Uno dei passi più spettacolari del sentiero Roma, con salita tostissima dalla valle del Ferro e discesa panoramica dalla val Porcellizzo.
Filorera – San Martino – val di Mello – casera Ferro – bivacco Molteni-Valsecchi (2515 m) – passo Camerozzo (2765 m) – rifugio Gianetti – Bagni di Masino – San Martino – Filorera.
Quest’anno l’occasione è stata la salita al Badile di Samu e Meme: decido di aspettarli alla Gianetti e, per ingannare l’attesa, di spararmi una bella salita nella valle del Ferro scavallando in val Porcellizzo dal passo Camerozzo. Roberto, che conosce le tracce di Trail Rings meglio di me, è in vacanza in Valtellina e decide di accompagnarmi. Il cielo è terso e la giornata non potrebbe cominciare meglio!
Partenza da Filorera.
Parto da Filorera, dove trovo facilmente posto lungo il torrente poco dopo la Casa della Montagna – dove comincia e finisce il Kima, uno dei giri più belli che abbia mai fatto. Roberto mi aspetta al campo sportivo di San Martino, che in effetti sarebbe il punto di partenza più logico per il nostro giro: ma alla ressa dei villeggianti a caccia di selfie in val di Mello preferisco un paio di chilometri di corsa lungo la ciclabile che collega i due paesi. Insieme prendiamo il sentiero che si addentra in val di Mello e lo percorriamo per poco meno di un chilometro; attraversiamo il torrente e seguiamo brevemente la strada fino a trovare le indicazioni per la valle del Ferro.
Indicazioni per la valle del Ferro.
La prima parte di salita nel bosco è facile e piacevole, con pendenza moderata e sentiero ben segnato, ma sappiamo che la pacchia durerà poco. Entrambi, infatti, dopo avere percorso una volta la valle del Ferro in discesa ci siamo ripromessi di non commettere più questo errore. In salita, invece, è un’altra storia: il percorso, faticoso ma fattibile, si svolge in un bellissimo anfiteatro di placche granitiche e cascatelle, che si apprezzano appieno solo in questo senso di marcia.
Valle del Ferro – parte bassa.
La parte più dura della salita è quella che va dalla casera Ferro al bivacco Molteni-Valsecchi: un pratone ripido e poco battuto, dove il sentiero si perde nell’erba alta e la pendenza aumenta esponenzialmente insieme alla quota (o almeno dà questa impressione).
Valle del Ferro – parte alta.
Man mano che saliamo, davanti a noi si apre il classico sfondo del sentiero Roma: vette aguzze come lame affilate – in questo caso i pizzi del Ferro e, a sinistra, il pizzo Camerozzo con l’omonimo passo – contro un cielo blu cobalto. Ho perso il conto delle volte che sono stata da queste parti, ma ogni volta la meraviglia è la stessa.
Al bivacco Molteni-Valsecchi.
Finalmente raggiungiamo il bivacco e ci concediamo una meritata pausa, ma siamo ben presto messi in fuga da una pecora assassina che ha deciso di mangiare o me, o il Tronky nel mio zainetto: entrambe le soluzioni mi sembrano inaccettabili. Pazienza, siamo ormai arrivati sul sentiero Roma che, dal bivacco al passo Camerozzo, è quasi pianeggiante e ci permette di tirare il fiato.
Le prime catene del passo Camerozzo.
Il sentiero Roma, a differenza della salita dalla valle del Ferro, è segnato ottimamente e piuttosto battuto, nonostante la difficoltà del percorso. Tra i sette passi, il Camerozzo è uno dei più alti e difficili: per chi non si senta più che sicuro in questo tipo di ambiente, è raccomandato l’uso di imbrago e kit ferrata.
Verso il passo Camerozzo.
La salita verso il passo è la parte più lunga e impegnativa, mentre la discesa è più breve e pochi tratti attrezzati, in cui comunque bisogna fare attenzione, ci depositano sul lungo sentiero che attraversa la val Porcellizzo. Davanti a noi si stagliano il Cengalo e il Badile, e vediamo già la Gianetti in lontananza.
Rifugio Gianetti.
La traversata non è breve, ma alla fine raggiungiamo il rifugio, dove vado a informarmi sulle cordate dirette al Badile. Mi dicono che dovrò aspettare almeno un paio d’ore, per cui mi metto comoda, mentre Roberto dopo un’oretta comincia a scendere. Vado in fissa sul Badile (scottandomi la faccia, perché il sole splende proprio in quella direzione) e finalmente vedo scendere i miei amici.
Gli amici in discesa dal Badile.
La mia discesa con Meme e Samu appesantiti da zaini e corde è bella rilassata: per una volta corrono al mio passo! Senza contare che il sentiero dalla Gianetti è decisamente più semplice rispetto a quello percorso in salita. Ai Bagni di Masino li saluto per proseguire in discesa verso San Martino e poi Filorera – ma con tempismo perfetto ci ritroviamo al bar di Ardenno per l’aperitivo!
Da Monastero a Monastero: una traversata che accarezzo dallo scorso inverno, quando sul monte Bassetta scoprii l’esistenza del sentiero Walter Bonatti. L’idea di partire da Monastero di Dubino, dalla casa del più grande alpinista di tutti i tempi, e arrivare a casa mia a Monastero di Berbenno, era così bella che non vedevo l’ora dell’estate per metterla finalmente in pratica. E chi poteva essere così fuori di testa da accompagnarmi, se non la mia socia omonima?
Il team delle Martas (con intruso)
Si tratta di un giro davvero tosto, dove chilometri e dislivello non rendono la minima idea delle difficoltà. Noi stesse abbiamo sottovalutato parecchio i tempi di percorrenza, convinte che un buon allenamento e una traccia gpx fossero sufficienti a cavarcela bene e in fretta. Ma nel bel mezzo del sentiero Bonatti – un percorso selvaggio, poco segnato e ancor meno battuto – ci siamo trovate con un Garmin morto e l’altro scarico, quindi senza traccia; e l’allenamento serve a poco, quando ogni due passi bisogna fermarsi per capire da che parte andare. Avevamo calcolato non più di 8 ore da Dubino alla Omio: ce ne abbiamo messe 11!
Sul selvaggio sentiero Bonatti.
Il sentiero Roma, che si connette con il sentiero Bonatti all’altezza del rifugio Omio, è invece terreno noto per me: si tratta di un percorso difficile ma più “addomesticato”, ben segnato e pieno di gente. Anche qui pecco di eccessiva sicurezza, calcolando i tempi di percorrenza sulla base del giro del Kima provato due anni fa, senza tenere conto dei 3200 m di dislivello positivo che già abbiamo sulle gambe e del fatto che Marta non è abituata ad arrampicarsi per roccette attrezzate. Pensavo di fare la traversata Omio-Ponti in 10-11 ore: ce ne abbiamo messe 13, arrivando giusto in tempo prima del buio.
Il terreno tecnicissimo del sentiero Roma.
Almeno per il terzo giorno si sperava di avere fatto bene i conti: l’idea era quella di seguire l’anello dei Corni Bruciati, passando prima dal passo di Corna Rossa, ultima bocchetta del sentiero Roma, poi dal passo di Caldenno e dal passo Scermendone, con una puntata al pizzo Bello per chiudere in bellezza e da qui per sentieri arcinoti scendere a Monastero. Mal consigliate, abbiamo seguito il “sentiero” Corna Rossa-Caldenno su orribile pietraia, impiegando più del doppio del tempo previsto. Arrivate finalmente al passo di Caldenno, eravamo talmente cotte che abbiamo saltato l’ultima parte e siamo scese dalla val Caldenno, per sentieri facili ma interminabili.
A chi volesse ripetere il giro, suggerisco di seguire il sentiero Roma dal passo di Corna Rossa al rifugio Bosio e, da qui, o scendere a Torre di Santa Maria o risalire al passo di Caldenno per proseguire con l’anello dei Corni Bruciati. La traversata su pietraia è stata davvero la parte peggiore del nostro giro e la sconsiglio.
L’orribile traversata Corna Rossa – Caldenno.
Ecco allora la relazione della traversata.
