo ricordassi. Raggiunti i 2000 m di quota, la salita si addolcisce, il bosco si dirada e spuntano le montagne: tra i rododendri in fiore, uno spettacolo che ogni anno riesce a sorprendermi come la prima volta, si comincia a intravedere il ghiacciaio Fellaria, mentre alle mie spalle, maestoso, troneggia il Disgrazia.

Panorama dall’alta via a 2000 m

Il sentiero spiana mentre mi avvicino all’Alpe Cavaglia, che poi consiste solo in un paio di antiche baite ormai in disuso. In fondo a destra svetta il Pizzo Scalino, la cui presenza mi accompagnerà per tutta la prima parte del giro fino al passo di Campagneda.

Verso l’Alpe Cavaglia, Pizzo Scalino sullo sfondo

Si prosegue con qualche saliscendi in un ambiente sempre più spettacolare fino all’alpeggio successivo, l’Alpe Acquanera. Questo alpeggio, a differenza dell’Alpe Cavaglia, è ancora utilizzato, con mucche al pascolo e pastori al lavoro. Superando l’ultima baita si troverà anche una fontana.

Alpe Acquanera, Disgrazia sullo sfondo

Circa 3 km di saliscendi mi separano ora dall’Alpe Prabello (2225 m), dove si trova il rifugio Cristina. Li percorro abbastanza velocemente e ben presto arrivo in vista del santuario Madonna della Pace.

Alpe Prabello e santuario Madonna della Pace

Anche qui si può fare rifornimento d’acqua. Passando al mattino presto ho trovato l’alpeggio ancora addormentato, ma tenete conto che all’ora di pranzo il rifugio e gli ampi prati richiamano numerosi escursionisti.

Il Pizzo Scalino svetta sopra il rifugio Cristina

Anche qui, sentitevi liberi di ignorare la mia traccia e di seguire i cartelli: l’alta via e il passo di Campagneda sono infatti chiaramente indicati. Io ho istintivamente continuato a seguire a ritroso il percorso della VUT lungo la strada sterrata che scende verso Campo Moro, salvo poi deviare a destra ritrovando le indicazioni per il passo di Campagneda.

Verso Campagneda, Pizzo Scalino sullo sfondo

Dopo un tratto di discesa, la mia strada sterrata riprende a salire e torno sull’alta via, con l’imponente Pizzo Scalino come presenza costante alla mia destra. Comincia ora la parte più bella del giro: accompagnata dai fischi delle marmotte salgo sempre più in alto, superando i laghi di Campagneda, che offrono scorci davvero meravigliosi, e incontrando i primi piccoli nevai verso quota 2400 m.

Laghi di Campagneda

Per quanto il sentiero sia facile e l’ambiente assolutamente non pericoloso, consiglio di utilizzare la traccia gpx. In alcuni punti, infatti, i bolli si perdono nell’erba o nella neve ed è comodo avere un riferimento per orientarsi.

Ultime roccette prima della bocchetta

Poco prima di raggiungere il passo trovo delle roccette attrezzate con una catena e persino delle staffe per i piedi, che mi sembrano un po’ eccessive vista la quantità di appigli naturalmente offerti dalla roccia.

Nevaio ormai in scioglimento a 2600 m

Il passo di Campagneda (2615 m), più che una bocchetta, si rivela un ampio e panoramico pianoro roccioso, dove un arco in legno segna il punto di passaggio di una skyrace che ormai non si tiene più, la Valmalenco – Val Poschiavo. Esco dal sentiero bollato per aggirare un nevaio e raggiungo l’arco, che a quanto pare è posto proprio sul confine: puntualmente, infatti, ricevo il classico SMS di benvenuto e un secondo SMS con la normativa Covid-19 in Svizzera.

