Giro dei 5 rifugi in Val Formazza (22 km – 1300 m D+)
Riale – Alpe Bettelmatt (2112 m) – Rifugio Città di Busto (2482 m) – Rifugio 3A (2960 m) – Rifugio Claudio e Bruno (2708 m) – Rifugio Móres (2504 m) – Riale
Periodo: Agosto 2020
Partenza: Riale (1.760 m)
Distanza: 22 km
Dislivello: 1300 m
Acqua: fontane e ruscelli non mancano lungo tutto il percorso.
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In fondo al Piemonte, al confine con la Svizzera, lontano dalle rotte più battute dagli escursionisti del weekend, si nasconde la Val Formazza, dove maestose vette innevate si specchiano in laghi azzurro cielo e una rete bene organizzata di sentieri e rifugi permette di immergersi senza troppa fatica in un ambiente davvero selvaggio di alta montagna.
Il giro dei 5 rifugi si può cominciare da Riale, oppure più avanti, dalla diga del lago di Morasco: entrambi i parcheggi sono a pagamento. Chi volesse parcheggiare gratis e aggiungere qualche chilometro al giro può lasciare l’auto più in basso, a località Frua, nell’ampio spiazzo davanti al ristorante Cascata del Toce.
Si parte da 1700 m e l’intero giro si svolge ad alta quota: in estate inoltrata e condizioni meteo perfette, il percorso si può definire relativamente semplice – con la sola eccezione del tratto sul nevaio, indicato come EE. Con meteo incerto o neve abbondante, le difficoltà naturalmente aumenterebbero in modo esponenziale.
Con Ugo e Vincenzo siamo partiti da Riale e, rispetto al giro ufficiale, ci siamo concessi un paio di varianti fuoripista, di cui deve tenere conto chi voglia utilizzare la traccia gpx qui allegata. Il giro è comunque indicato benissimo e si può ripetere tranquillamente anche senza la traccia.
Dal parcheggio di Riale si prosegue lungo la strada asfaltata, pianeggiante per circa un chilometro e mezzo, fino alla base della diga di Morasco; da qui si tiene la destra e si può seguire la strada, ora in salita, o il sentiero che ne taglia i tornanti, fino ad arrivare all’altezza del lago, che va poi costeggiato per un chilometro abbondante. Alla fine del lago troveremo un bivio: a sinistra è indicato il lago dei Sabbioni, da cui arriveremo al ritorno, mentre adesso dobbiamo tenere la destra e proseguire in direzione Alpe Bettelmatt e Passo del Gries.
Uno strappetto ci porta a guadagnare velocemente circa duecento metri di dislivello, poi il sentiero spiana. Arriviamo nella bucolica piana del Bettelmatt, attraversata dal torrente Gries, dove pascolano felici le mucche produttrici del noto formaggio. Ben presto si vedrà sulla sinistra l’Alpe Bettelmatt: è qui che dobbiamo dirigerci, abbandonando il sentiero che prosegue in piano verso Passo del Gries e imboccando quello in salita verso il Rifugio Città di Busto (2482 m).
Come prima, a una ripida salita segue un bel tratto in piano dove possiamo riprendere fiato: superato il rifugio, infatti, si prosegue per circa un chilometro per la piana dei Camosci, fino a incontrare le indicazioni per il Ghiacciaio del Siedel – che purtroppo del ghiacciaio non ha più molto – e per il Rifugio 3A. Questo tratto, come si è detto, è solo per escursionisti esperti.
Dobbiamo risalire il nevaio, le cui condizioni ovviamente vanno valutate di volta in volta con attenzione. Noi abbiamo trovato poca neve non ghiacciata e, se non avessimo seguito le tracce del gatto invece che i bolli del sentiero, non ci sarebbero neanche serviti i ramponcini. Il fuoripista però, come spesso accade, si è rivelato divertente e panoramico.
In un modo o nell’altro siamo riusciti a riguadagnare il sentiero e a raggiungere il Rifugio 3A, posto a quasi tremila metri di altezza con una vista fantastica sul lago dei Sabbioni, su quanto rimane dell’omonimo ghiacciaio e sulle vette innevate che segnano il confine tra Italia e Svizzera.
Una discesa molto semplice e corribile ci porta al rifugio successivo, il Claudio e Bruno (2708 m). Poco prima di arrivarvi si incontra sulla destra un sentiero senza indicazioni che sale per la pietraia: è il sentiero per il Blinnenhorn, che con i suoi 3374 m rappresenta la più alta vetta della Val Formazza e, ci è stato detto al 3A, si raggiunge piuttosto facilmente in questo periodo dell’anno (preso nota per il prossimo giro!).