SENTIERO WALTER BONATTI
La mattina di ferragosto, verso le 7, parcheggiamo alle scuole di Dubino in via Cappelletta e da qui andiamo a prendere il sentiero Walter Bonatti, indicato già lungo la strada. Saliamo a Monastero, dove comincia il sentiero vero e proprio. Occhio solo a un bivio poco chiaro: non bisogna salire verso le falesie, ma svoltare a sinistra seguendo il segnavia bianco-rosso. La prima tappa, che raggiungiamo in fretta su facile sentiero, è l’alpe Piazza, dove conviene fare scorta d’acqua perché fino al bivacco Primalpia non si trovano altre fontane.
Alpe Piazza.
Proseguiamo ora verso il monte Foffricio, l’altura che sovrasta l’alpe Piazza, e da qui raggiungiamo l’ampia cresta che ci porta al monte Bassetta (1744 m). Conviene abbandonare il sentiero, che passa sotto la cima vera e propria, e salire di pochi metri per ammirare il panorama che si apre sulla valle dei Ratti con l’inconfondibile sfondo del Sasso Manduino, oggi purtroppo immerso nelle nubi.
Sul monte Bassetta (1744 m).
Fin qui tutto facile: sono passate due ore e mezza dalla partenza e abbiamo fatto quasi metà del dislivello. Non possiamo certo immaginare che staremo in ballo ancora più di otto ore, ma cominciamo a renderci conto che il sentiero è poco battuto già nel primo tratto dopo il Bassetta. Passiamo a sinistra del monte Brusada e con un traverso poco corribile, ma facilmente camminabile, raggiungiamo l’alpe Codogno.
Verso l’alpe Codogno (1790 m).
Ci troviamo sopra il lago di Novate Mezzola e la val Chiavenna; ben presto arriviamo in vista di Frasnedo, per cui troviamo anche qualche indicazione. Da Frasnedo si passa per il giro del Tracciolino, molto bello ma purtroppo al momento inagibile.
Il lago di Novate Mezzola.
Superiamo l’alpe Codogno (1790 m) e continuiamo a salire, mentre l’ambiente intorno a noi si fa sempre più selvaggio. Le uniche forme di vita sono capre, pecore e mucche, oltre a un paio di pastori di cui sentiamo le urla in lontananza. Trovare il sentiero comincia a diventare complicato, ma a questo punto il mio Garmin è ancora vivo e ci affidiamo alla traccia gpx, qui davvero indispensabile.
Ci addentriamo nella valle dei Ratti.
Si superano diverse bocchette, di cui mi ero anche segnata i nomi come punti di riferimento, ma non sono indicate e sapere come si chiamano è poco utile. Si tenga conto invece dei seguenti riferimenti: alpe Piempo (2050 m), bivacco Primalpia (1980 m), lago dal Marzel (2310 m). Sono gli unici punti dove si trova un cartello per orientarsi e farsi un’idea di dove ci si trova.
Primi tratti su pietraia.
Passiamo per le prime pietraie, che personalmente preferisco rispetto all’erba alta, in cui le marmotte la fanno da padrone e i bolli si perdono di vista. Riusciamo comunque a sbagliare strada in diversi punti, perché le indicazioni sono minime e da queste parti non passa davvero nessuno. Sorprendentemente, invece, il telefono prende piuttosto bene in diversi punti del percorso.
Il tratto più difficile, almeno dal punto di vista dell’orientamento, è quello tra l’alpe Piempo e il bivacco Primalpia. Bisogna dapprima attraversare un pratone con rari bolli consumati dal tempo; poi arrampicarsi per un ripido canale erboso, verticalissimo, con la speranza che la discesa dall’altra parte sia meno scoscesa; infine superare un traverso, con erba alta e tane di marmotte lungo tutto il sentiero, e scendere fino al bivacco.
Il bivacco Primalpia (1980 m).
Al bivacco troviamo una fontana dove finalmente possiamo riempire le borracce, e un gruppo di asinelli che ci fanno compagnia mettendosi a bere con noi. Siamo incredule quando leggiamo che da qui alla Omio il tempo di percorrenza CAI è 5 ore e mezza: mancano pochi chilometri e neanche così tanto dislivello! Invece non è molto meno di quanto ci metteremo.
Finalmente in alta quota.
Il paesaggio diventa sempre più bello man mano che guadagniamo quota. Sopra i 2200 m bolli e indicazioni si fanno più evidenti, forse perché siamo in prossimità di alcune vie di arrampicata e cime importanti, per esempio il Ligoncio che dovrebbe trovarsi da queste parti.
La cima tra le nubi potrebbe essere il Ligoncio?
Superato il minuscolo lago dal Marzel, continuiamo a inerpicarci tra erba scivolosa e roccette taglienti seguendo i bolli, che ora si vedono – per fortuna, perché l’orologio di Marta è scarico e il mio è improvvisamente morto senza spiegazioni. Comincia ora la faticosa pietraia che ci porterà alla bocchetta del Calvo, a quota 2700 m circa, da cui dovremmo infine cominciare a scendere verso il rifugio Omio.
Pietraia verso la bocchetta del Calvo.
Il passo sembra rimanere sempre alla stessa distanza, dalla lentezza con cui ci muoviamo tra questi sassoni di granito. Il cielo ora è bello scuro e speriamo quantomeno di superare la bocchetta prima del temporale, previsto per le 18. Noi contavamo di essere al rifugio per le 14 o le 15 al più tardi!
Bocchetta del Calvo (2700 m).
Il passo di per sé non è particolarmente impegnativo. Si percorre una lunga cengia, in parte coperta di erba scivolosa, che è stata messa in sicurezza con catene. Solo una è divelta, per il resto sono in ottimo stato e ci affidiamo a loro per scendere il più in fretta possibile.
Discesa franosa.
A differenza dei sette passi del Kima, tenuti puliti dal passaggio frequente e attrezzati con catene dall’inizio alla fine, la bocchetta del Calvo è piena di sfasciumi che nessuno ha ancora avuto modo di far cadere e, per di più, è attrezzata solo nei tratti resi pericolosi dall’erba. In altri punti, ripidi e scivolosi per il ghiaino, dobbiamo cavarcela senza catena. Finalmente individuiamo il rifugio, lontanissimo ma almeno in vista: il temporale si sta avvicinando e per fortuna abbiamo superato la parte più pericolosa.
Discesa sotto la grandine.
Ci fermiamo giusto il tempo di mettere la giacca a vento e proseguiamo il più velocemente possibile sotto la grandine battente, tra erba fradicia e lastroni scivolosi. Arriviamo finalmente al rifugio poco prima delle 18, bagnate come pulcini ma felici di avercela fatta! Per fortuna alla Omio ci permettono di mettere le scarpe ad asciugare vicino alla stufa. La birra è fantastica e la cena ancora meglio. Dormiamo il sonno del giusto e alle 7 del mattino siamo pronte per ripartire alla conquista del sentiero Roma.
SENTIERO ROMA
Partiamo dal rifugio Omio.
Ci aspettano ora i sette passi del giro del Kima, fatti in senso opposto: Barbacan (2570 m), Camerozzo (2765 m), Qualido (2647 m), Averta (2551 m), Torrone (2518 m), Cameraccio (2950 m), Roma (2894 m). Per fare il giro con calma bisognerebbe passare una notte al rifugio Allievi-Bonacossa, a poco più di metà strada tra la Omio e la Ponti, ma noi abbiamo gambe forti e soprattutto la testa dura, e siamo determinate a fare tutto in una volta.
1° PASSO: BARBACAN
La bocchetta si raggiunge senza troppa fatica dal rifugio Omio: la conosco bene per averla percorsa più volte (qui il link del giro più recente). Fate attenzione a non perdere di vista i bolli, perché ci sono sentierini alternativi molto ripidi, scavati dal passaggio degli animali. Io sbaglio sempre e anche oggi non mi smentisco, arrampicandomi per placchette e zolle d’erba mentre Marta sale tranquilla dal sentiero corretto. Di là dal passo, scendiamo con l’aiuto delle catene e ben presto ci troviamo nella fantastica val Porcellizzo.
Riconosciamo i profili del Badile e del Cengalo, le due cime più note di questa valle, che si possono raggiungere partendo dal rifugio Gianetti.
Val Porcellizzo, sullo sfondo Badile e Cengalo.
Il rifugio stesso non è troppo lontano: rabbocchiamo le borracce alla fontana esterna, che oggi troviamo aperta, e senza indugio proseguiamo verso il passo Camerozzo. La val Porcellizzo è lunghissima, ma finalmente arriviamo nei pressi della bocchetta.