Attraversamento del torrente Poschiavina

Superato il passo, si scende verso la Val Poschiavina sempre lungo l’alta via, seguendo i bolli tra roccette e piccoli nevai. I ramponcini sono rimasti sempre nello zainetto: ho infatti trovato neve molle e mai in punti esposti. Approfitto di un ponticello per attraversare il torrente Poschiavina, il cui corso mi accompagnerà giù per l’omonima valle e fino al lago di Gera. Poco dopo arrivo al passo di Cancian (2498 m), il cui aspetto è così poco quello di un passo che mi accorgo di averlo superato solo più tardi, riguardando il percorso sulla cartina.

Laghetto poco dopo il passo di Cancian

Dopo un primo tratto di discesa per roccette, anche qui esageratamente attrezzate con catene e staffe, proseguo in leggera discesa se non addirittura in piano per la bucolica ma infinitamente lunga val Poschiavina. Pensavo di impiegare di meno a percorrere i 4-5 km che ancora mi separano dal lago di Gera, ma il sentiero, per quanto facile e semi pianeggiante, si rivela sconnesso e paludoso e mi costringe quasi a camminare.

Val Poschiavina

Finalmente arrivo in vista dell’Alpe Val Poschiavina, dove trovo una fontana per rabboccare le borracce, e del lago di Gera. Proseguo in discesa tenendo la destra, seguendo le indicazioni per l’Alpe Gembré.

Indicazioni per Gembré prima del lago di Gera

Seguo il sentiero lungo la sponda orientale del lago e la vista si apre sul ghiacciaio Fellaria, o su quanto ne rimane. Compare anche il rifugio Bignami, prossima tappa del mio giro.

Vista sul ghiacciaio Fellaria

Raggiungo e supero l’Alpe Gembré, senza fermarmi alla fontana visto che ho già le borracce piene, e proseguo lungo il sentiero ora in discesa per il rifugio Bignami. Bisogna abbandonare brevemente il sentiero principale e seguire le frecce verdi che portano a un ponte per attraversare il torrente poco più in basso: ponte utilissimo, a maggior ragione con il torrente in piena per la neve che si sta sciogliendo.

Rododendri e cascata

Si può ora corricchiare a fondovalle, sempre seguendo i bolli e i triangoli rovesciati dell’alta via in un ambiente da favola, con i rododendri in fiore e il fragore delle cascate che provengono dal ghiacciaio.

Torrente Valle di Campo Moro

Attraverso il torrente Valle di Campo Moro, anch’esso in piena, grazie a un altro ponte, qui davvero indispensabile. Il terzo ponte, invece, manca: trovo infatti il sentiero interrotto da un altro torrente, non altrettanto impetuoso ma comunque carico d’acqua. Dopo avere cercato inutilmente un punto sicuro per l’attraversamento, stabilisco che la soluzione migliore sia togliermi le scarpe e guadare con l’acqua al ginocchio. Qualunque cosa pur di non tornare indietro e rovinare l’anello!

Guado a piedi nudi

Altre persone che arrivavano dalla parte opposta hanno preferito rinunciare e tornare indietro. Ma non temete, la piccola ruspa parcheggiata lì vicino e i sassi ammonticchiati su entrambe le sponde mi fanno pensare che presto ci sarà un ponticello anche qui! In alternativa, per evitare questo tratto, dalla Val Poschiavina si può scendere direttamente a Campo Moro senza passare per il Bignami. Che però sarebbe proprio un peccato!

Il lago di Gera dal rifugio Bignami (2401 m)

Il rifugio è sempre affollatissimo in questa stagione, per cui mi fermo giusto il tempo di una foto e riparto in discesa per la mulattiera che passa sulla sponda occidentale del lago di Gera. Qui c’è come sempre una processione di escursionisti da 400 m di dislivello, nonostante un paio di nevai che, pur battuti, aumentano un po’ la difficoltà del percorso. Come al solito, tra la folla, c’è chi si lamenta di essere superato e chi mi chiede che fretta abbia per scendere di corsa – l’idea che mi manchino ancora 20 km, dopo i quasi 30 già percorsi, ovviamente non li sfiora – ma trovo anche tante persone gentili che mi sorridono e si complimentano.

