Il Campo dei Fiori è il primo massiccio montuoso che si incontra a nord di Varese, in direzione Svizzera: ideale per la stagione invernale, con i suoi sentieri facili e curatissimi a bassa quota, questo parco regionale ospita una nota gara di corsa in montagna e offre un fantastico terreno di allenamento non solo per il trail, ma anche per la mountain bike.
Il giro che vi propongo, facile e veloce, parte dal lido di Gavirate, uno dei punti più belli del lago di Varese. Il parcheggio del lido è a pagamento, ma c’è un parcheggio gratuito poco distante, all’area sosta camper di Gavirate. All’arrivo, troverete diversi bar con vista lago dove concedervi una meritata birretta!
Partenza dal lido di Gavirate.
Dal lido si percorre brevemente la pista ciclopedonale e si costeggia l’area sosta camper per risalire verso il centro di Gavirate. Si prende verso destra via Trinità, che porta al parcheggio parco Morselli (attenzione a un brutto attraversamento di strada). Qui è dove potete parcheggiare, se trovate posto, nel caso preferiate evitare l’asfalto e accorciare di qualche chilometro il giro.
Dal parcheggio si prende una stradina sterrata a tornanti in salita che supera le ultime case e porta nel bosco. Ci sono tante indicazioni e diversi sentieri non indicati, per cui consiglio di seguire la traccia gpx più che i cartelli.
Sentiero facile e corribile.
La prima parte di salita è decisamente corribile. Ci sono diverse opzioni per salire al forte di Orino: il mio percorso alterna tratti molto semplici e puliti, frequentati anche dalle mountain bike, a sentieri più ripidi e sconnessi, tutti comunque escursionistici e privi di pericoli (a parte forse i cacciatori).
Capirete di essere quasi arrivati al forte quando vi troverete in una zona di bosco morta, devastata da un parassita.
Alberi morti nella parte più alta del percorso.
Superato questo tratto un po’ triste, il sentiero emerge su una pista tagliafuoco e un’ultima salitella, chiaramente indicata, porta al forte. Non aspettatevi una costruzione: del forte di Orino è rimasto poco più di un muretto. La vista, in compenso, è spaziale: dal lago Maggiore al lago di Varese, con tutto l’arco alpino dal Monviso al Legnone. Il monte Rosa, in particolare, troneggia poco oltre il lago.
Lago Maggiore e monte Rosa.
Per scendere, prendo il sentiero 302, in questo periodo un po’ insidioso per la quantità di foglie secche che lo ricoprono, ma normalmente piuttosto semplice. Anche in discesa ci sono diverse opzioni e consiglio di seguire semplicemente la traccia.
Quando mancano 2-3 km all’arrivo, si torna sul sentiero dell’andata e non bisogna fare altro che ripercorrere i propri passi fino al lago.
Era da un po’ che lo puntavamo, e finalmente siamo riuscite a ritagliarci tre giorni per esplorare questo cammino dal nome evocativo, un po’ fuori mano, certo, per chi arriva dal nord Italia, ma decisamente all’altezza della sua fama. I paesaggi e il silenzio delle selvagge montagne abruzzesi, insieme all’accoglienza calorosa riservataci dai locals, valgono bene la trasferta e qualche sbattimento.
Le Martas sul Cammino dei Briganti
Il team delle Martas, quest’anno troppo indietro con la preparazione atletica per affrontare più di ottanta chilometri di corsa, ha pensato bene di caricare gli zaini con tenda, sacco a pelo, provviste e fornelletto, e di partire per una volta in modalità trekking. Ma queste facili mulattiere con pendenze modeste sarebbero il terreno ideale per un ultratrail: se vi serve un “lunghissimo” in preparazione a qualche gara, tenete in considerazione questo percorso, che con il giusto allenamento si potrebbe fare di corsa, senza ammazzarsi, forse in quindici ore o anche meno. Lungo tutto il cammino si trovano fontane, che però possono essere chiuse nel pomeriggio o la sera. Non si trovano cestini o cassonetti per la spazzatura se non nei paesi più grandi nella seconda metà del cammino, da Magliano de’ Marsi in poi.
Le principali informazioni sul Cammino dei Briganti, un percorso ben segnato e in ottime condizioni, si trovano su questo sito. Come vedrete, ci sono alcune varianti e il tempo di percorrenza consigliato è di sette giorni. Io vi propongo qui il giro come l’abbiamo fatto con Marta, dato che la nostra organizzazione ci è sembrata ragionevole: partite in auto da Milano alle 7 del venerdì mattina, abbiamo attaccato il cammino verso le 14,30, percorrendo 22 km prima di piantare la tenda a Villerose; il sabato ci siamo sparate 44 km da Villerose a Scurcula Marsicana passando per il lago della Duchessa – l’unico punto di vera montagna, dove si concentra la maggior parte del dislivello; infine la domenica abbiamo percorso gli ultimi chilometri, raggiungendo la macchina prima di mezzogiorno e riuscendo a tornare a Milano a un’ora accettabile.
Il lago della Duchessa (1788 m)
La partenza è da Sante Marie, in realtà l’unico dei paesi del cammino che non abbiamo attraversato: abbiamo infatti parcheggiato vicino alla stazione, a fondovalle rispetto al centro del paese, e lì ci siamo fermate alla fine del giro, tagliando forse un paio di chilometri e un centinaio di metri di dislivello rispetto al percorso “corretto”. La prima tappa è S. Stefano, un grazioso paesino ad appena 5 km dalla stazione di Sante Marie, ed è qui che ci dirigiamo seguendo le indicazioni. Dopo un primo tratto di salita, la pendenza diminuisce e il cammino diventa facile e piacevole.
Raggiungiamo ben presto S. Stefano e facciamo un primo rifornimento d’acqua. Nonostante sia pomeriggio, le fontane sono ancora aperte: a quanto pare in questo periodo vengono chiuse solo di sera. Il paese successivo è Poggiovalle, un posto davvero suggestivo, semi deserto e circondato solo da natura e silenzio.
Poggiovalle
Da qui si scende in direzione Nesce, da cui però non passiamo: prima di arrivare in paese, il cammino devia tutto a destra e ci porta in un ampio pianoro ai piedi di Poggiovalle.
Pianoro ai piedi di Poggiovalle
Dopo un paio di chilometri completamente in piano, immerse nel silenzio più totale, incontriamo un gregge di pecore accompagnato da cani pastore (in questo caso poco aggressivi, ma fate attenzione!) e arriviamo in vista di Villerose, dove abbiamo intenzione di passare la notte.
Pecore al pascolo, Villerose sullo sfondo
Le indicazioni qui non sono chiarissime, ma il paese è sempre visibile e in qualche modo lo raggiungiamo. Il problema, ora, è recuperare dell’acqua per la cena. Non troviamo fontane e il paese è completamente deserto. Lo attraversiamo (non ci vuole molto) e finalmente intravediamo una persona in lontananza: allunghiamo il passo e raggiungiamo il simpatico signor Alberto, che si fa davvero in quattro per aiutarci. La fontana è poco più avanti, dice, ma a quest’ora ormai è chiusa. Nessun problema, ci darà lui un paio di bottiglie d’acqua. Ci sconsiglia di piantare la tenda nel bosco, ci sono gli animali!, meglio accamparci nel campo da calcio abbandonato in mezzo al paese, dove non ci disturberà nessuno. Anzi, va lui stesso a informare i vicini, che approvano e si rendono disponibili per qualsiasi ulteriore necessità. Riconoscenti per tutta questa gentilezza, non ci poniamo problemi e ci sistemiamo nel campo da calcio (“in mezzo, eh! non sui lati”) come indicato dai simpatici abitanti di Villerose.
Accampamento nel campo da calcio di Villerose
Dormire in mezzo a un prato dall’erba alta, lontano da qualsivoglia edificio, albero o altra forma di riparo, non è in realtà un’idea geniale, ma ce ne rendiamo conto solo qualche ora più tardi, quando ci ritroviamo nel sacco a pelo a battere i denti con la tenda che gocciola per l’umidità. Niente, per questa notte è andata così. Con le prime luci raccogliamo faticosamente le nostre cose – la tenda e i sacchi a pelo sono fradici, ma ci riproponiamo di farli asciugare più tardi, quando il sole sarà alto – e ci prepariamo la colazione con l’ultima acqua del signor Alberto. Altri signori del paese, che stanno andando a raccogliere funghi, si fermano a fare due chiacchiere mentre ci riscaldiamo con un bel nescafè e un muesli dal gusto discutibile. Infine salutiamo tutti e ci mettiamo in marcia.