2° PASSO: CAMEROZZO
Si tratta, insieme forse al Cameraccio, del passo più impegnativo, soprattutto percorso nel nostro senso di marcia: saliamo infatti con tratti di sentiero e poche facili catene fino al punto più alto, mentre molto più lunga e vertiginosa risulta la discesa. Sotto di noi si apre la val del Ferro, che con le sue enormi placche granitiche è uno dei punti più caratteristici del sentiero Roma. È anche l’unica valle dove il telefono prende bene.
Val del Ferro.
Poco più in basso vediamo il bivacco Molteni-Valsecchi, un altro dei tanti punti di appoggio per chi percorre il sentiero Roma in più giorni.
3° PASSO: QUALIDO
Al passo Qualido si arriva abbastanza facilmente risalendo un ripido pendio di sfasciumi. Tra i sette, è forse il passo meno impegnativo. Si scende in val Qualido lungo una semplice cengia, di cui solo l’ultimo tratto è attrezzato con un paio di catene.
4° PASSO: AVERTA
Anche il passo dell’Averta è abbastanza semplice: ci si arriva superando un punto un po’ verticale con l’aiuto di un paio di catene e si scende senza troppi problemi nell’ampia val di Zocca, dove dovrei saper riconoscere la punta Allievi e la cima Castello, ma ancora non ho capito con esattezza quali siano.
Skyline della val di Zocca.
La val di Zocca è larga più o meno quanto la val Porcellizzo e attraversarla richiede parecchio tempo. Il sentiero scende al di sotto del rifugio Allievi-Bonacossa e ci costringe a un’ultima faticosa salita per raggiungerlo. Il limite massimo che ci siamo date per arrivare all’Allievi sono le 14: dopo quest’ora, rischiamo di finire il giro con il buio. Arriviamo alle 13:59 e decidiamo di proseguire, non prima di avere acquistato due panini e quattro bottigliette di acqua frizzante (la fontana davanti al rifugio è chiusa). Abbiamo impiegato 7 ore dalla Omio all’Allievi e, tenendo lo stesso passo, dovremmo mettercene 6 da qui alla Ponti.
5° PASSO: TORRONE
Al passo Torrone si arriva da un facile, panoramico e piacevolissimo sentiero. È la prima volta che faccio questo passo in discesa e devo dire che in salita mi è sempre parso molto più semplice. Si scende per un ripido canalino, come sempre attrezzato con catene, e si perde parecchia quota addentrandosi nella selvaggia val Torrone.
Discesa verso la val Torrone.
Il sentiero Roma passava originariamente più in alto su ampie placche di granito. Il percorso è stato cambiato diversi anni fa, dopo un incidente dovuto proprio a una placca bagnata, ed è ora più faticoso ma sicuro. Nonostante il vecchio sentiero sia ancora chiaramente battuto, seguiamo il percorso corretto che ci fa scendere parecchio sotto le placche e poi risalire verso il bivacco Manzi e il passo Cameraccio.
Il bivacco Manzi in val Torrone.
6° PASSO: CAMERACCIO
È il mio passo preferito, nonché il più alto di tutto il sentiero Roma. Due anni fa lo feci in discesa e con la neve: ora ha cambiato completamente faccia, ma lo trovo sempre bellissimo. Il percorso originale è stato modificato per i crolli dovuti alla siccità di quest’anno e si passa ora sul lato sinistro della valle, seguendo i bolli più recenti e gli ometti. Risaliamo a fatica il pendio di instabili sfasciumi (molto meglio la neve!) e finalmente raggiungiamo la sicurezza delle catene, con cui percorriamo gli ultimi 100 m di dislivello che ci separano dalla bocchetta.
Dal passo si scende per facile pietraia verso la val Cameraccio. Piano piano, ma senza mai fermarci, arriviamo al bivacco Kima e cominciamo l’ultima parte del giro, che ho ben stampata in mente per averla provata di recente (qui il link).
7° PASSO: BOCCHETTA ROMA
Assomiglia un po’ al passo Cameraccio, ma è più breve: la bocchetta Roma si raggiunge dopo avere attraversato un pendio di sfasciumi davvero molto instabile, dove conviene tenere sempre la destra e seguire accuratamente i bolli fino all’inizio delle catene.
Ripide placche prima del passo.
Con l’aiuto delle catene si scalano le ultime, ripide placche per arrivare alla bocchetta e, da qui, la vista si apre finalmente sulla valle di Predarossa, dal Disgrazia ai Corni Bruciati.
Il monte Disgrazia.I Corni Bruciati.
Scendiamo di buon passo verso il rifugio Ponti: sono quasi le 20 e siamo in ritardo per cena! La pietraia è impervia nella parte più alta, dove bisogna seguire scrupolosamente i bolli senza inventarsi soluzioni originali, perché la valle di Predarossa può riservare brutte sorprese; poi il sentiero si addolcisce e ci porta finalmente al rifugio, dove ci ristoriamo con una birra e un’ottima cena.
Meritata birretta alla Ponti.
ANELLO DEI CORNI BRUCIATI
La mattina del terzo giorno ci avviamo verso il passo di Corna Rossa, seguendo le indicazioni per il monte Disgrazia. Il cielo è cupo ma non sono previsti temporali prima del tardo pomeriggio.
Si seguono le indicazioni per il Disgrazia.
Le strade per il Disgrazia e per la bocchetta si dividono dopo la morena: seguiamo ora le indicazioni per l’ex rifugio Desio. Si risale il solito pendio di sfasciumi, qui particolarmente brutto anche perché il passaggio è nettamente inferiore rispetto al giro del Kima; la roccia è diversa, più liscia e scivolosa rispetto a quella incontrata finora. I tratti migliori, più solidi, sono sempre quelli attrezzati con catene.
Verso il passo di Corna Rossa (2836 m).
Raggiungiamo il passo di Corna Rossa (2836 m) e l’ex rifugio Desio, un tempo punto di partenza per il Disgrazia, oggi abbandonato e pericolante.
L’ex rifugio Desio al passo di Corna Rossa.
La vetta del Disgrazia è purtroppo immersa nelle nubi, altrimenti la vista sarebbe spettacolare. Cominciamo la discesa verso la Valmalenco, un po’ su ghiaino scivoloso e un po’ su solida pietraia; alcune placche rosse con un grip pazzesco ci permettono di procedere un po’ più spedite, almeno in alcuni punti.
Discesa verso la Valmalenco.
Arriviamo infine al punto in cui comincia il traverso per il passo di Caldenno, che ci è stato consigliato come “pietraia facile”. A vederlo non sembra granché e valutiamo anche la comoda alternativa di scendere fino al rifugio Bosio lungo il sentiero principale, risalendo da lì al passo di Caldenno per pratoni, ma alla fine decidiamo di fidarci e di passare dalla pietraia – che di facile, ahimè, non avrà proprio niente.
Pietraia verso il passo di Caldenno.
Lentamente, faticosamente, percorriamo questo instabile traverso, senza neanche poterci consolare con un bel risparmio di dislivello – l’altro sentiero, in alcuni punti, passa appena cinquanta metri sotto di noi. Fosse capitato il primo giorno, l’avremmo vissuto più serenamente, ma trovarsi davanti a una difficoltà inaspettata dopo due giorni di fatiche è davvero troppo!
Passo di Caldenno (2517 m) con il Disgrazia.
Finalmente arriviamo al passo e di comune accordo decidiamo che per oggi è l’ultimo. Mancherebbe ancora il passo Scermendone, ripido per quanto tecnicamente semplice, ma davvero non ne abbiamo più. Scendiamo allora giù per la val Caldenno.
Discesa in val Caldenno.
Arriviamo a Prato Isio, da dove si potrebbe raggiungere Berbenno di Valtellina; noi proseguiamo invece lungo la traversata per Prato Maslino, che sembra breve quando si passa di corsa, ma oggi è davvero infinita; scendiamo poi per sentieri a Gaggio di Monastero. Con poche speranze di potercela cavare con un autostop, ci avviamo lungo la strada a tornanti per Monastero, che giustamente è una delle meno trafficate della Valtellina (ho scelto Monastero in quanto esatto opposto di Milano). Come un miraggio, però, un’auto appare alle nostre spalle: una super nonna e due nipoti adolescenti si fanno in quattro per stringersi e permetterci di infilarci dentro con loro, risparmiandoci gli ultimi chilometri di cammino. Un enorme GRAZIE, come sempre, a chi è gentile con i viandanti!
