Il Pizzo Bello (2753 m)
Una cima modesta ma degna del suo nome, con vista spaziale sulla valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il monte Disgrazia.
Narra la leggenda che, un tempo, la valle di Preda Rossa fosse ricoperta da una vegetazione lussureggiante. E quello che oggi è il monte Disgrazia veniva chiamato “Pizzo Bello” per i pascoli verdi e i boschi rigogliosi che ricoprivano i suoi pendii. Tanto splendente e affascinante era questa montagna, che i pastori dagli alpeggi passavano il tempo a rimirarla e a vantarne la bellezza.
Finché un giorno Dio si presentò nella valle sotto le spoglie di un mendicante. Anziché offrirgli cibo e riparo, i pastori lo derisero e maltrattarono. Dio decise di punirli per la loro arroganza togliendo loro quello di cui andavano più orgogliosi: un devastante incendio distrusse la valle, lasciando solo una distesa di rocce rosse – da cui il nome “Preda Rossa” – su cui si ergono le aride cime dei Corni Bruciati. Quello che era il Pizzo Bello, ormai una desolata montagna priva di vegetazione, prese il nome di Disgrazia (dal lombardo des-giassa, “disghiaccia”).
I pastori, pentiti della propria superbia, trovarono rifugio sui più umili pendii della val Terzana: ai piedi del monte Scermendone costruirono la chiesetta di San Quirico e chiamarono “Pizzo Bello” una cima così modesta che fino allora non aveva mai nemmeno avuto un nome. Ben pochi, tuttora, conoscono questa montagna, che si scala con tanta fatica e poca gloria. Ma il suo nome se lo merita tutto!
Per me e Lucia, il Pizzo Bello è la montagna di casa. Era da un po’ che volevamo andarci insieme e abbiamo deciso di approfittare del meteo spaziale di un weekend di metà ottobre, con temperature polari e quel cielo terso che solo l’autunno sa regalare. Il tempo a disposizione è poco, ma abbiamo gambe forti e un’invidiabile capacità di sopportazione del freddo e della fatica!
Il ritrovo è alle 5 e mezza sulla mulattiera che unisce i nostri paesi, Monastero e Berbenno. Parto da casa poco dopo le 5, sotto una stellata pazzesca che mi fa subito dimenticare il disagio del gelo e della levataccia. La luce della frontale riflette innumerevoli occhietti che spuntano tra gli alberi per scrutarmi incuriositi: di notte, quando gli umani non disturbano, il bosco brulica di vita.
Dal buio spuntano finalmente gli occhi di Nami, la super cagnolina ultrarunner, seguiti dalla frontale di Lucia. Ha dormito appena tre ore, ma come sempre mi fa mangiare la polvere! Saliamo fino a Prato Maslino per ripidi sentieri, chiacchierando e godendoci i fruscii del bosco, la fatica nelle gambe, il nostro respiro nell’aria sempre più fredda. Di solito le amiche si incontrano al bar, non per sentieri bui e deserti: ma quanto è bello essere le uniche umane in un mondo di sola natura, forti e indipendenti, capaci di arrivare dove ci pare senza chiedere niente a nessuno?
Superato Prato Maslino, imbocchiamo il sentiero per il Pizzo Bello e ci rendiamo conto che, fuori dalla fitta vegetazione in cui eravamo immerse, è già abbastanza chiaro da spegnere la frontale. L’erba ghiacciata scricchiola sotto i nostri passi e i versanti nord delle montagne intorno a noi sono coperti da uno strato di neve: la temperatura deve essere ben sotto zero e i guanti non bastano più a tenerci calde le mani.
Che spettacolo, però, ammirare dall’alto la Valtellina addormentata, immersa nell’ombra e nella foschia, mentre le cime delle montagne cominciano una dopo l’altra a risplendere, illuminate dal primo sole.
Il sole batte anche sul nostro Pizzo Bello ed è con un certo sollievo che attacchiamo la cresta finale, cominciando finalmente a riscaldarci dopo tutta la salita in ombra. Bisogna prestare attenzione alle ultime roccette, ma in un attimo siamo alla croce. Che meraviglia vedere da qui la valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il Disgrazia! Anche se spoglie e prive di vegetazione, queste montagne rimangono di una bellezza struggente.
Sono da poco passate le 8 e nelle gambe abbiamo rispettivamente 2150 m (da Monastero) e 2400 m (da Berbenno) di dislivello. Ma chi la sente la fatica, in un posto così bello?
Dopo le foto di rito, ci apprestiamo a scendere. Lucia è una discesista formidabile e deve essere a casa presto, mentre io ho più tempo a disposizione e decido di rimanere ancora un po’ a godermi il panorama nel silenzio più assoluto. Fino a mezz’ora fa fermarsi avrebbe comportato una rapida morte per assideramento, ma il sole fa miracoli e adesso si sta proprio bene. Guardo Lucia e Nami che scendono a tutta velocità per i ripidi prati dell’alpe Baric, due puntini che rapidamente spariscono alla vista.