Di nuovo in cammino
Con qualche saliscendi tra piacevoli sentieri e strade sterrate, con un passaggio in una palude di fango breve, ma sufficiente a bagnarci e inzaccherarci completamente i piedi, arriviamo a Spedino, dove troviamo una fontana funzionante, e proseguiamo per Cartore. Tutte le nostre speranze di procurarci qualcosa per pranzo si concentrano su questo paesino, che vanta persino una locanda.
Entriamo nella riserva della Duchessa
Una enorme scritta in 3D ci avverte che stiamo entrando nella riserva della Duchessa. Di fronte a noi si stagliano le montagne che stiamo per affrontare. Sappiamo che a Cartore comincerà la sola vera salita del percorso, circa 1000 m D+ per arrivare al lago della Duchessa.
Cartore
Arriviamo a Cartore e per la prima volta troviamo un piccolo affollamento: c’è infatti chi arriva qui in auto per un trekking al lago della Duchessa. Troviamo una fontana e un piccolo ristoro, la locanda dei Casali di Cartore, i cui gentilissimi gestori ci preparano dei panini, ci danno informazioni sulla presenza di acqua lungo il percorso e ci permettono persino di gettare nei loro bidoni la spazzatura che, in mancanza di cassonetti, abbiamo portato fin qui. Ci viene indicata una fonte poco prima del lago, per cui decidiamo di riempire solo una borraccia a testa.
Salita per il lago della Duchessa
Alla fine la salita è tutta all’ombra e non abbiamo neanche la necessità di fermarci a cercare la fonte prima del lago. Marta zampetta tranquilla nonostante lo zaino, mentre io, che non sono abituata a fare dislivello con tutto questo peso sulle spalle, trovo la salita particolarmente faticosa. Poco male, ben presto ci ritroviamo fuori dal bosco e circondate da montagne bellissime. Abbiamo superato gli altri escursionisti, per cui ci godiamo il panorama in perfetta solitudine!
Il lago della Duchessa
La parte più bella, in realtà, è quella dopo il lago, che tanti saltano per tornare a Cartore, dove lasciano lo zaino, e riprendere il cammino da lì. Io consiglio caldamente di sopportare il peso dello zaino e fare tutto l’anello, superando il lago della Duchessa (1788 m) e raggiungendo il passo (di cui non mi è chiaro il nome) a poco meno di duemila metri di altezza, scendendo da lì a Rosciolo de’ Marsi senza ripassare da Cartore.
Il punto più alto del percorso
Una distesa di crochi e le ultime chiazze di neve ci accompagnano verso il passo, il vocio degli altri escursionisti ormai lontano dietro di noi. Non incontreremo anima viva, salvo un branco di cinghiali, per i prossimi 10 km.
Vista spettacolare dal valico
Cominciamo la lunga discesa per Rosciolo de’ Marsi. Non c’è nessuna indicazione e il sentiero sembra davvero poco battuto, ma è comunque evidente. Il primo tratto è un po’ scosceso, anche se la classificazione dell’itinerario come EE ci è parsa eccessiva, almeno adesso che non c’è neve.
In discesa lungo un sentiero poco battuto
Perdiamo circa cinquecento metri e la pendenza si fa sempre più dolce, mentre il sentiero si trasforma in strada sterrata. Alla fine della discesa, svoltiamo a sinistra verso Rosciolo de’ Marsi e cominciamo l’ultima salita di oggi, circa 200 m D+, particolarmente faticosa per il caldo. Sono infatti le 14 e stiamo aspettando di trovare una fontana per concederci finalmente la nostra pausa pranzo con i panini acquistati a Cartore.
Cavalli al pascolo
La salita ci porta a un bell’altopiano coronato dalle montagne, dove incontriamo magnifici cavalli al pascolo – una costante da queste parti – e persino un paio di umani. Scendiamo ora verso Rosciolo e, poco prima di raggiungere il paese, troviamo la sospirata fontana davanti alla chiesa romanica di Santa Maria in Valle Porclaneta.
Chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta
Prima di tirare fuori i panini, stendiamo tenda e sacchi a pelo sul sagrato della chiesa: basta una mezz’oretta sotto il sole e asciuga tutto! L’acqua fresca, poi, è davvero un toccasana dopo il caldo degli ultimi chilometri. Chi volesse fare il giro in due giorni, o comunque dividere diversamente il percorso, può pensare di accamparsi qui: il posto è ideale e la fontana comodissima.
La felicità: acqua fresca e panino!
Ci rimettiamo in cammino e, superata Rosciolo, per facili strade bianche raggiungiamo Magliano de’ Marsi, che rispetto ai paesi attraversati finora ci sembra una metropoli.
Verso Magliano de’ Marsi
Qui troviamo negozi, ristoranti e bar, ma siamo intenzionate a proseguire fino al paese successivo, Scurcula Marsicana. A questo punto io ho le vesciche ai piedi e l’idea fissa di una birra gelata, per cui è Marta a preoccuparsi della strada da seguire e del posto per piantare la tenda. Pare che ci siano due varianti, entrambe indicate come Cammino dei Briganti: noi scegliamo appunto quella che passa da Scurcula Marsicana. In paese troviamo le fontane chiuse, ma in un negozio di alimentari facciamo scorta di acqua, succo di frutta e birra (yeah!).
Birretta meritatissima
Dopo 44 km la birra ce la ben siamo meritata, no? Per di più in questo paese ci sono cestini e cassonetti per la raccolta differenziata, per cui non dobbiamo neanche portarci dietro le bottiglie vuote. Stanche ma ormai serene con i nostri tre litri d’acqua, principale preoccupazione per la sera, proseguiamo lungo il cammino superando Scurcula Marsicana e cominciando a cercare un posto per la tenda. Troviamo una casa abbandonata con un giardinetto riparato, seppure infestato dalle ortiche, che sembra fare al caso nostro. Per sicurezza ci confrontiamo con il proprietario della casa accanto e, per non farci mancare niente, anche con l’autista di un trattore di passaggio: niente, pare che la nostra presenza non dia fastidio a nessuno, siamo anzi le benvenute.
Scurcula Marsicana all’imbrunire
Ci sistemiamo nel giardinetto abbandonato e, sul ciglio della strada, Marta prepara la cena mentre io con ago e filo mi occupo delle mie vesciche. Il riso con gli sgombri sembra più buono del normale dopo questa lunga giornata in cammino.
Accampamento a Scurcula Marsicana
Riparato è riparato, ma con la temperatura non è che vada molto meglio di ieri. “Non è il freddo, è l’umidità” è diventato il Leitmotiv del weekend. Se proprio vogliamo vedere il lato positivo della seconda notte in bianco, all’alba siamo già pronte con il nostro nescafè e riusciamo a metterci in cammino davvero presto. Dopo un facile tratto di strada, arriviamo al bivio con indicazioni per Le Crete, da cui non dobbiamo passare; prendiamo invece il sentiero a destra per San Donato, dove finalmente vediamo le prime indicazioni anche per Sante Marie.
Sentiero per San Donato
Raggiungiamo il paese, dove troviamo una fontana, e proseguiamo in salita lungo l’antica mulattiera che una volta portava alla rocca di San Donato. Oggi non sono rimasti che dei ruderi, ma il percorso è davvero suggestivo.
Mulattiera da San Donato verso l’antica rocca
Seguiamo il cammino che si inoltra tra un gruppo di case abbandonate ma, poco dopo, perdiamo di vista il segnavia e proseguiamo un po’ a caso lungo un sentiero non proprio battutissimo. Il percorso è comunque molto panoramico e ci riporta ben presto sulla retta via all’altezza dei ruderi dell’antico castello.
Errore di percorso, comunque panoramico
Dopo i ruderi comincia la discesa. Siamo in un ambiente collinare ma davvero bello e selvaggio, immerso nel silenzio e popolato solo da animali al pascolo.
Selvagge colline tra San Donato e Scanzano
I paesi successivi sono Scanzano e poi Tubione: in entrambi troviamo fontane e precise indicazioni. Ormai la nostra meta, Sante Marie, è davvero vicina!