“Mi raccomando, non perdetevi” (cit. signora Luisella, h 7:00).
Detto, fatto: h 9:00, perse. Ecco il racconto di un’ordinaria giornata sul sentiero Roma con Lucia.
Attenzione: percorso adatto solo a escursionisti/runner più che esperti, e occhio al meteo!
L’idea era quella di risalire la val di Mello, andare a intercettare il sentiero Roma nell’austera val Cameraccio, seguire il percorso del Kima (per chi fosse interessato, ecco il link dell’epico giro provato nel 2020) giù per il passo Cameraccio, superare il passo Torrone, raggiungere il rifugio Allievi e da lì scendere per la val di Zocca fino a San Martino. Per aumentare il chilometraggio ed evitare il caos di San Martino Beach, dove orde di bagnanti rendono ormai invivibile la bella val di Mello, abbiamo deciso di partire da Filorera, dove i parcheggi sono gratuiti e le pozze meno affollate.
Pista ciclo-pedonale da Filorera a San Martino.
A Filorera lasciamo l’auto lungo il torrente e prendiamo la pista ciclo-pedonale che in 2 km ci porta a San Martino. Percorriamo così a ritroso gli ultimi 2 km del Kima, nota skyrace a cui Lucia è iscritta per l’ennesima volta e che si svolgerà tra poco, nell’ultimo weekend di agosto. Il sentiero Roma in queste settimane è affollatissimo di atleti che si preparano appunto a questa gara, forse la più selettiva nel panorama dello skyrunning italiano.
Sentiero per la val di Mello.
Da San Martino prendiamo il sentiero che risale la val di Mello a destra del torrente: dall’altra parte c’è la strada, molto più affollata. Sono le 7 e mezza del mattino e la valle è ancora quieta, complice probabilmente il cielo nuvoloso. Meteo non ideale per il sentiero Roma, ma di sicuro perfetto per la val di Mello!
Sentiero morbido e corribile (ma dura poco).
Sono circa 5 km di sentiero morbido e corribile, prima del vertical che ci aspetta da Rasica al sentiero Roma. Il bosco qua e là si apre lasciando intravedere le famose pozze del torrente Mello, dove si riflettono le imponenti pareti di granito che racchiudono la valle.
Le famose pozze del torrente Mello.
Attraversiamo infine il torrente e seguiamo le indicazioni per Rasica, senza prendere il sentiero che sale verso la val di Zocca e il rifugio Allievi. Tra le valli laterali della val di Mello, da cui si può accedere al sentiero Roma, la val di Zocca è l’unica un po’ battuta, con un sentiero degno di questo nome. Tutte le altre, inclusa la val Cameraccio dove ci accingiamo a salire, sono ripide e selvagge, frequentate quasi esclusivamente dagli animali. Il telefono non prende quasi mai e i “sentieri” non sono altro che sequenze di bolli tra l’erba alta, spesso poco visibili. Insomma, un ambiente impervio e ostile, ma proprio per questo estremamente affascinante.
Rasica (1148 m).
Raggiungiamo Rasica e siamo ormai alla fine della val di Mello. Abbiamo fatto solo 500 m di dislivello in 7 km e non vediamo l’ora che il sentiero si impenni un po’, in modo da avere una buona scusa per smettere di correre. Il bivacco Kima da qui è indicato a 7 ore di cammino, forse un po’ eccessivo anche per i tempi CAI… ci ho messo 7 ore a fare tutto il giro, comprese le ricerche di Lucia!
Ci inoltriamo nel bosco dove incontriamo due signori in cerca della val Torrone: con una certa convinzione li rimando indietro, per poi ricordarmi – troppo tardi – che per la selvaggia val Torrone si segue per un tratto lo stesso nostro sentiero e si prende poi un sentierino secondario verso sinistra. Spero che non mi abbiano odiato troppo!
Casera di Pioda.
Fino alla casera di Pioda il sentiero è in ottime condizioni. Oltre la casera, ringraziamo solo che prima di noi siano passate delle mucche, altrimenti non vedremmo neanche la traccia nell’erba alta. La salita è ripida e faticosa, tra zolle di terra che si staccano, rigagnoli da attraversare, erbacce e arbusti che ci graffiano le gambe. Lucia è parecchio avanti, mi fermo un paio di volte per foto e spuntino e tanto basta per perderla completamente di vista.
Lo spettacolo della val Cameraccio.
Man mano che guadagno quota la valle si apre e, nonostante la nebbia, mi perdo nella contemplazione di questo ambiente unico, delle aspre pareti di granito che svettano tutto intorno, della solitudine e del silenzio interrotto solo dai fischi delle marmotte. Arrivo a un bivio: a destra si va per la Ponti (indicata da una scritta sulla pietra), a sinistra per il passo Cameraccio (non indicato, ma è qui che dobbiamo dirigerci). Ora, da che parte sarà andata Lucia? Provo a chiamarla, aspetto un po’, riprovo, ma niente.
Bon, la direzione giusta è a sinistra, ci sono i bolli e per di più l’erba è calpestata. Decido di andare a sinistra. (Se rifate il giro, naturalmente vi conviene prendere il sentiero per la Ponti che vi fa tagliare un po’ di strada rispetto alla mia variante).
Ecco chi ha calpestato l’erba!
Non è stata Lucia a calpestare l’erba lungo il mio percorso e me ne rendo conto quando mi trovo muso a muso con una mucca, sbucata come un fantasma dalla nebbia che ormai pervade completamente la valle. Il nebbione non è anomalo da queste parti, è anzi una costante e rappresenta il primo fattore di rischio sul sentiero Roma.
Ormai completamente immersa nella nebbia.
I bolli e gli ometti qua e là si perdono, o quantomeno io li perdo di vista, ma riesco sempre a individuarne uno in lontananza per capire almeno indicativamente in che direzione muovermi. Un po’ per volta i pascoli cedono il posto alla pietraia: ormai non deve mancare molto al sentiero Roma, intorno ai 2500 m di quota.
Finalmente sul sentiero Roma.
Intercetto l’alta via e mi trovo davanti le indicazioni per il bivacco Kima, verso destra. Per il passo Cameraccio bisognerebbe prendere il sentiero Roma verso sinistra, ma so per certo che Lucia non ci sarebbe andata senza aspettarmi. La mia speranza è di trovarla al bivacco Kima e, a quel punto, mi viene l’idea di proseguire poi insieme verso la bocchetta Roma e il rifugio Ponti.
Il bivacco Kima in lontananza.
Al bivacco incontro diverse persone che stanno provando il giro del Kima, ma nessuna traccia di Lucia. Che fare? Rimanere qui è inutile, perché è evidente che ormai ci siamo mancate: al bivio deve avere preso l’altro sentiero, che non ho idea di dove porti (porta direttamente al bivacco Kima, come mi spiegherà poi Lucia). Se è scesa a cercarmi, con il ritmo che tiene in discesa difficilmente potrei raggiungerla. Senza contare che piuttosto che tornare da dove sono salita preferirei fare tutto il sentiero Roma fino alla Omio!
Segnavia puntualissimi sul sentiero Roma.
Lascio detto a tutti quelli che incontro di riferire a Lucia, nel caso la vedano, che sto bene e che ci rivedremo alla macchina. Non sono troppo preoccupata, Lucia in montagna si muove meglio degli stambecchi! Spero per lei che possa ancora unirsi a qualcuno per provare il passo Cameraccio, uno dei punti più tosti della gara. Da parte mia, so che il modo più veloce per tornare a Filorera è superare la bocchetta Roma, che ogni tanto si intravede tra le nuvole, e scendere al rifugio Ponti. Si tratta del rifugio più vicino e, avendo perso la socia, preferisco tornare il prima possibile nella civiltà e recuperare l’uso del telefono.
Verso la bocchetta Roma.
Nel 2020 aveva nevicato parecchio e, quando nel mese di luglio provai il giro del Kima, la neve arrivava praticamente all’altezza delle catene più basse: ricordo che appena scesa dalla bocchetta calzai i ramponcini e mi incamminai – con attenzione, ma senza grandi problemi – seguendo le tracce di chi ci aveva preceduto sul nevaio. Oggi scopro che la parte più brutta della bocchetta Roma è quella che allora era coperta dalla neve: un pendio ripido e scosceso con sassi di ogni dimensione che si muovono a ogni passo. Con delicatezza, cercando di non provocare frane, raggiungo le prime catene e da qui è tutto facile: questo tratto è molto più simpatico percorso in salita!