Mi godo ancora per qualche minuto la pace e la bellezza di quest’alba a 2700 m di quota, poi anche io comincio a scendere verso casa. Il mondo si sta risvegliando e sul sentiero incontro i primi escursionisti: hanno parcheggiato a Prato Maslino e si stanno incamminando verso la cima di Vignone. Sorrido tra me, pensando a quanto diversa e intensa è stata invece la nostra uscita per le stesse montagne. Che fortuna avere gambe forti che ci portano lontano!
Alpe Granda da Ardenno (22 km – 1700 m D+)
14 Febbraio 2022 by marta • Valtellina Tags: alpe granda, ardenno, buglio in monte, cima di granda, corsa in montagna, gaggio, lotto, scermendone, trail running, valtellina, via dei terrazzamenti • 0 Comments
Ecco un altro anello panoramico in bassa Valtellina! Partenza dalla stazione di Ardenno, salita all’Alpe Granda con vista spaziale sulla Val Masino, discesa dalla via dei Terrazzamenti.
Periodo: Febbraio 2022
Partenza: Ardenno
Distanza: 22 km
Dislivello: 1700 m
Acqua: varie fontane lungo tutto il percorso (quelle più in alto chiuse in inverno)
GPX (clic dx, salva link con nome)
L’Alpe Granda, storico alpeggio di Ardenno, è diventato uno dei miei posti preferiti da quando l’ho scoperto, più o meno un anno fa. Spettacolare balcone da cui ammirare la maestosa catena di vette della Val Masino, facilmente accessibile per strade e sentieri escursionistici, questo enorme pianoro a 1600 m di quota rimane sconosciuto ai più, silenzioso e poco frequentato.
Il giro che avevo in mente era in realtà più ambizioso: pensavo di salire anche al monte Scermendone e da lì arrivare alla chiesetta di San Quirico. Si tratta però, come immaginavo, di un percorso poco frequentato e senza indicazioni di alcun tipo, che ho eliminato dalla traccia gpx perché non mi sento di raccomandarlo. Oltre tutto, arrivata a quella che pensavo fosse la cima del monte Scermendone, che però era il Mercantelli (2070 m), anziché proseguire in cresta ho pensato bene di seguire una traccia in discesa nel bosco e ho perso quasi un’ora a ravanare più o meno a caso per riguadagnare la strada carrozzabile che passa poco più in basso.
Vi propongo quindi un giro un po’ più breve e decisamente più sicuro di quello che ho fatto effettivamente. La partenza è da Ardenno, dove approfitto come sempre del grande parcheggio gratuito della stazione. Si parte con un tratto di corsa in piano verso i terrazzamenti che caratterizzano il versante solivo della bassa Valtellina; si svolta a sinistra verso il cimitero e si continua in direzione delle montagne. Dalla strada vedo già la prossima parte del mio percorso, la ripida mulattiera in salita che mi porterà al paesino di Biolo.
Da Biolo, sempre in salita, seguo le indicazioni e i bolli fino a Pioda; supero anche questo piccolo abitato, che gode di una posizione davvero invidiabile con vista sul Legnone, e proseguo ancora in salita.
La tappa successiva è Lotto, che si raggiunge tramite un comodo sentiero che taglia i tornanti della strada. Anche qui, le indicazioni sono chiare e puntuali. Arrivando a Lotto il sentiero finalmente spiana un po’ e il bosco si apre per fare spazio a un bell’alpeggio con un laghetto artificiale.
Svolto a sinistra seguendo le indicazioni per Granda e approfitto di una fontana per rabboccare la borraccia. Ci sono fontane anche più in alto, ma in questa stagione sono chiuse: quella di Lotto è l’ultimo punto di rifornimento per parecchio tempo. Superato l’alpeggio, il sentiero si inerpica e si addentra di nuovo nel bosco, che nasconde solo parzialmente le prime cime della Val Masino alla mia sinistra. Mi trovo infatti sul crinale che separa questa bellissima valle laterale dalla Valtellina. Man mano che salgo verso la Cima di Granda (1708 m), si aprono scorci meravigliosi, ideali come selfie-point.
Le montagne sono davvero aride, ma d’altra parte in condizioni diverse, per esempio con tutta la neve venuta l’anno scorso, difficilmente mi sarei avventurata da queste parti in pieno inverno. Si tenga conto che qui i sentieri, anche quelli meglio segnati, sono davvero poco battuti e capita spesso di trovarli interrotti da alberi caduti, o impraticabili per la neve. In questo caso, l’unico ostacolo che incontro è un tappeto di foglie secche che ricopre i sentieri e che, in assenza di perturbazioni e di escursionisti, vi rimarrà probabilmente ancora a lungo.