Tubione
Da Tubione scendiamo a fondovalle e ben presto ci ritroviamo accanto ai binari della ferrovia dove abbiamo lasciato la macchina. Sante Marie si erge poco più in alto sulla nostra sinistra, ma a questo punto il giro è praticamente finito e decidiamo di tagliare l’ultimo pezzo. Approfittiamo di un sottopasso per attraversare i binari e arriviamo alla stazione di Sante Marie, stanche ma decisamente soddisfatte!
La Liguria è una delle mie regioni preferite per correre in inverno: con il suo clima mite e i suoi spettacolari sentieri a picco sul mare, è la meta ideale per una gita in maniche corte, lontano dal freddo e dalla nebbia di Milano ma pur sempre a un paio d’ore d’auto. Per inaugurare la stagione trail 2022, il team Martas ha scelto la meravigliosa penisola di Portofino.
Il team Martas, per una volta in spiaggia
Il parcheggio di riferimento è davanti al santuario di Nozarego, poco fuori da Santa Margherita Ligure. Noi siamo arrivate verso le 10,30 e non abbiamo avuto problemi a trovare posto, mentre al ritorno, nel pomeriggio, il parcheggio era pieno. Partendo dal santuario, siamo già praticamente sui sentieri e non vediamo l’asfalto se non per pochi metri.
Il santuario di Nozarego
Qualche informazione di servizio: quasi tutto il percorso si svolge su facile sentiero, ma la parte più bella è un sentiero attrezzato (EE) con qualche punto un po’ esposto; non è assolutamente difficile, ma non è indicato per chi soffre di vertigini. Per quanto riguarda i punti acqua, ce ne sono diversi: noi abbiamo portato due flask piene per essere autonome, ma una sarebbe stata più che sufficiente. Nonostante si trovino molte indicazioni lungo il percorso, infine, consiglio di scaricare la traccia gpx, perché si incrociano davvero tanti sentieri e i cartelli da soli non bastano.
Il golfo di Santa Margherita visto da Nozarego
Per cominciare il giro, si passa sotto l’arco del santuario e si va a prendere la scalinata in salita in direzione Monte Croci di Nozarego. Si prende il secondo sentiero verso destra e, sempre seguendo le indicazioni e i bolli, senza difficoltà si sale fino alla cima di questo primo panettone – Monte Croci di Nozarego, 391 m. I sentieri sono molto curati e, in questo tratto, accessibili anche alle mountain-bike. Si prosegue poi lungo la strada in discesa, che ben presto diventa una bella mulattiera, in direzione San Rocco.
Mulattiera in direzione San Rocco
Abbandoniamo la mulattiera per prendere, sulla sinistra, il sentiero che sale verso il monte di Portofino, che con i suoi 610 m rappresenta il punto più alto del giro. La salita è davvero piacevole, su sentiero pulitissimo e mai troppo ripido.
Salita per il monte di Portofino
La cima non è altro che un’ampia radura nel bosco, dove ci fermiamo giusto il tempo di metterci in maniche corte: il sole è caldo e la temperatura davvero primaverile. Attraversiamo la radura e, dalla parte opposta a quella da cui siamo arrivate, prendiamo il facile sentiero in discesa, privo di indicazioni, che in un attimo ci riporta sulla mulattiera per San Rocco. Qui troviamo la prima fontanella, ma abbiamo le flask piene e tiriamo dritto. Prendiamo poi il sentiero tutto a sinistra che scende verso San Rocco, con la vista che finalmente si apre sul mare e sul golfo di Camogli.
Discesa verso San Rocco
Comincia ora la parte più bella del giro, il sentiero che collega San Rocco a San Fruttuoso. A San Rocco troviamo un’altra fontana, ma anche qui non abbiamo bisogno di fermarci. Alla fine della discesa, con una curva a gomito svoltiamo tutto a sinistra e cominciamo a percorrere una stradina in cemento più o meno pianeggiante, tenendo il mare alla nostra destra e seguendo ora le indicazioni per San Fruttuoso. La stradina si trasforma ben presto in un sentiero e un cartello avverte dell’inizio del tratto EE.
Inizio del sentiero per San Fruttuoso
Se già nel bosco abbiamo incontrato diversi escursionisti, questo tratto così panoramico risulta quasi sovraffollato. Per fortuna abbiamo trovato per lo più gruppi di persone molto educate, che vedendoci arrivare di corsa si sono fatte da parte e ci hanno lasciato passare senza brontolare.
Il sentiero attrezzato, EE ma molto facile
Da San Rocco si percorrono circa 4 km di saliscendi, molto divertenti oltre che panoramici, dove i tratti attrezzati si alternano a facili e corribilissimi tratti su sentiero.
Uno dei punti più panoramici
Alla fine del sentiero attrezzato, una noiosa ma breve salita nel bosco ci fa superare l’ultimo promontorio che ci separa dalla baia di San Fruttuoso, che finalmente raggiungiamo con una bella discesa.
La baia e l’abbazia di San Fruttuoso
La spiaggetta davanti all’abbazia, un vero gioiello raggiungibile solo a piedi o in traghetto, è piena di gente che si gode la bella giornata. Attraversiamo la spiaggia e prendiamo la scalinata che sale dalla parte opposta, seguendo le indicazioni per Torre Doria. Da qualche parte manchiamo un bivio e, senza volerlo, aggiungiamo un po’ di salita al nostro giro arrivando fino all’Agririfugio Molini.
Agririfugio Molini
La deviazione comunque ci piace: ci godiamo un’ultima immagine della baia di San Fruttuoso dall’alto e ci facciamo indicare da un altro runner il sentiero per Base Zero, dove ci ricongiungeremo al percorso che avevamo in mente. A un bivio, dove Base Zero è indicata sia a destra sia a sinistra, prendiamo il sentiero verso destra e con un mezzo chilometro di facile discesa raggiungiamo questo piccolo bivacco o area picnic – non abbiamo capito esattamente che cosa sia.
Discesa verso Base Zero
Da qui prendiamo il sentiero verso sinistra che, con qualche saliscendi, ci porta a un gruppetto di case servite da una strada in cemento. Troviamo anche qui una fontana e questa volta ne approfittiamo per rinfrescarci prima degli ultimi chilometri. Prendiamo poi la strada in discesa e proseguiamo fino a trovare le indicazioni per Nozarego.
Ricompare il golfo di Santa Margherita
Gli ultimi 3 km sono più o meno pianeggianti, con qualche saliscendi, su stradine e mulattiere. Nozarego è sempre indicata e ben presto compare anche il santuario, a indicare il punto esatto in cui abbiamo parcheggiato. Il tempo di cambiarci e siamo in spiaggia a Santa Margherita, a goderci il sole, il mare e la meritata birretta!
Rifugio “Il Pirata” (Tartano) – Passo di Tartano (2108 m) – Cima di Lemma (2348 m) – Passo di Lemme (2137 m) – Laghetto Cavizzola – Sentiero 101 o delle Orobie occidentali – Forcella Rossa (2055 m) – 3° Lago di Porcile ( 2095 m) – Passo di Porcile (2290 m) – Sentiero 201 verso Foppolo – Strada di Dordona – Montebello (Terrazza Salomon) – Lago delle Trote – Passo Dordona (2061 m) – Sentiero 201A – Bocchetta dei Lupi (2316 m) – 2° Lago di Porcile (2030 m) – Rifugio “Il Pirata”.
Periodo: Agosto 2021
Partenza: Rifugio “Il Pirata”, località Arale, Tartano
Finalmente in ferie, Tony e le Martas non hanno dubbi su come inaugurarle: una bella cavalcata orobico-valtellinese, alla scoperta di nuovi sentieri per concatenare valli più o meno note, è proprio quello che ci vuole!
Tony e le Martas alla terrazza Salomon
Tony e Marta arrivano da Bergamo, io (l’altra Marta) sono ormai valtellinese d’acquisizione: loro partono dal rifugio S.A.B.A., nella bergamasca, per una traversata di oltre 40 km, mentre io lascio l’auto al rifugio “Il Pirata”, sopra Tartano, per un giro ad anello come piace a me. Decidiamo di trovarci alla terrazza Salomon, Montebello, nel primo pomeriggio, per condividere l’ultima parte del giro e una cenetta al rifugio.
Alpe Arale e rifugio “Il Pirata”, val Tartano
Parto con calma, forse troppa (sono le 9 passate quando parcheggio al Pirata), in direzione del passo di Tartano. Ho visto dalle mappe che ci sono dei sentieri alternativi rispetto a quello più frequentato per i laghi di Porcile e, non avendo fretta, decido di andare in esplorazione. Scendo dunque dal rifugio alla strada carrozzabile sottostante e la percorro brevemente seguendo il corso del torrente fino a trovare sulla destra un ponticello.