Ai piedi della bocchetta Roma.
Scollino e mi trovo nell’enorme pietraia dell’alta valle di Predarossa. La bocchetta si trova a poco meno di 2900 m e l’ambiente, anche qui, è severo. Bisogna fare attenzione a non perdere di vista i bolli, che rimangono sempre alti poco sotto le creste. Il telefono risorge (tipo per mezzo minuto) e mi arrivano dei messaggi, tra cui una chiamata persa di Lucia. Provo a richiamarla ma ora è lei ad avere il telefono spento. Niente, scendo alla Ponti e chiedo consiglio a Eleonora, l’esperta rifugista. Secondo lei la cosa più probabile è che Lucia sia scesa a cercarmi e sia rimasta in mezzo alla val di Mello, dove non c’è campo. Rassicurata, continuo la discesa, ora su facile sentiero, e mi trovo nella bucolica valle di Predarossa.
La valle di Predarossa.
Seguo il corso del torrente e raggiungo il parcheggio, da dove mi limito a seguire la lunga, noiosa ma rassicurante strada asfaltata in discesa. Nella parte alta ci sono dei tagli su sentiero, che evito perché ho le gambe distrutte e preferisco una corsa tranquilla senza colpi, mentre nella parte più bassa il sentiero è fuori uso da anni e bisogna per forza seguire la strada. Ogni pochi minuti provo a far partire una chiamata e finalmente il telefono di Lucia prende: sta scendendo da San Martino, per fortuna sana e salva! Percorro per inerzia gli ultimi chilometri di strada e finalmente la raggiungo, con le gambe a mollo nella pozza accanto a cui abbiamo parcheggiato.
Ritrovate!
La sua mattinata è andata così: al bivio ha preso il sentiero per la Ponti, senza vedere che ce n’era un altro; il suo sentiero portava direttamente al bivacco Kima, che quindi ha raggiunto molto prima di me; non vedendomi arrivare, è scesa a cercarmi; tornata senza successo in val di Mello, ha pensato di salire all’Allievi (si è presa pure un paio di coroncine Strava lungo la salita) per vedere se fossi finita lì; all’Allievi non c’ero e non ha incontrato nessuna delle persone a cui avevo affidato messaggi, per cui è scesa di nuovo e si è rimessa in marcia verso Filorera. Tutto è bene quello che finisce bene, ma sempre occhio alla nebbia e ai bivi in alta montagna!
Finalmente, dopo quasi due anni di assenza, sono tornata a fare un salutino alla mia amata Val Masino! Questa volta insieme a Lucia, che sul sentiero Roma si muove come un milanese in circonvallazione. Il terreno tecnico è tanto il suo punto forte quanto il mio punto debole, per cui raggiungiamo un compromesso: salita alla Gianetti e discesa dalla Omio ciascuna al proprio passo, mentre insieme faremo il Barbacan, la parte più tosta e divertente del giro – anche perché lassù, tanto per i tapascioni quanto per i top runner, è poco raccomandabile avventurarsi da soli.
Verso il passo Barbacan
Parcheggiamo alle sette di domenica mattina ai Bagni di Masino: troviamo solo un paio di altre macchine, mentre più tardi si prevede il pienone. Partiamo di corsa per un primo, breve tratto in piano, e in un attimo siamo al bivio Omio-Giannetti. Prendiamo il sentiero di destra per il rifugio Gianetti, dato a 3 ore e mezza di cammino, e da qui Lucia parte a tutto gas. Io con calma supero le roccette chiamate “Termopili” e procedo nel bosco su facile sentiero, con una salita per il momento abbastanza morbida.
Le “Termopili”
Uscendo dal bosco mi trovo ad attraversare ruscelli e torrentelli in piena. Fate attenzione ai lastroni di granito: da asciutti tengono benissimo, ma bagnati possono diventare molto scivolosi. La vista si apre sulla spettacolare corona di cime della val Masino, da dove l’acqua scende a cascate.
Dopo un tratto pianeggiante e un po’ fangoso lungo il torrente, la salita diventa più impegnativa e il sentiero si perde un po’ tra l’erba alta e il granito. Nonostante i bolli, sono riuscita a sbagliare strada in un paio di punti, inducendo all’errore anche un simpatico signore con cui ho fatto l’ultimo tratto fino alla Gianetti. Niente di grave comunque, sia io sia il signore siamo arrivati tutti interi al rifugio dove abbiamo trovato Lucia pazientemente in attesa da mezz’ora. Il rifugio è ancora chiuso (apertura prevista per il 13/06/2022).
Dal rifugio GianettiPietraia dietro alla Gianetti
Il cielo è piuttosto cupo, ma decidiamo di fidarci del radar di Meteo Swiss che non dà rovesci in mattinata. Salutiamo dunque il simpatico signore e imbocchiamo il sentiero Roma verso il passo Barbacan, seguendo le indicazioni per il rifugio Omio.
Prima della salita ci aspetta un tratto pianeggiante dove, arrancando, cerco di tenere il passo con Lucia che ovviamente è partita di corsa. I ricordi vanno indietro di un paio d’anni, quando con Samu e Meme provammo il giro del Kima: questo tratto verso il Barbacan, l’ultimo dei sette passi del Kima, era sembrato infinito. Certo farlo con le energie ancora fresche, dopo neanche un paio d’ore che si è in giro, è tutta un’altra cosa.
Troviamo solo qualche lingua di neve, facilmente superabile: una situazione davvero inusuale per inizio giugno. Viste le difficoltà del sentiero Roma, è sempre meglio accertarsi della praticabilità dei passi chiamando uno dei rifugi, almeno a inizio stagione.
Ultime roccette prima del passo
Aiutandoci con le catene, ci arrampichiamo per roccette e ben presto raggiungiamo il passo, a poco meno di 2600 m. Ah, non l’ho detto prima perché di solito il sentiero Roma è preceduto dalla sua fama, ma ovviamente si tratta di un percorso non adatto a runner o escursionisti poco esperti. L’ambiente è spettacolare, ma severo e selvaggio.
Al passo Barbacan
Dal passo al rifugio Omio per me è un’agonia. La discesa è infatti un concentrato di pendenze ripidissime, sassi sdrucciolevoli, erba bagnata, fango, acqua che scorre a fiumi su quello che dovrebbe essere il sentiero, buche nascoste dall’erba, bolli sbiaditi e poco visibili. Una trappola mortale, in poche parole. Ne ero consapevole, ma anche questa volta ci resto male. Lucia, invece, in quattro salti è già alla Omio.
Rifugio Omio
La Omio, a differenza della Gianetti, è già aperta e un buon numero di escursionisti sta salendo da quella che sarà la nostra via di discesa per Bagni di Masino. Lucia deve ottimizzare l’allenamento in vista del Kima 2022 e decide quindi di correre a manetta fino a San Martino, dove la recupererò in auto. Io a questo punto smetto di stressarmi e mi limito a corricchiare, cercando solo di mantenere l’equilibrio nel fango.
Man mano che perdo quota, la situazione fango migliora sensibilmente – non al punto da arrivare alla macchina con i piedi asciutti, ma almeno da restare in equilibrio. Rientrando nel bosco, il sentiero diventa più corribile, e ben presto mi ritrovo al bivio Gianetti-Omio incontrato alla partenza. Da qui al parcheggio è un attimo!
Con il primo caldo e una visita di Stefano in Valtellina si apre ufficialmente la stagione dei giri spaziali ad alta quota. Oggi tocca alla selvaggia val Terzana, sconosciuta ai più, che confina con le arcinote Val Masino e Valmalenco e offre paesaggi altrettanto spettacolari, di cui si può godere in completa solitudine. Tra i tanti vantaggi, questo posto meraviglioso ha anche quello di trovarsi sopra a casa mia! Attenzione: sentieri adatti solo a escursionisti esperti.
Vista spaziale sul monte Disgrazia
Al Pizzo Bello ero già stata con Lucia, mentre mi mancava il passo Scermendone, che collega la val Terzana con la val Caldenno e da cui passa una variante del Sentiero Italia. Sia io sia Ste siamo troppo fuori allenamento per spararci 2500 m di dislivello, ma abbiamo voglia di alta montagna, così decidiamo per una volta di fare i fighetti e di salire in macchina fino a Prato Maslino, uno degli alpeggi di Berbenno di Valtellina. La strada per Prato Maslino richiede una certa abilità alla guida e un po’ dimestichezza con tornanti e sterrato.