Ghiacciaio Fellaria dalla diga di Gera

Alla fine della mulattiera attraverso la diga di Gera, da cui si gode di una vista fantastica sul ghiacciaio Fellaria e il sottostante rifugio Bignami, e proseguo in discesa verso Campo Moro. Un sentiero che si prende sulla destra mi permette di evitare la strada, superando in fretta il lago di Campo Moro e arrivando all’omonima diga.

Lago di Campo Moro, Motta sullo sfondo

Il panettone che si vede dietro alla diga è il monte Motta, che dovrò superare – pur senza arrivare in cima – per tornare a Chiesa. Da Campo Moro, le indicazioni da seguire sono quelle per l’Alpe Musella: si prende dunque la strada in discesa verso destra, si attraversa la diga e si continua lungo la mulattiera in discesa, senza farsi tentare dai cartelli per Campo Franscia. Mi aspetta ancora un po’ di salita, ma era una cosa voluta e mi attengo al programma. Il sentiero per l’Alpe Musella, in ogni caso, è facile e mai troppo ripido, con lunghi tratti pianeggianti e corribili e torrentelli dove ogni tanto mi fermo a bere un sorso d’acqua.

Verso l’Alpe Musella (2020 m)

Arrivo all’alpeggio mentre il cielo si copre e cominciano a cadere le prime gocce. Poco male, non ci sono temporali in vista e piove quanto basta per rinfrescarmi. Speravo a quest’ora di essere già alla macchina, ma il guado e le continue soste per le foto mi hanno fatto perdere tempo. Dall’Alpe Musella seguo le indicazioni per l’Alpe Campascio, poco lontano.

Alpe Campascio (1844 m)

Attraverso altri torrenti (sempre con ponti) e proseguo più o meno in piano fino a Dosso dei Vetti; da qui perdo ancora un po’ di quota prima dell’ultima salita. La mulattiera bagnata non contribuisce a migliorare il mio passo, già fiacco dopo tante ore sulle gambe, e la stanchezza mi impedisce di godermi appieno il paesaggio.

Dosso dei Vetti (1810 m)

Finalmente arriva la salita che stavo aspettando: è il sentiero 339 per Cima Sassa e rifugio Motta. Lo seguo, guadagnando piano piano gli ultimi 200 m di dislivello di questo lungo giro, e raggiungo infine Cima Sassa (1721 m).

Cima Sassa (1721 m)

Non è una cima, ma da qui inizia la discesa. Non ci sono indicazioni in tal senso ma bisogna proseguire dritto, perdendo quota per i prati fino all’alpeggio sottostante – di cui non ricordo il nome, non me ne vogliano gli abitanti. Si trova anche qui una fontana, anche se io ho già fatto rifornimento all’ultimo torrente e decido di non fermarmi. Le prossime indicazioni da seguire sono quelle del sentiero 338 per Ponte, Lanzada e Chiesa, prima su strada carrozzabile e poi lungo un sentiero ben indicato. All’unico bivio non segnalato, come è naturale, ho sbagliato strada prendendo la discesa verso sinistra, mentre avrei dovuto proseguire dritto arrivando direttamente a Ponte. Poco male, ho allungato di poco e ho comunque raggiunto lo stesso paesino da un’altra strada. Bisogna ora seguire le indicazioni per Chiesa – non quelle per Lanzada! – lungo un sentierino ripido, umido e pieno di vegetazione.

Si attraversa il ponte verso la funivia

Una volta a Chiesa, si scende ancora un po’ lungo la strada e, ignorando le indicazioni che non sono corrette, bisogna attraversare il ponte che vedete in foto in direzione della funivia. Subito dopo il ponte, si svolta a destra e ben presto si arriva in vista del centro sportivo Vassalini.