Si attraversa il torrente Tartano
Non ci sono indicazioni se non quelle, opposte, per i laghi di Porcile. Si attraversa il torrente e si prosegue dall’altra parte. Il sentiero c’è, è anche relativamente battuto (dalle mucche), ma non è bollato e bisogna fare attenzione a non perderlo di vista. Certo, non si può procedere troppo spediti su questo terreno, ma in compenso ci si gode la pace di una valle deserta, le distese di mirtilli, i ruscelli gorgoglianti e le marmotte che scorrazzano indisturbate. Consiglio caldamente, per questo e altri tratti, di usare la mia traccia gpx.
Il sentiero c’è, anche se non sempre si vede
Attenzione a un bivio, dove il sentiero più intuitivo sembra essere quello che va a sinistra attraversando un ruscello, mentre bisogna prendere quello in salita verso destra. Senza la traccia gpx avrei sbagliato di sicuro. Finalmente il bosco finisce e vedo in lontananza, sopra di me, la croce del passo di Tartano.
Il passo di Tartano
Vedo il passo, sì, ma in compenso perdo di vista il sentiero, complici anche i mille ruscelli e rigagnoli che si sono formati dopo le piogge torrenziali dei giorni scorsi. Pazienza, la pendenza non è eccessiva e salgo dritto per dritto tra mirtilli e rododendri, cercando di tenere i piedi il più possibile asciutti. Incrocio infine un sentiero, anch’esso poco visibile ma segnato, che scopro poi essere l’alta via della Val Tartano.
Seguo i bolli dell’alta via della Val Tartano
Seguendo questi bolli bianco-rossi arrivo a una casera, dove appunto trovo le indicazioni dell’alta via, e proseguo in salita fino al passo di Tartano (2108 m), crocevia di sentieri.
Il passo di Tartano
Per i prossimi 5 km seguirò il percorso della GVO (Gran Via delle Orobie), un altro sentiero spesso poco indicato, dove facilmente si perde l’orientamento. In questo tratto, in realtà, basta seguire il filo di cresta in salita passando per le antiche trincee della linea Cadorna fino alla cima di Lemma (2348 m) e da qui in discesa fino all’omonimo passo.
In cresta dalla cima di Lemma al passo
Dal passo di Lemme si prosegue in piano, seguendo il sentiero – quando c’è – o in alternativa cercando i bolli sparsi qua e là sulle roccette. Utile, anche qui, la traccia gpx.
La GVO prosegue con traccia poco evidente
Dopo un ultimo tratto in salita bisogna scendere tutto a sinistra. A ben guardare c’è una piccola freccia con la scritta “GVO” nascosta dietro un sasso, ma senza la traccia gpx avrei certamente proseguito dritto. Il sentiero è ora più evidente e comincio a scendere spensierata, senza più fare caso ai bolli. Naturalmente questo mi porta subito fuori strada e davanti a una baita, detta “del Mondo” (Raimondo).
Baita del Mondo, leggermente fuori percorso
Poco male, vedo il sentiero più in basso e lo raggiungo, continuando a scendere fino all’alpe Cavizzola. Qui trovo le indicazioni per il laghetto Cavizzola, che è la mia prossima tappa. Non ho capito a che punto ho abbandonato la GVO ma, sapendo di dover passare da questo laghetto, senza farmi troppe domande proseguo di buon passo, ora su facile sentiero. Al laghetto, dove trovo anche una fontana, mi fermo per fare merenda con la mia “cupeta” valtellinese.
La tradizionale “cupeta” valtellinese
Dovrei ora prendere il sentiero 101, o sentiero delle Orobie occidentali, di cui però al laghetto non trovo traccia. Vedo solo un sentiero 111 in discesa e lo seguo fino a quando diventa evidente che mi sto allontanando troppo dal 101. Interpreto una croce su un sasso e una leggerissima traccia nell’erba come un segno del destino e, per una volta, la fortuna mi assiste: risalendo per i prati raggiungo infatti una casera e, finalmente, il sentiero delle Orobie occidentali.
Finalmente sul sentiero 101
Adesso è tutto facile: il 101 è sempre ben segnato e mi permette di procedere spedita – anche perché un’occhiata all’orologio mi dice che è il caso di darmi una mossa! A un breve tratto in salita, che culmina alla Forcella Rossa (2055 m), segue una discesa e poi un lungo e corribilissimo tratto in piano. Si passa per alcuni alpeggi intorno ai 1800 m di quota e, in basso, si vede San Simone. Riprende la salita e di nuovo mi trovo a guardare, sia pure da una diversa prospettiva, la croce del passo di Tartano.
Il passo di Tartano dal sentiero 101
Senza arrivare al passo, salgo verso destra in direzione dei laghi di Porcile e vado a prendere il sentiero 201 (il 101 non ho capito che fine abbia fatto) che passa per il 3° lago di Porcile e sale all’omonimo passo.
Verso i laghi e il passo di Porcile
Questa zona è decisamente frequentata, rispetto a quelle semi-deserte da cui sono passata finora. Superando una distesa di bagnanti intenti a prendere il sole, salgo di buon passo verso la bocchetta. Il sentiero è sempre facile, anche se sto attraversando una pietraia dall’aspetto suggestivo e selvaggio.
Pietraia verso il passo di Porcile
Salendo mi trovo a un bivio: a destra il sentiero 201 per il passo di Porcile e Foppolo, a sinistra il 201A per la bocchetta dei Lupi e il rifugio Dordona. Da qui arriverò più tardi con i miei amici, quindi ora prendo il sentiero a destra e in un attimo sono al passo di Porcile (2290 m).
La discesa verso Foppolo
Comincio a scendere verso Foppolo: il sentiero all’inizio è ripido e richiede attenzione, poi migliora un po’ man mano che si perde quota. Una volta a fondovalle, le indicazioni da seguire sono quelle per il passo Dordona, prima lungo un facile sentiero nel bosco e poi su strada – bisogna prendere la cosiddetta “Strada Dordona”, una noiosa carrozzabile in salita. Dalla carrozzabile si stacca poi il sentiero per Montebello.
Si prende il sentiero per Montebello
Passando sotto la seggiovia, risalgo fino alla terrazza Salomon (o rifugio Montebello), dove mi aspettano Marta e Tony. Sono in ritardo sulla tabella di marcia: speravo di arrivare qui per le 14 e invece sono quasi le 15,30! Ho perso parecchio tempo a orientarmi nell’erba alta tra la GVO e il sentiero 101. Pazienza, ora sono con i miei amici: ci manca una decina di chilometri con non più di 500 m di dislivello, per cui possiamo prendercela con calma.
Verso il passo Dordona
Ci incamminiamo dunque in leggera salita verso il passo Dordona, passando per il piccolo e affollato lago delle Trote. Dal passo prendiamo la strada carrozzabile in discesa verso il rifugio Dordona, che vediamo chiaramente più in basso, anche se non ci arriveremo: prima del rifugio, infatti, vediamo sulla sinistra le indicazioni per il sentiero 201A e la bocchetta dei Lupi. A sorpresa, ci ritroviamo ancora sulla GVO!
In salita verso la bocchetta dei Lupi
La salita è lunga, ma non eccessivamente ripida, e le montagne illuminate dalla luce calda del pomeriggio ci ripagano di tutta la fatica. Arrivati alla bocchetta (2316 m), la vista si apre di nuovo sui laghetti di Porcile, che da questa nuova prospettiva sembrano ancora più belli.
Vista dalla bocchetta dei Lupi
Da qui è tutta discesa, prima su sentiero ripido e sdrucciolevole, poi su morbidi prati dove pascolano mucche isteriche e teneri vitelli.
2° lago di Porcile con vitelli al pascolo
Si continua a scendere in direzione Alpe Arale, Tartano. Abbiamo trovato il sentiero allagato dalle recenti piogge, cosa che ci ha rallentato un po’. Normalmente si tratta di una discesa noiosa, ma semplice e veloce.
Quasi arrivati, ci pregustiamo la birra
Gli ultimi chilometri sono, come sempre, i più faticosi. Ma finalmente raggiungiamo il rifugio, i cui fantastici gestori per nostra fortuna accettano di rifocillarci con un’ottima pasta alla bresaola, oltre naturalmente alla meritatissima birra!