Traversata Prato Maslino – Prato Isio
Da Prato Maslino, seguendo le indicazioni per Prato Isio, partiamo corricchiando per la traversata, circa 3 km e mezzo di saliscendi perfetti come riscaldamento prima della salita vera e propria.
I primi chilometri sono corribili
Ho scoperto a mie spese che la traversata Maslino-Isio, facile e divertente nella stagione estiva, con la neve può diventare davvero pericolosa: assolutamente da evitare in inverno. Oggi invece ci godiamo questa corsetta e in meno di mezz’ora raggiungiamo Prato Isio, dove troviamo una prima fontana.
Fontana a Prato Isio
Scendiamo brevemente per prendere la strada carrozzabile verso Caldenno e troviamo le indicazioni del Sentiero Italia, che passa da Prato Maslino verso la val Caldenno nella sua variante bassa, dal passo di Scermendone verso il passo di Caldenno nella sua variante alta. Con il nostro anello passiamo prima dalla variante bassa e poi in senso opposto da quella alta.
Variante bassa del Sentiero Italia
Seguendo la strada in leggera salita, sempre corribile, raggiungiamo l’alpe Caldenno, dove troviamo un’altra fontana. Da qui, la pendenza del sentiero cambia radicalmente. Cominciamo a inerpicarci per la bella val Caldenno, seguendo il corso dell’omonimo torrente accompagnati dal fragore della cascata. Man mano che saliamo, si apre davanti a noi la vista dei Corni Bruciati.
La val Caldenno e i Corni Bruciati
Con un ultimo strappo piuttosto ripido raggiungiamo un pianoro dove possiamo, sia pur brevemente, tirare il fiato. Siamo ormai sui 2400 m e la quota comincia a farsi sentire! Troviamo le indicazioni per il passo Caldenno, verso destra, e quelle che interessano a noi per il passo Scermendone, verso sinistra.
La catena da superare dal passo Scermendone
Le montagne sembrano una muraglia invalicabile, ma il sentiero c’è e i bolli sono freschi ed evidenti. Li seguiamo fino alla fine del pianoro e lungo una nuova, ripida salita, mentre intorno a noi le marmotte fischiano allarmate: non sono abituate alla presenza degli umani! In effetti da quando siamo partiti non abbiamo incontrato anima viva, e nessuno incontreremo fino alla vetta del Pizzo Bello.
Sentiero verso il passo Scermendone
Il sentiero per il passo Scermendone non è difficile, almeno in assenza di neve. Certo si tratta di un ambiente severo di alta montagna, che richiede esperienza e dimestichezza con ghiaioni e pietraie. Ben presto arriviamo al passo, a poco meno di 2600 m di quota, e la vista si apre sulla val Terzana in tutto il suo splendore.
La val Terzana dal passo Scermendone
Seguiamo ora le indicazioni verso sinistra per il Pizzo Bello. La cima si vede e sembra vicinissima: pensiamo di raggiungerla in fretta, tornare indietro e scendere al laghetto Scermendone prima di risalire alla cima di Vignone, per un giro totale di una ventina di chilometri. In realtà siamo più lenti del previsto: in quest’ultimo tratto tra il passo e il Pizzo Bello, in assoluto il più selvaggio di tutto il percorso, troviamo ancora della neve ghiacciata e, non avendo con noi i ramponcini, ci tocca ravanare nella pietraia per evitarla.
Questo versante è ancora innevato
Una lingua di neve particolarmente ampia mi fa decidere di scendere di qualche decina di metri per attraversare in sicurezza, per cui il dislivello totale della mia traccia potrebbe risultare maggiore del normale.
Lingua di neve da attraversare
Riguadagnato il sentiero dopo la ravanata, ci è passata la voglia di tornare indietro per questa via e decidiamo di accontentarci di un giro più breve, scendendo direttamente all’alpe Vignone. Prima, però, saliamo in vetta al Pizzo Bello per goderci il panorama che spazia dal gruppo del Bernina al Disgrazia e al Badile. Qui incontriamo una persona (e un cane) per la prima volta da quando siamo partiti.
In vetta al Pizzo Bello
Dopo una meritata merenda con vista, torniamo brevemente sui nostri passi scendendo dalla cresta del Pizzo Bello, poi, lasciandoci alle spalle le roccette della val Terzana, cominciamo la discesa per i verdi prati che ci separano dall’alpe Vignone.
Discesa verso l’alpe Vignone
I bolli nel prato si vedono e non si vedono. Prestate attenzione e, se li perdete di vista, tornate indietro: anche tra questi verdi pascoli le pendenze non scherzano ed è meglio seguire sempre il sentiero. Poco prima di arrivare all’alpeggio, dove naturalmente ci sono delle fontane, incontriamo un gruppo di tre escursionisti. Con così poca gente in giro, è un piacere fermarsi a salutare e fare due chiacchiere!
L’alpe Vignone
Superata l’alpe Vignone, proseguiamo in discesa verso Prato Maslino. Il sentiero, finora piuttosto scosceso, diventa sempre più morbido e corribile, soprattutto quando si rientra nel bosco. Ancora pochi chilometri e arriviamo a Prato Maslino.
A Prato Maslino
Attraversiamo l’alpeggio prima seguendo la strada carrozzabile, poi tagliando un po’ a caso per i prati, e ben presto raggiungiamo la macchina.
Una cima modesta ma degna del suo nome, con vista spaziale sulla valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il monte Disgrazia.
Narra la leggenda che, un tempo, la valle di Preda Rossa fosse ricoperta da una vegetazione lussureggiante. E quello che oggi è il monte Disgrazia veniva chiamato “Pizzo Bello” per i pascoli verdi e i boschi rigogliosi che ricoprivano i suoi pendii. Tanto splendente e affascinante era questa montagna, che i pastori dagli alpeggi passavano il tempo a rimirarla e a vantarne la bellezza.
Finché un giorno Dio si presentò nella valle sotto le spoglie di un mendicante. Anziché offrirgli cibo e riparo, i pastori lo derisero e maltrattarono. Dio decise di punirli per la loro arroganza togliendo loro quello di cui andavano più orgogliosi: un devastante incendio distrusse la valle, lasciando solo una distesa di rocce rosse – da cui il nome “Preda Rossa” – su cui si ergono le aride cime dei Corni Bruciati. Quello che era il Pizzo Bello, ormai una desolata montagna priva di vegetazione, prese il nome di Disgrazia (dal lombardo des-giassa, “disghiaccia”).
I pastori, pentiti della propria superbia, trovarono rifugio sui più umili pendii della val Terzana: ai piedi del monte Scermendone costruirono la chiesetta di San Quirico e chiamarono “Pizzo Bello” una cima così modesta che fino allora non aveva mai nemmeno avuto un nome. Ben pochi, tuttora, conoscono questa montagna, che si scala con tanta fatica e poca gloria. Ma il suo nome se lo merita tutto!
Per me e Lucia, il Pizzo Bello è la montagna di casa. Era da un po’ che volevamo andarci insieme e abbiamo deciso di approfittare del meteo spaziale di un weekend di metà ottobre, con temperature polari e quel cielo terso che solo l’autunno sa regalare. Il tempo a disposizione è poco, ma abbiamo gambe forti e un’invidiabile capacità di sopportazione del freddo e della fatica!
Il ritrovo è alle 5 e mezza sulla mulattiera che unisce i nostri paesi, Monastero e Berbenno. Parto da casa poco dopo le 5, sotto una stellata pazzesca che mi fa subito dimenticare il disagio del gelo e della levataccia. La luce della frontale riflette innumerevoli occhietti che spuntano tra gli alberi per scrutarmi incuriositi: di notte, quando gli umani non disturbano, il bosco brulica di vita.
Dal buio spuntano finalmente gli occhi di Nami, la super cagnolina ultrarunner, seguiti dalla frontale di Lucia. Ha dormito appena tre ore, ma come sempre mi fa mangiare la polvere! Saliamo fino a Prato Maslino per ripidi sentieri, chiacchierando e godendoci i fruscii del bosco, la fatica nelle gambe, il nostro respiro nell’aria sempre più fredda. Di solito le amiche si incontrano al bar, non per sentieri bui e deserti: ma quanto è bello essere le uniche umane in un mondo di sola natura, forti e indipendenti, capaci di arrivare dove ci pare senza chiedere niente a nessuno?