Raggiungo la Cima di Granda, che definire “cima” è forse un po’ eccessivo, ma da cui la vista è semplicemente meravigliosa, e proseguo in discesa verso l’omonima Alpe.
Dalle baite proseguo in piano fino al rifugio Alpe Granda – che nonostante l’invidiabile posizione non mi sento, purtroppo, di consigliare – lungo una comoda e panoramica strada carrozzabile, dove trovo ancora qualche chiazza di neve ghiacciata e un po’ di fango. Prendo la mulattiera in salita dietro al rifugio e mi inoltro di nuovo nel bosco. Il sentiero sbuca su un’altra carrozzabile, e qui le nostre strade dovrebbero dividersi. Il mio consiglio è infatti di proseguire lungo il sentiero in discesa verso la Merla, sentiero che si prende pochi metri prima di arrivare alla carrozzabile. Io invece ho imboccato il sentiero in salita privo di indicazioni, che porta alla cresta Scermendone-San Quirico.
Completamente privo di bolli e tracce umane, il sentiero risulta sempre meno battuto man mano che mi avvicino alla cresta, fino a scomparire del tutto; alcuni tratti di neve ghiacciata mi costringono a procedere con cautela, ma tornano utili perché conservano vecchie impronte di scarponi che mi confermano di essere sul percorso giusto. Continuando a salire con la massima attenzione, riesco comunque a gustarmi questo ambiente tanto bello e selvaggio.
Ho voluto comunque mostrarvi il posto meraviglioso in cui mi sono ritrovata: un panorama del genere, per quanto mi riguarda, merita di essere conquistato a costo di qualche disagio. Se qualcuno volesse arrampicarsi quassù a dare un’occhiata, tenendo conto che sarebbe un sentiero EE (se solo ci fosse un sentiero), consiglio di arrivare alla vetta del Mercantelli e ridiscendere molto attentamente per la stessa via, oppure cercare di proseguire in cresta, pur nella totale assenza di bolli, fino alla croce del monte Scermendone. La cosa da NON fare, come sempre mi ripeto pur continuando a disattendere i buoni propositi, è seguire vaghe tracce (di animali) lontano dal filo di cresta.
In qualche modo, ammaccata, graffiata e punzecchiata, emergo dal bosco e ritrovo la noiosa carrozzabile, che dopo questa ravanata mi sembra molto meno noiosa. Torno sui miei passi e, sorpresa di impiegare non più di qualche minuto a ripercorrere in piano l’evidentemente modesta distanza che avevo coperto in cresta, vado a prendere il sentiero in discesa per la Merla.
Siamo di nuovo sul percorso “consigliato”. Raggiunto l’alpeggio, il sentiero da prendere è quello senza indicazioni che scende dritto nel bosco: va invece evitato il sentiero in costa che riporta all’Alpe Granda. La discesa nel bosco, salvo qualche breve tratto ricoperto di ghiaccio vivo, è semplice e piacevole e mi porta ben presto sulla strada che collega l’Alpe Granda con le località Our e Nansegolo, frazioni di Buglio in Monte. Dopo un paio di tornanti in discesa, all’altezza delle prime case, trovo sulla destra un sentierino che mi permette di accorciare un po’ il percorso.
Non ci sono indicazioni, ma so più o meno in che direzione andare. Certo, procederei molto più in fretta se il sentiero non fosse ricoperto da un instabile manto di foglie secche, dove mi trovo immersa, in alcuni punti, fino al ginocchio. Dopo un tratto di sentiero che mi sembrerebbe molto ripido, se non fossi da poco riemersa dalla mia epica ravanata sotto il monte Scermendone, riguadagno la strada, ora asfaltata, e sempre in discesa arrivo al bivio per Buglio in Monte.
Senza scendere a Buglio, tengo la destra e proseguo comodamente su asfalto per un altro chilometro. Incontro una galleria e, poco prima, le indicazioni della via dei Terrazzamenti. Io qui mi trovo su un terreno arcinoto, ma i cartelli gialli dei Terrazzamenti aiuteranno senz’altro i neofiti a orientarsi da qui ad Ardenno.
Sempre seguendo le indicazioni, si lascia la strada asfaltata per prendere verso sinistra la mulattiera che ne taglia i tornanti. Si passa dalle prime baite di Gaggio per poi arrivare al paesello vero e proprio, dove come al solito vengo accolta dalle facce perplesse di due alpaca.
Proseguendo in discesa, sempre su facile e panoramica mulattiera, si comincia finalmente a vedere Ardenno a pochi chilometri di distanza.
L’ultimo tratto di mulattiera è particolarmente bello con la luce calda del pomeriggio. Ben presto arrivo in paese e, con un ultimo chilometro in piano, raggiungo la macchina.