Un percorso fantastico, facile e corribile, lungo le antiche gallerie del Tracciolino con lo sfondo del lago di Mezzola, della val Codera, del Legnone e poi della meravigliosa valle dei Ratti.
Il Tracciolino è sempre una buona idea! Soprattutto in inverno, quando si cerca un percorso facile e sicuro senza per questo rinunciare a uno sfondo di cime innevate e paesaggi mozzafiato.
La partenza di questo giro, che coincide in buona parte con il percorso del Tracciolino Trail, è da Verceia, sul lago di Mezzola. Arrivando dalla SS36, si parcheggia dopo il ponte e poco prima del tunnel, all’imbocco di via San Francesco. Questo parcheggino, dove al mattino si trova posto senza problemi, sembra fatto apposta per noi, trovandosi accanto al sottopasso che ci permette di attraversare la statale portandoci sul lungolago.
Il lago di Mezzola
Seguiamo il lungolago per circa 4 km fino a Novate Mezzola. Abbandoniamo qui la pista ciclo-pedonale (e la pianura) e ci inoltriamo su per il paese seguendo le indicazioni per la Val Codera. Dopo poco più di un chilometro la strada finisce e comincia, sulla sinistra, la ripida e panoramica scalinata che porta verso Codera.
La scalinata per Codera
Si guadagnano d’un fiato 500 metri di quota, mentre la vista si apre via via sul lago di Mezzola, alle nostre spalle, e sulla bellissima val Codera, di fronte a noi. Del sole, per ora, non c’è traccia, e io e super Tony battiamo i denti nonostante la salita con pendenza del 30-40%.
La vista si apre sul pian di Spagna e il lago di Mezzola
Arrivati al mini borgo di Avedè (790 m) tutti i disagi svaniscono come per magia: il sentiero spiana e il sole finalmente si fa vedere!
Il sentiero spiana dopo Avedè
Adesso sì che si ragiona: con le gambette calde e lo spettacolo delle vette innevate che si stagliano contro il cielo blu riprendiamo a correre, superando una galleria piuttosto umida e raggiungendo infine Codera (825 m).
Ultima salitella per Codera
Attraversiamo il paese e sulla destra troviamo subito le indicazioni che ci interessano, quelle per il Tracciolino.
Le indicazioni per il Tracciolino
Seguiamo i cartelli, davvero senza nessuna possibilità di errore, in discesa fino al ponte che attraversa il torrente Codera e poi in leggera salita fino al Tracciolino. Il sentiero è facile e ci permette di guardarci intorno: di fronte abbiamo sua maestà il Legnone, mentre alle nostre spalle si aprono scorci molto belli su Codera.
Ultimo scorcio su Codera e l’omonima valle
Raggiunto il Tracciolino, ci aspettano 8-9 km di corsa completamente in piano. Tratti al sole si alternano a gelidi tratti in ombra, con colate di ghiaccio qua e là. Abbiamo portato i ramponcini, ma per il momento non sono necessari: i punti esposti sono tutti ben protetti.
Si corre in piano lungo il Tracciolino
All’altezza di San Giorgio, notiamo che il percorso della gara scende fino al paesino, per tornare a riprendere il sentiero principale un paio di chilometri dopo. Noi ci risparmiamo la fatica e proseguiamo in piano, riservandoci di ammirare San Giorgio dall’alto un po’ più avanti.
Vista panoramica su San Giorgio
Le gallerie da qui in poi richiedono l’uso della frontale, soprattutto l’ultima che è lunga ben 360 metri.
Frontale alla mano, ci inoltriamo nelle gallerie
Alla fine di quest’ultimo tunnel si svolta a sinistra e si prosegue ancora per un paio di chilometri lungo i binari, fino a incontrare la strada che scende a Verceia e il sentiero che sale verso Frasnedo.
La salita per Frasnedo
Ci aspetta l’ultima salita, circa 400 m di dislivello che guadagniamo senza troppa fatica lungo un bel sentiero panoramico. Qui peraltro troviamo diverse fontane, tutte aperte anche in pieno inverno. La val dei Ratti si spalanca ora in tutto il suo splendore e, superati i 1000 m di quota, cominciamo a calpestare chiazze di neve.
Frasnedo e la val dei Ratti
A Frasnedo, che con i suoi 1287 m è il punto più alto del giro, la neve è tanta, ma ammorbidita dal sole: anche qui i ramponcini rimangono al loro posto nello zainetto.
Attraversiamo il paesino innevato
Superiamo il paesino e, poco oltre, il rifugio Frasnedo, proseguendo in piano e poi in leggera discesa lungo l’ampio sentiero innevato che si inoltra nella val dei Ratti.
Ultimo sguardo sulla val dei Ratti prima della discesa
Troviamo sulla destra le indicazioni per Verceia e cominciamo a scendere verso il torrente che si sente già scrosciare a fondovalle. E finalmente arriva il momento di dare un senso ai ramponcini che ci siamo portati fin qua: il sentiero è tutto in ombra e la neve è ghiacciata, per cui un po’ di grip non guasta.
Attraversiamo il torrente a fondovalle
Attraversiamo il torrente e proseguiamo sull’altra sponda. Ancora qualche centinaio di metri e il sole torna a riscaldarci! La discesa adesso è semplice e rilassante.
La diga in località Casten
Arriviamo in località Casten, attraversiamo la diga e torniamo sui binari del Tracciolino, che seguiamo fino a raggiungere la strada già incrociata prima.
Ultimo tratto di Tracciolino
Affrontiamo ora l’ultima discesa fino a Verceia, seguendo il sentiero, facile e bene indicato, che taglia i tornanti della strada.
La discesa per Verceia
In circa 3 km siamo al parcheggio, pronti per la meritata birretta in riva al lago!
Un giro semplice e appagante che comincia a Forcola lungo l’Adda, seguendo il sentiero Valtellina (7 km), per poi inerpicarsi a Berbenno fino a raggiungere la via dei terrazzamenti. Si segue questo sentiero super panoramico passando per i borghi di Regoledo, Maroggia, Buglio in Monte, Gaggio. Si scende poi verso Ardenno e si riprende per un breve tratto il sentiero Valtellina per tornare a Forcola.
Avete presente quelle domeniche di gennaio, quando il cielo azzurro, l’aria frizzante e il tepore di un pallido sole invernale attraggono inesorabilmente verso le montagne? Ecco, può darsi che in una di quelle domeniche il bollettino valanghe e i piedi piagati dagli scarponi ti facciano decidere, sia pure a malincuore, di tenerti alla larga dalla neve. Come soddisfare, allora, la voglia di natura, panorami affascinanti e aria pulita? Questo giro di corsa, facile e intuitivo, adatto a qualunque stagione, è un ottimo compromesso tra pianura e montagna, oltre che un buon allenamento di corsa collinare.
Si può partire da qualsiasi punto del percorso, ma consiglio di lasciare l’auto a Forcola – si trova facilmente posto lungo l’Adda all’altezza del ponte, angolo SP16 / via Roma. Da qui bisogna, a piedi, attraversare il ponte e prendere il sentiero Valtellina, facilmente riconoscibile, verso destra, in direzione Sondrio. Il sentiero Valtellina è una ciclovia che segue il corso dell’Adda e che non presenta alcuna difficoltà, salvo la neve ghiacciata che qui a valle permane ostinata da oltre un mese.
Ghiaccio e neve sul sentiero Valtellina
Si segue dunque il sentiero Valtellina per circa 7 km, da Forcola a Berbenno, ora su una, ora sull’altra sponda del fiume, con tratti di bosco che si alternano a spazi aperti, prati e campi dove la vista può spaziare fino alle montagne innevate della catena orobico-valtellinese.
I campi ricoperti di neve lungo il sentiero Valtellina
Si abbandona il sentiero, riprendendo la strada, nel punto in cui si incontrano le indicazioni per la stazione di Berbenno: qui si utilizza il sottopasso per attraversare i binari, si percorre per un brevissimo tratto il provinciale in direzione Milano e, quasi subito, si incontrano le indicazioni per la via dei terrazzamenti. Seguiamo questi cartelli, numerosi e ben disposti, fino alla chiesa di Berbenno e su per il paese. Anche vari bolli di colore bianco-rosso aiutano a orientarsi.