Superato Prato Maslino, imbocchiamo il sentiero per il Pizzo Bello e ci rendiamo conto che, fuori dalla fitta vegetazione in cui eravamo immerse, è già abbastanza chiaro da spegnere la frontale. L’erba ghiacciata scricchiola sotto i nostri passi e i versanti nord delle montagne intorno a noi sono coperti da uno strato di neve: la temperatura deve essere ben sotto zero e i guanti non bastano più a tenerci calde le mani.
Che spettacolo, però, ammirare dall’alto la Valtellina addormentata, immersa nell’ombra e nella foschia, mentre le cime delle montagne cominciano una dopo l’altra a risplendere, illuminate dal primo sole.
Il sole batte anche sul nostro Pizzo Bello ed è con un certo sollievo che attacchiamo la cresta finale, cominciando finalmente a riscaldarci dopo tutta la salita in ombra. Bisogna prestare attenzione alle ultime roccette, ma in un attimo siamo alla croce. Che meraviglia vedere da qui la valle di Preda Rossa, i Corni Bruciati e il Disgrazia! Anche se spoglie e prive di vegetazione, queste montagne rimangono di una bellezza struggente.
Sono da poco passate le 8 e nelle gambe abbiamo rispettivamente 2150 m (da Monastero) e 2400 m (da Berbenno) di dislivello. Ma chi la sente la fatica, in un posto così bello?
Dopo le foto di rito, ci apprestiamo a scendere. Lucia è una discesista formidabile e deve essere a casa presto, mentre io ho più tempo a disposizione e decido di rimanere ancora un po’ a godermi il panorama nel silenzio più assoluto. Fino a mezz’ora fa fermarsi avrebbe comportato una rapida morte per assideramento, ma il sole fa miracoli e adesso si sta proprio bene. Guardo Lucia e Nami che scendono a tutta velocità per i ripidi prati dell’alpe Baric, due puntini che rapidamente spariscono alla vista.
Mi godo ancora per qualche minuto la pace e la bellezza di quest’alba a 2700 m di quota, poi anche io comincio a scendere verso casa. Il mondo si sta risvegliando e sul sentiero incontro i primi escursionisti: hanno parcheggiato a Prato Maslino e si stanno incamminando verso la cima di Vignone. Sorrido tra me, pensando a quanto diversa e intensa è stata invece la nostra uscita per le stesse montagne. Che fortuna avere gambe forti che ci portano lontano!
In una meravigliosa giornata di autunno inoltrato ho riproposto agli amici un giro provato circa un mese prima, allungandolo in modo da toccare ben tre passi sopra i 2500 m lungo il Sentiero Roma. Punto di partenza, sempre la stupenda Val di Mello; salita sempre dalla Val Torrone, dove questa questa volta la giornata limpidissima ci ha permesso di orientarci senza problemi e di andare a prendere il Sentiero Roma nel punto più basso; superato il Passo Torrone e raggiunto il rifugio Allievi, anziché scendere dalla Val di Zocca come l’altra volta abbiamo proseguito lungo il Sentiero Roma, superando altri due passi e scendendo dalla Valle del Ferro, che con i colori dell’autunno è davvero uno spettacolo impagabile. Giro consigliato solo a chi si senta a proprio agio su roccette, canalini attrezzati, traversi esposti.
Si lascia la macchina a San Martino. Entrando in paese, seguiamo le indicazioni per il parcheggio gratuito verso destra. Percorriamo in auto la stretta strada asfaltata che dopo avere superato le ultime case attraversa il torrente e termina in un ampio spiazzo adibito a parcheggio. Se arriviamo al mattino presto, probabilmente troveremo gruppetti di climber che preparano l’attrezzatura per affrontare le numerose, famose quanto impegnative vie di arrampicata sulle meravigliose pareti della Val di Mello.
Torniamo indietro lungo la strada da cui siamo arrivati, e subito prima del ponte prendiamo il sentiero a destra, che risale la Val di Mello mantenendosi a destra del torrente. Il sentiero è ben tracciato e bollato. Attraversiamo boschi fiabeschi, pozze d’acqua cristallina, pascoli e alpeggi, sempre tenendoci sulla sponda destra del torrente: i primi 5 km sono quasi pianeggianti, perfetti per correre e scaldare le gambe.
Seguiamo le indicazioni per Rasica, dove arriviamo dopo circa 5 km dalla partenza. Qui dobbiamo attraversare il torrente e seguire il sentiero che passa adesso tra le baite. Incontriamo una fontana che purtroppo a ottobre era chiusa, non so se per il freddo o perché non pioveva da tempo. Dato che queste valli sono comunque ricche d’acqua, immagino che le fontane vengano chiuse in autunno per evitarne il congelamento.
Continuiamo a seguire i bolli bianco/rossi che, superato l’alpeggio, ci conducono attraverso un bosco molto bello. Il sentiero diventa via via più ripido e ben presto, verso il km 6, arriviamo a un bivio. Seguiamo il sentiero che si inerpica verso sinistra, con l’indicazione “Val Torrone” scritta in rosso sulla roccia. Adesso ci aspetta un bel vertical, circa 1300 m di salita in 5 km.
Il sentiero è sempre bollato, ma poco battuto, e la traccia diventa via via meno visibile quando si esce dal bosco. Guadagnando quota, la fatica è compensata dalla vista che si apre sullo spettacolare anfiteatro roccioso della Val Torrone.
Adesso dobbiamo fare attenzione a seguire i bolli e gli ometti di pietra, perché la traccia si perde continuamente tra erba alta, roccette e ruscelli. Arriviamo a incrociare il Sentiero Roma a circa 2300 m di quota, nel punto in cui un cartello di legno indica la Val Torrone appunto nella direzione da cui siamo arrivati.
Prendiamo il Sentiero Roma verso sinistra, in discesa. Dobbiamo perdere un po’ di quota per poi ricominciare a salire. Questo perché il tratto originale del sentiero, che passa più in alto, è stato chiuso anni fa in seguito a un incidente. Seguiamo dunque i bolli, ora evidenti (il Sentiero Roma, a differenza della traccia seguita finora, è segnato molto bene con bolli bianco/rossi e croci rosse), e affrontiamo il primo dei tre passi di questo giro, il Passo Torrone a 1518 m.
Il canalino che porta al passo è molto ripido e attrezzato con catene. Arrivati al passo, lo spettacolo che si apre sulle montagne circostanti è impagabile. Circa duecento metri più in basso vediamo il Rifugio Allievi, unica traccia umana in un ambiente davvero selvaggio.
Il sentiero, prima con qualche saliscendi, poi in discesa fino al rifugio, alterna tratti su placche e rocce, in cui bisogna prestare attenzione a dove si mettono i piedi, a tratti più semplici e corribili. Al rifugio troviamo una fontana, chiusa a ottobre come quella di Rasica. Nel tratto tra il passo e il rifugio si incontrano comunque diversi rigagnoli d’acqua, e a questa altezza non ci sono animali se non qualche marmotta e stambecco, per cui riempire la borraccia dovrebbe essere relativamente sicuro.
Dopo l’Allievi si prosegue seguendo le indicazioni per il Rifugio Gianetti, sempre seguendo il Sentiero Roma indicato dai soliti bolli bianco/rossi. Salite e discese si alternano in un ambiente severo, selvaggio e pressoché deserto, almeno in questa stagione. Superiamo pietraie e roccette attrezzate mentre ci avviciniamo al secondo dei tre passi, il Passo dell’Averta (2540 m). Per superarlo ci aiutiamo in discesa con delle catene, con qualche passaggio non difficile, ma esposto.
Ci troviamo adesso in Val Qualido, anche qui circondati da un paesaggio splendido. Guardando in avanti, verso lo sviluppo del Sentiero Roma, è difficile capire dove sia il prossimo passo tra quelle montagne acuminate, apparentemente inaccessibili. Invece il passo c’è, e ci arriviamo ben presto dopo avere superato, anche con l’aiuto di catene, qualche altro tratto impervio e piuttosto esposto.