Da Berbenno seguiamo le indicazioni per la via dei Terrazzamenti
Si guadagnano velocemente circa 200 metri di dislivello, prima di arrivare ai terrazzamenti veri e propri. La via dei terrazzamenti, che noi seguiremo solo per pochi chilometri, è in realtà un percorso molto più lungo che attraversa tutta la Valtellina da Morbegno a Tirano, passando per boschi, vigneti e piccoli borghi sapientemente costruiti sul versante solivo della montagna – troveremo qui un clima molto più mite rispetto al fondovalle.
I cartelli gialli della via dei Terrazzamenti
Finalmente ci si addentra tra i vigneti e compaiono i primi cartelli gialli che, insieme ai soliti bolli bianco/rossi, andranno seguiti da qui in poi in direzione Buglio in Monte e Gaggio. La segnaletica è ottima, ma conviene comunque avere la traccia gpx, perché in alcuni punti si incrociano altre strade e sentieri e l’orientamento può risultare difficile. Il primo paese che attraversiamo è Regoledo, dove si trova tra l’altro una fontana; si prosegue passando dietro la chiesa e si continua poi tra i vigneti, con una vista magnifica che si apre a ogni svolta sulle montagne innevate.
Il sentiero, superato Regoledo, rimane pacificamente pianeggiante con qualche saliscendi, fino a raggiungere una bellissima terrazza panoramica.
Terrazza panoramica prima della salita
A partire da qui, comincia l’unica salita veramente dura del giro, che per il resto risulta tutto “corribile”. Con un sentiero a scalini, di cui la foto non rende la ripidezza, si guadagnano d’un fiato circa 100 metri di dislivello.
Comincia la salita più dura del giro
Come tutte le salite, “poi spiana”! La pendenza diminuisce e il sentiero ci deposita sulla strada asfaltata che da Maroggia sale verso Monastero. La prendiamo verso sinistra, sempre seguendo i cartelli gialli che ci fanno tagliare i tornanti su sentiero o mulattiera, passando per la minuscola frazione di Piasci. Da qui, consiglio di barare un pochino e usare la strada asfaltata piuttosto che il sentiero, che scende tantissimo prima di risalire a Maroggia.
Maroggia
Anche in questo paesino troviamo una fontana: l’acqua da queste parti non manca davvero. Si continua poi in discesa sulla strada asfaltata, con un breve taglio su sentiero. Dopo il tornante, si abbandona la strada e si prende la mulattiera che attraversa il torrente e prosegue nel bosco. Attenzione, per i prossimi chilometri la segnaletica sarà meno chiara: al bivio, bisogna prendere il sentiero in leggera salita sulla destra, indicato da un bollo poco visibile oltre che da segni verde fluo rimasti forse da qualche gara. Si prosegue in leggera salita nel bosco fino a sbucare in questo punto:
Qui non ci sono indicazioni se non qualche bollo. Bisogna proseguire in direzione della casa, superarla e continuare in leggera discesa. Troveremo una fontana sulla destra e successivamente un nuovo bivio, dove di nuovo bisogna tenere la destra. Superiamo altre case e, all’altezza di una cappelletta, finalmente vedremo ricomparire i cartelli gialli della via dei terrazzamenti. Li seguiamo lungo la strada fino a Buglio in Monte, che dobbiamo attraversare senza mai perdere quota. Usciti dal centro, proseguiamo sempre in salita tenendo la destra a un bivio dove le indicazioni risultano un po’ nascoste e seguiamo la strada, che diventa mulattiera e poi sentiero.
Si prosegue ora senza possibilità di errore lungo questo sentiero, fino a quando i cartelli gialli conducono a una strada asfaltata molto panoramica che, a circa 700 metri di quota, rappresenta il punto più alto del nostro percorso.
Il punto più alto del percorso, sopra Gaggio
Ci aspetta adesso la parte più divertente: una lunga discesa su strada e sentiero, indicata piuttosto bene dai soliti cartelli gialli.
Si attraversa il grazioso borgo di Gaggio e, sempre in discesa, si continua verso Ardenno, abbandonando ora la via dei terrazzamenti e proseguendo dritto per dritto verso le Orobie che si stagliano di fronte a noi. Alla stazione di Ardenno utilizziamo il sottopasso per attraversare binari e provinciale e ci dirigiamo, attraverso i campi, verso l’argine dell’Adda.
Si attraversano i campi fino a raggiungere l’argine dell’Adda e il sentiero Valtellina
Si imbocca ora il sentiero Valtellina verso sinistra e, in un chilometro circa, si torna al punto di partenza.
Un vero e proprio “classico” delle Orobie, questo percorso si fa di solito al contrario – affrontando subito il temibile vertical da Valbondione al rifugio Coca, poi la traversata lungo il sentiero 303 con arrivo al Curò e, infine, la facile discesa lungo la mulattiera per Valbondione. Io ve lo propongo nel senso opposto, con il vantaggio di anticipare al Curò la fiumana di escursionisti che vi si trova nelle belle giornate e di arrivare al Coca, meno frequentato, in tempo per l’ora di pranzo!
Si parte da Valbondione: l’ideale è lasciare l’auto in via Beltrame subito prima del tornante, nel punto in cui comincia il sentiero 301 per il rifugio Coca, in modo da recuperarla comodamente al ritorno. Non sempre è possibile, vista la popolarità di questo posto. In ogni caso ci si può arrangiare parcheggiando un po’ prima o un po’ dopo, dove si riesce. Consiglio comunque di partire di buon mattino per evitare il bagno di folla.
Ci si incammina lungo la strada in leggera salita fino a incontrare sulla destra il sentiero per il rifugio Curò: è difficile sbagliare, i sentieri da queste parti sono indicati molto bene. Ben presto si arriva alla trafficata mulattiera che sale lentamente verso il rifugio. Possiamo tagliare un po’ di tornanti prendendo il ripido sentierino che si stacca sulla sinistra a circa 4 km dalla partenza. Una volta al Curò, dove si arriva dopo circa 1000 m di dislivello, la vista si apre sul lago del Barbellino e sulle spettacolari vette circostanti.
Lago artificiale del Barbellino
Da qui si prende il sentiero 303 per il rifugio Coca. Si tratta di un EE, piuttosto tecnico nella parte alta, da affrontare solo con la dovuta esperienza e con condizioni meteo buone. Il periodo giusto è da giugno a ottobre, quando non c’è neve. Conviene comunque verificare con i rifugisti le condizioni della traversata prima di intraprenderla. Si comincia con un tratto in piano lungo il lago e una breve discesa verso la base della diga – dove non è insolito trovare atletici stambecchi in arrampicata libera.
Stambecchi sulla diga del Barbellino
Seguiamo sempre le indicazioni per il Coca, attraversando il fondovalle e il torrente Valmorta, per poi cominciare la faticosa risalita – in un chilometro e mezzo guadagneremo circa 500 m di quota – che ci porterà alla traversata vera e propria, ai piedi del Pizzo di Coca. Da qui la vista, che pure finora non è stata male, diventa davvero fantastica; dobbiamo però prestare attenzione a dove mettiamo i piedi, perché ora comincia il tratto più tecnico del giro. Un ripido canalino in discesa, pieno di sfasciumi, è attrezzato con catene, mentre in altri punti un po’ esposti o franosi non si può fare altro che procedere con cautela. Dal passo del Corno (2220 m) vedremo finalmente il rifugio Coca, parecchio più in basso.
La traversata verso il Coca
Ancora qualche saliscendi, poi una bella discesa e finalmente arriviamo al ponticello che attraversa il torrente Coca. Il rifugio è poco più sopra e vale davvero la pena di farvi una sosta.
Il torrente Coca
Volendo allungare di poco il giro, si può salire al vicino lago di Coca, sempre debitamente indicato. Altrimenti si riattraversa il ponticello e, senza possibilità d’errore, si prosegue in ripida ma facile discesa lungo il sentiero 301, seguendo le indicazioni per Valbondione. Si attraversa il fiume Serio e si risale alla strada dove si è parcheggiato.
Abbadia Lariana – Rongio lungo il Sentiero del Viandante. Zucco di Manavello (1120 m) – Zucco di Pertusio (1674 m) – rifugio Rosalba (1730 m). Discesa dal sentiero delle Foppe, Piani Resinelli e carrozzabile fino ad Abbadia Lariana.
Periodo: Maggio 2020
Partenza: Abbadia Lariana
Distanza: 20,2 km
Dislivello: 1685 m
Acqua: fontanella a Rongio, poi più niente fino ai Piani Resinelli
Milanesi, vi do una bella notizia: per arrivare alle Grigne, che dalle statistiche risultano essere le nostre montagne preferite, non è necessario salire in massa dai soliti due o tre sentieri dalla Valsassina. Ci sono altre vie di accesso, molto meno frequentate, sul versante sud, quello del lago, per intenderci. Da Rongio, in particolare, si diparte un’infinità di sentieri che attraversano in lungo e in largo queste incredibili montagne, sempre con una vista spettacolare sul lago. Certo si tratta di percorsi lunghi e faticosi, adatti solo a chi è sufficientemente allenato e ha dimestichezza con l’ambiente impervio e selvaggio di questi posti.
Il giro che vi propongo oggi, solo per escursionisti/runner esperti (EE), parte da Abbadia Lariana. Si può lasciare l’auto nel comodo parcheggio in fondo a via per Castello: nel weekend, cercate di non arrivare troppo tardi se volete trovare posto facilmente. Il primo tratto, pianeggiante e corribile, passa per il sentiero del Viandante, un percorso molto bello che da Abbadia porta fino a Colico passando per boschi e paesini, a destra le ripide pareti delle Grigne e a sinistra una vista stupenda sul lago.
Seguiamo le targhette arancione del Viandante (aiutandoci con la traccia gpx, perché non sono sempre evidentissime) per circa 4 km fino a Rongio, dove troveremo anche l’unica fontanella utile. Tra tante indicazioni, quella che ci interessa è per il sentiero n. 13, che comincia come strada asfaltata in salita e si trasformerà poi in mulattiera. Al primo bivio, teniamo la sinistra, anche se lo Zucco di Manavello è dato verso destra. Percorriamo la mulattiera fino a incontrare sulla destra le indicazioni per il Baitello di Manavello, che seguiremo da qui in avanti. La salita fino al Baitello è lunga e faticosa, con una pendenza che a tratti sfiora il 50%. In un chilometro e mezzo guadagniamo circa 600 m di dislivello.
Verso lo zucco di Manavello
Poco prima di arrivare al bivacco, la fatica viene finalmente ripagata da una terrazza con vista spettacolare sulle Grigne e sul lago. Questa vista ci accompagnerà, da qui in avanti, fino al rifugio Rosalba. Superiamo il Baitello e al bivio teniamo la sinistra, continuando lungo il sentiero n. 13 fino al vicino Zucco di Manavello (1112 m). Il sentiero aggira la “cima” vera e propria dello Zucco e prosegue, sempre più scosceso, verso i successivo Zucco di Portorella. Qualche tratto in piano o in discesa permette di tirare il fiato prima dei nuovi strappetti.
Comincia la traversata per il Rosalba
Attenzione, il sentiero diventa ora un EE e richiede un po’ di esperienza. La traccia non è sempre evidente, i bolli sono pochi e sbiaditi, ma ogni tanto un ometto di pietre aiuta a orientarsi. Se non siete sicuri e non vedete bolli, tornate indietro e cercate di capire dove passa il sentiero. Per quanto a volte difficile da vedere, il percorso corretto è segnato, mentre le tracce non segnate possono essere di camosci e non portare da nessuna parte. Meglio non avventurarsi a caso tra le roccette, franano!
Zucco e bocchetta di Portorella
In pochi tratti delle catene aiutano a salire in sicurezza, ma diversi punti sdrucciolevoli non sono attrezzati e richiedono attenzione. Superiamo lo Zucco di Portorella e passiamo ai piedi dello Zucco di Pertusio: qui siamo intorno ai 1600 m, quota che manterremo per un lungo tratto più o meno pianeggiante.
Breve tratto attrezzato prima della bocchetta
A questo punto cambiamo versante e si apre davanti a noi la Grignetta in tutta la sua maestosità. Finalmente si vede anche il rifugio Rosalba!
La Grignetta e il Rosalba
Per arrivare al rifugio percorriamo con attenzione un sentierino strettissimo che taglia il pendio erboso, piuttosto ripido e vertiginoso. Suggerisco di evitare in caso di pioggia, l’erba può diventare pericolosamente scivolosa se bagnata. In prossimità del Rosalba, il sentiero aggira l’ultimo sperone roccioso, passa per un tratto nel bosco e risale poi al rifugio con un ultimo tratto in salita.
L’affollamento che inevitabilmente troveremo sul piazzale davanti al Rosalba contrasta in modo singolare con l’ambiente selvaggio e semideserto che abbiamo attraversato finora.
Discesa dal sentiero delle Foppe
Si scende lungo la più semplice e popolare via di accesso, il sentiero delle Foppe. Volendo, si può utilizzare il parallelo e più diretto sentiero dei Morti, che tuttavia dal mio punto di vista è più interessante in salita. Seguiamo le indicazioni fino ai Piani Resinelli, a circa 1200 m di altezza. Se abbiamo bisogno di rifornimenti, attraversiamo l’enorme parcheggio e saliamo al Forno della Grigna, affezionato punto di appoggio per tutti gli alpinisti e gli escursionisti della zona.
Per scendere, invece, prendiamo come punto di riferimento la chiesetta, che superiamo lasciandocela sulla destra, poi svoltiamo a destra lungo via privata Bodoni.
I Piani Resinelli con la Grignetta sullo sfondo
Da qui proseguiamo lungo la strada, che diventerà poi via Campelli, sempre in discesa con le guglie della Grignetta che ci fanno da sfondo sulla destra. La strada asfaltata diventerà poi una carrozzabile, i cui tornanti qua e là si possono tagliare con tratti di sentiero. All’altezza dei Campelli, dove troviamo tra l’altro una fontana, vedremo le indicazioni per Abbadia Lariana. In ogni caso, su strada o su sentiero, perdiamo rapidamente i quasi 1000 metri che mancano per arrivare all’altezza del lago. Quasi sempre all’ombra, possiamo corricchiare tranquillamente in discesa fino alla macchina.
Milano, fase 2. Runner con una voglia matta di tornare a correre su sentiero, dopo due mesi di prigionia tra asfalto e cemento, si scontrano con i piccoli comuni al lago e in montagna, terrorizzati all’idea di trovarsi invasi da orde di milanesi in cerca di un po’ di verde.
Possiamo prendercela con le autorità che si trincerano dietro ordinanze di dubbia legittimità, o comprendere, se non condividere, la preoccupazione per l’impossibilità di controllare così tante persone che tendono a prediligere sempre le stesse mete.
Tra lo scontro rabbioso con il sistema e una triste inattività c’è però, dal mio punto di vista, una terza via: rimanere positivi e collaborare con gli altri per semplificare la vita di tutti, senza rinunciare a quello che ci piace fare. Lo spazio a nostra disposizione è aumentato enormemente rispetto a una settimana fa e le possibilità sono tante: bastano un po’ di fantasia e di spirito di avventura, e magari resteremo anche piacevolmente sorpresi da quello che offre il territorio intorno a noi!
Innanzitutto, nessuno meglio di noi amanti della montagna può capire quanto sia importante limitare le emissioni, non solo in questo momento particolare, ma anche per il futuro. Spostamenti più brevi in auto, se non addirittura in bici, sono un contributo importante che ognuno di noi può dare all’ambiente, a prescindere da decreti e ordinanze.
Possiamo anche provare a puntare la sveglia un po’ prima al mattino, oppure portarci dietro la frontale e approfittare delle ore serali, soprattutto adesso che le giornate sono lunghe e calde: si tratta solo di cambiare in parte le proprie abitudini per ridurre l’affollamento di sentieri e piste ciclabili, lasciando le ore centrali della giornata alle famiglie con bambini, che non possono certo uscire con il buio.
Dove fare trail, dunque, senza andare in montagna? Vi propongo qualche soluzione nella vicina Brianza.
La ciclabile del Lambro
La Valle del Lambro. Risalendo il corso del fiume Lambro da Milano verso le sue sorgenti, nel triangolo lariano, si passa per il centro e per il parco di Monza – quest’ultimo a oggi (08/05/2020) chiuso al pubblico per emergenza covid-19 – e ci si inoltra in una Brianza collinare e verdeggiante, tutta da scoprire. Il primo parcheggio utile è a Biassono, all’angolo tra via Parco e via Madonna delle Nevi, oppure se ne trova un altro poco più avanti proseguendo lungo via Madonna delle Nevi con la ferrovia sulla destra. All’altezza di questo secondo parcheggio si attraversa la ferrovia e si prende la ciclabile verso sinistra. Si può seguire il corso del Lambro per una decina di chilometri, arrivando sino a Briosco. Si tratta di sentiero principalmente pianeggiante, con qualche saliscendi, ottimo anche per le mountain bike. Di facile accesso, questa ciclabile è molto frequentata durante il giorno. Al mattino presto e di sera, invece, potete scatenarvi indisturbati!