Il passo Qualido, con i suoi 2647 m, è il punto più alto del nostro giro. Da qui in poi è tutta discesa, piuttosto tecnica per la verità. Si perde rapidamente quota scendendo da un canale particolarmente franoso, dopodiché la pendenza diminuisce mentre attraversiamo la parte alta della Valle del Ferro tra rocce, roccette e enormi placche di granito. Il sentiero qui non esiste, bisogna seguire i bolli dipinti sulle rocce. Ambiente spettacolare, l’ho già detto?
Raggiungiamo il bivacco Molteni-Valsecchi (2510 m), dove abbandoniamo il Sentiero Roma per cominciare la discesa per la Valle del Ferro. La prima parte è terribile: una traccia non bollata, che si vede sì e no, e che scende ripida e scoscesa in un pratone di erba scivolosa. Entrando nel bosco la situazione migliora gradualmente, e nell’ultima parte della discesa si riesce a correre abbastanza bene.
Sbuchiamo sulla strada sterrata che da San Martino porta a Rasica. Svoltiamo a sinistra e poi subito a destra, dove un ponte ci permette di attraversare il torrente e ci riporta sul sentiero dell’andata, che ovviamente imbocchiamo verso destra. Ancora un chilometro e mezzo circa, e siamo alla macchina.
Questo giro è semplicemente spettacolare, oltre che eterogeneo – si passa da una facile corsetta tra i bucolici laghi della Val di Mello a una salita tostissima nella selvaggia e solitaria Val Torrone, alla bellezza senza eguali, ma non priva di difficoltà tecnica, del Sentiero Roma, alla tranquilla e affollata discesa per la Val di Zocca. Bisogna scegliere accuratamente la giornata, per evitare di trovarsi al Passo Torrone con meteo avverso, e valutare la propria preparazione fisica e tecnica, perché la salita è impegnativa e il Passo Torrone si supera con una ferratina per un canale piuttosto ripido. In questa occasione la Kompass interattiva mi è stata di grande utilità, soprattutto in Val Torrone dove la traccia si perde continuamente.
Si lascia la macchina a San Martino. Entrando in paese, seguiamo le indicazioni per il parcheggio gratuito verso destra. Percorriamo in auto la stretta strada asfaltata che dopo avere superato le ultime case attraversa il torrente e termina in un ampio spiazzo adibito a parcheggio. Se arriviamo al mattino presto, probabilmente troveremo gruppetti di climber che preparano l’attrezzatura per affrontare le numerose, famose quanto impegnative vie di arrampicata sulle meravigliose pareti della Val di Mello.
Torniamo indietro lungo la strada da cui siamo arrivati, e subito prima del ponte prendiamo il sentiero a destra, che risale la Val di Mello mantenendosi a destra del torrente. Il sentiero è ben tracciato e bollato, per cui se finiamo in mezzo alle erbacce è probabile che abbiamo seguito una traccia di animali che ci ha portato fuori percorso. Attraversiamo boschi fiabeschi, pozze d’acqua cristallina in cui le impressionanti pareti di granito si rispecchiano così bene che una pausa per le foto è subito d’obbligo, verdeggianti pascoli e alpeggi, sempre tenendoci sulla sponda destra del torrente: i primi 5 km sono quasi pianeggianti, perfetti per correre e scaldare le gambe.
Seguiamo le indicazioni per Rasica, dove arriviamo dopo circa 5 km dalla partenza. Qui dobbiamo attraversare il torrente e seguire il sentiero che passa adesso tra le baite. Incontriamo una fontana dove possiamo fare rifornimento d’acqua: lungo la Val Torrone non mancano i ruscelletti, ma le pecore al pascolo rendono l’acqua poco sicura, meglio partire da Rasica con le borracce piene!
Continuiamo a seguire i bolli bianco/rossi che, superato l’alpeggio, ci conducono attraverso un bosco molto bello. Il sentiero diventa via via più ripido e ben presto, verso il km 6, arriviamo a un bivio. Seguiamo il sentiero che si inerpica verso sinistra, con l’indicazione “Val Torrone” scritta in rosso sulla roccia. Adesso ci aspetta un bel vertical, circa 1300 m di salita in 5 km.
Il sentiero è sempre bollato, ma poco battuto. Io l’ho trovato pieno di erbacce e ortiche, complici la pioggia e il caldo dei giorni precedenti. Molto probabilmente l’unica compagnia che troveremo in questa valle così selvaggia sarà quella delle pecore: lo stato del sentiero è il prezzo da pagare per questa impagabile solitudine. Man mano che guadagniamo quota, la fatica è compensata dalla vista che si apre sullo spettacolare anfiteatro roccioso della Val Torrone.
Adesso dobbiamo fare attenzione a seguire i bolli e gli ometti di pietra, perché la traccia si perde continuamente tra erba alta, roccette e ruscelli. Se siamo bravi, non troviamo nebbia e riusciamo a non uscire dal tracciato, il sentiero ci porterà verso il lato sinistro della valle fino a incrociare il sentiero Roma nel punto in cui un cartello di legno indica la Val Torrone appunto nella direzione da cui siamo arrivati. Se sbuchiamo a questo punto, possiamo decidere di saltare il bivacco Manzi, che si trova verso destra, e imboccare il Sentiero Roma verso sinistra, in direzione Rifugio Allievi. In questo caso il dislivello totale del giro sarà circa 1600-1700 m.
Io invece, seguendo prima i bolli, poi solo gli ometti, e infine, perso ogni riferimento, cercando di rimanere il più vicino possibile alla traccia della Kompass interattiva, sono uscita dalla Val Torrone molto più in alto, all’altezza appunto del bivacco Manzi (2538 m). Da qui il Sentiero Roma, che rispetto alla traccia seguita finora è segnato decisamente meglio, continua in salita verso il Passo Cameraccio, in un ambiente severo e davvero spettacolare. Noi dobbiamo invece imboccarlo nella direzione opposta, svoltando tutto a sinistra e proseguendo in discesa.
Il sentiero ci fa perdere qualche centinaio di metri di quota per aggirare un tratto pericoloso, chiuso per motivi di sicurezza in seguito a incidenti. La deviazione è chiaramente segnalata sia all’inizio sia alla fine del tratto chiuso, con frecce che indicano l’Allievi da una parte, e il Passo Cameraccio dall’altra. Risaliamo ora faticosamente lungo il canale che conduce al Passo Torrone (2518 m). Questo tratto richiede la massima concentrazione, perché è ripido e sdrucciolevole, per quanto la salita sia agevolata dalla presenza di catene. Si tratta comunque dell’unico tratto “tecnico” di questo giro.
Dopo il passo, il Sentiero Roma prosegue con qualche saliscendi tra roccette, dove dobbiamo continuare a prestare attenzione ai bolli per non perdere la via, alternate a tratti più corribili di sentiero. Le montagne tutto intorno svettano ripide e imponenti, l’ambiente è unico. L\’ultimo tratto di discesa verso il Rifugio Allievi (2385 m) diventa più semplice e corribile – ma bisogna sempre prestare attenzione e non perdere di vista il sentiero bollato, cosa che tra prato e placche rocciose avviene di frequente. Al rifugio, nella stagione estiva, una fontana consente un nuovo rifornimento d’acqua.
Da questo punto è probabile che si ricominci a incontrare gente. Ma dopo la lunga cavalcata solitaria tra pecore e marmotte fa anche piacere rivedere qualche espressione del genere umano!
Dall’Allievi il Sentiero Roma prosegue verso il rifugio Gianetti, indicato a 6h15’ per gli escursionisti. Noi invece lo abbandoniamo per scendere lungo la Val di Zocca, seguendo l’evidente sentiero a tornanti che, rispetto alle tracce della Val Torrone, sembra un\’autostrada. Non ci sono possibilità di sbagliare: proseguiamo in discesa per i prati del Pianone, poi per il bosco, prima a sinistra e poi a destra del corso del Torrente Zocca, fino a quando il sentiero ci deposita sulla strada sterrata che da Rasega scende verso Cascina Piana.
Imbocchiamo verso destra la strada, ora praticamente pianeggiante e probabilmente molto affollata: la percorriamo per un paio di chilometri fino a quando, superata la Trattoria Gatto Rosso, prendiamo il ponticello a sinistra che attraversa il torrente e ci riporta sul sentiero dell’andata, che ovviamente dobbiamo imboccare verso destra. Nel bosco troveremo un bivio, in cui dobbiamo tenere la sinistra e rimanere alti. In ogni caso siamo quasi arrivati: dal ponte al parcheggio c’è circa un chilometro e mezzo di sentiero.