Nel bosco in val Pegorino
La Val Pegorino. Affluente del Lambro, il Rio Pegorino ha scavato una valle affascinante, selvaggia e poco frequentata, facilmente concatenabile alla ciclabile del Lambro per giri di corsa trail e mountain bike. Il parcheggio più comodo è a Macherio, in fondo a via Lambro, poco prima del ponte che attraversa appunto il fiume Lambro. Da qui si può prendere la ciclabile di cui sopra, oppure attraversare il ponte e dirigersi verso la Val Pegorino. L’attraversamento non è bellissimo: superato il ponte, si svolta a destra e si percorre un breve tratto di strada statale senza protezioni, per poi trovarsi sulla sinistra il sentiero. Lo si può percorrere inoltrandosi nella valle per circa 5 km, con un centinaio di metri di dislivello. Di sentieri, a dire il verso, se ne incrociano parecchi: per non sbagliare, bisogna cercare di rimanere il più vicino possibile al letto del Rio Pegorino, che si attraversa diverse volte. Sconsigliato in caso di piena, percorso divertentissimo nella stagione secca!
Sentiero dei Cipressi a Montevecchia
Montevecchia. Qui ci troveremmo già in territorio “proibito”, in quanto in provincia di Lecco; tuttavia sono abituata a pensare a Montevecchia come a un colle tutto brianzolo, facilmente raggiungibile anche da Usmate-Velate, in provincia di Monza e Brianza. Andando al mattino presto o la sera, in ogni caso, troverete una rete di sentieri e strade sterrate tutta per voi. Montevecchia è un vero parco giochi per la corsa come per la bici, con infiniti giri possibili. A oggi (08/05/2020) è chiuso il “sentiero dei guadi”, mentre gli altri percorsi sono accessibili e in buone condizioni. Il centro di Montevecchia è dominato dalla famosa chiesetta, la cui scalinata è spesso profanata dai runner in allenamento. Dietro alla chiesetta si apre un mondo di colline, vigneti e cipressi. (Scrivetemi in privato se volete qualche traccia gpx).
In attesa della libertà e della vera montagna, possiamo goderci queste piccole perle del nostro territorio. Buona corsa a tutti!
Una giornata spettacolare, quasi primaverile, combinata con montagne ancora innevate e un elevato rischio ghiaccio: dove andare per fare un po’ di chilometri e dislivello, senza correre rischi inutili? Abbiamo optato per il lato comasco dei monti lariani, più dolce e meno “alpinistico” rispetto a quello lecchese, costruendo un percorso sì lungo, ma anche abbastanza veloce, corribile.
Si parte da Tavernerio, dove possiamo comodamente parcheggiare in via 4 novembre, ai piedi della pittoresca chiesa di S. Martino. La partenza è in discesa: superiamo la chiesa e prendiamo la scalinata che scende verso la parte bassa del paese. Attraversiamo il torrentello e proseguiamo lungo via Vittorio Veneto fino a incontrare, con una rotonda, la strada statale, che imbocchiamo verso sinistra. Prendiamo la prima via a sinistra, addentrandoci nel paesino di Sirtolo e poi Cassano.
Il nostro primo obiettivo è l’Alpe del Viceré (903 m), a cui arriviamo seguendo dapprima la carinissima via ai Monti che passa per l’agriturismo Cascina Mirandola, poi aiutandoci con le indicazioni per il trofeo Jack Canali, che ci faranno passare per facili sentieri nel bosco tagliando la strada a tornanti con cui si sale all’Alpe in auto.
Dal Viceré seguiamo la strada, molto frequentata anche in inverno, verso Capanna Mara (1125 m). Attenzione, tratti di questa strada sono spesso ghiacciati: nonostante l’altezza modesta, è meglio avere con sé i ramponcini. La tappa successiva, nonché la fine di questa prima, lunga salita, è la vetta del Palanzone – che con i suoi 1436 m rappresenta il punto più alto di tutto il giro.
Da qui si gode un panorama a tutto tondo, dal Monte Rosa alle Grigne. Dopo la doverosa pausa per le foto, ripartiamo lungo la cresta, in direzione opposta a quella da cui siamo arrivati, godendoci finalmente un po’ di discesa.
Alla fine della cresta in discesa incrociamo una stradina, da imboccare tutto a sinistra con una curva a gomito. Con un brevissimo tratto in leggera salita arriviamo al Cippo Marelli, crocevia di sentieri, e proseguiamo ancora per un duecento metri lungo la stradina in discesa – fino a trovare sulla destra il sentiero in discesa per Palanzo, prossima tappa del giro. Adesso ci aspetta una discesa a rotta di collo per circa 4 km, fino al caratteristico paesino di Palanzo, dove finalmente possiamo fare rifornimento d\’acqua (seguire la traccia gpx per trovare la fontana).
Dopo avere attraversato Palanzo, è necessario passare per poco più di un chilometro su una strada statale, poco trafficata ma che richiede attenzione, per arrivare a Lemna. Intorno al km 18,5 abbandoniamo la strada principale per una via secondaria, via Bernardo Silo, che sale verso sinistra e conduce appunto al borgo di Lemna. Da qui sempre per sentieri arriviamo a Molina, dove comincia la seconda grande salita del giro.
Da via Fontana Vecchia, dove troviamo appunto una piccola fontana (una canna di gomma che esce dal muretto lungo la strada), prendiamo la stradina in salita verso Cascina del Monte e, poi, Bocchetta di Molina. Ci aspettano adesso circa 4 km di noiosa salita nel bosco fino a quota 1100 metri circa, dove incontriamo una stradina che imbocchiamo svoltando tutto a destra.
Proseguiamo verso il monte Boletto, che raggiungiamo passando dalla dorsale – abbandonando quindi la strada, che prosegue verso destra, e tralasciando il sentiero più evidente che prosegue in quota sotto la cresta: dobbiamo prendere il sentiero di mezzo, che sale appunto lungo la cresta fino a raggiungere la vetta del Boletto (1237 m). Anche da qui il panorama è bellissimo, e possiamo spaziare con lo sguardo su tutta la strada percorsa fino adesso.
Scendiamo proseguendo lungo la dorsale e andiamo a incontrare di nuovo la solita strada. La seguiamo per circa 1,5 km in discesa verso Brunate, passando per un paio di baite incredibilmente simili a Capanna Mara. Incontriamo un bivio con indicazioni per tornare al Boletto, proseguiamo per pochi metri e troviamo il sentiero che interessa a noi, quello per Montepiatto. Il sentiero è molto bello, anche se noi lo abbiamo trovato completamente ghiacciato, tanto che siamo stati costretti a percorrerlo con i ramponcini.
Arrivando a Montepiatto abbiamo fatto una deviazione verso destra in cerca d\’acqua, del tutto inutile dato che la fontana del paesino era chiusa. Bisogna in realtà seguire la strada in discesa verso sinistra e, prima della scalinata in discesa, prendere il sentiero più pianeggiante che si stacca sulla sinistra. Seguendo questo bel traverso nel bosco, con una spettacolare vista sul lago, arriveremo fino a Brunate.
Ignorate il cartello “fontana” intorno al km 33: è difficile trovarla, e comunque ce n’è un’altra poco dopo, davanti a una cappelletta che vi troverete in alto sulla sinistra. Da qui Brunate si vede già chiaramente ed è chiaramente indicata, basta seguire i cartelli. Prima di arrivare ci sono ancora un paio di chilometri di salita.
Da Brunate in poi ci aspetta l’asfalto. Attraversiamo la stazione della funicolare, dove saremo guardati come alieni dai turisti in coda, e andiamo a prendere via per Civiglio. Attenzione alle auto. Dopo Civiglio passiamo per Ponzate, seguiamo via Como fino a Solzago, via Manzoni fino a Tavernerio e via 4 novembre fino a raggiungere il punto in cui – una vita fa – abbiamo parcheggiato.