Dal Rifugio Claudio e Bruno si prosegue sempre in discesa verso la diga, che finalmente raggiungiamo e attraversiamo. Una breve salita ci porterà all’ultimo dei cinque rifugi, il Cesare Mores (2504 m). Da qui, anziché scendere dal sentiero più battuto a fondovalle, siamo rimasti alti seguendo una traccia che di sicuro un tempo doveva essere stata un sentiero, ma che adesso si vede e non si vede. Anche questo fuoripista si è rivelato interessante, perché ci ha portato a scoprire un tunnel misterioso che si inoltra nel cuore della montagna. Ricerche su internet non hanno portato a niente: se qualcuno ne conosce la funzione ce lo faccia sapere, siamo curiosi!
Dopo un’esplorazione superficiali della galleria (non ci siamo spinti troppo in fondo), siamo scesi in qualche modo fino a recuperare il sentiero principale e lo abbiamo seguito fino al lago di Morasco.
Da qui si percorre semplicemente a ritroso il percorso dell’andata fino al parcheggio.
Val Grande wild trail (21 km – 1800 m D+)
7 Ottobre 2023 by marta • Altro Tags: area wilderness, lago maggiore, monte zeda, parco nazionale della val grande, pizzo marona, sentiero bove, utlm, val grande, VCO • 0 Comments
Nell’area wilderness più estesa d’Italia, tra alpeggi immersi in un’atmosfera di altri tempi, sentieri semi abbandonati e cime incredibilmente panoramiche.
Periodo: Settembre 2023
Partenza: Scareno (VCO)
Distanza: 21 km
Dislivello: 1800 m
Acqua: fontane agli alpeggi e al bivacco Pian Vadà
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Ogni tanto torno a fare un saluto ai miei posti del cuore – tra i quali rientrano a pieno titolo la Marona e la Zeda, tra le cime più alte della Val Grande. La cresta con le due vette costituisce la parte relativamente facile e “addomesticata” del sentiero Bove, una delle alte vie più selvagge e impegnative delle Alpi, che non ho ancora avuto il coraggio di percorrere per intero.
Un giro simile, un po’ più lungo, risale a qualche anno fa: lo trovate a questo link. Oggi come allora, per arrivare a percorrere quel breve, magico tratto di sentiero Bove ho affrontato un disagio dietro l’altro ma, per passare qualche minuto a godermi il silenzio della Val Grande dalle due croci della Marona e della Zeda, ne è valsa assolutamente la pena.
Per il ritorno in Val Grande scelgo una domenica di inizio ottobre, casualmente all’indomani dell’UTLM. Il clima è incredibilmente umido e soffocante e, sul lago Maggiore, aleggia una cappa di foschia che toglie ogni visibilità. Deve essere destino che io non veda mai il lago dall’alto di queste montagne!
Lascio l’auto nel minuscolo borgo di Scareno, dove non c’è un vero parcheggio ma, arrivando di buon mattino, si può trovare un buco lungo la strada. Dall’interno del borgo comincia il sentiero: le indicazioni da seguire sono quelle per il ponte del Dragone e per l’alpe Piaggia.
I primi chilometri sono quasi pianeggianti. Si costeggia il torrente, che poco prima del ponte del Dragone forma una bella cascata; dal ponte in avanti si comincia a guadagnare quota e si raggiunge l’alpe Piaggia. Qui il sentiero si divide: verso destra è indicato il passo Folungo, da cui arriverò al ritorno; a sinistra gli alpeggi Occhio e Onunchio. Il colle della Forcola, da dove prenderò il sentiero Bove, non è indicato, ma dovrebbe trovarsi dopo l’alpe Onunchio.
Mi sorprende trovare qui le balise dell’UTLM: il sentiero (orribile) che mi accingo a percorrere da Piaggia al colle della Forcola sarebbe la variante della gara in caso di maltempo – quella che toccò a me, con la fortuna che mi contraddistingue, quando partecipai due anni or sono. Forse gli organizzatori hanno tracciato entrambi i percorsi, nonostante il tempo stabilissimo dell’ultima settimana? Quale che sia la ragione, sono ben contenta delle balise che mi aiutano a orientarmi.
Ho già detto che questo sentiero è tremendo? A tratti stretto e sconnesso, evidentemente poco battuto, in un bosco soffocante pieno di rigagnoli e pozzanghere fangose, dove è difficile non dico tenere i piedi asciutti, ma a volte anche rimanere in piedi. Lo ribadisco perché non me ne vogliate, poi, nel caso decidiate di rifare questo giro. Mente fissa sull’obiettivo, esco finalmente dal bosco e raggiungo il colle della Forcola (1518 m).
Il sentiero Bove, da qui al monte Zeda, è relativamente facile (per essere un EE) e ben segnato. I bolli sono evidenti anche con la nebbia, che da queste parti scende di frequente e senza troppo preavviso, e tutti i punti potenzialmente scivolosi o esposti sono stati messi in sicurezza con catene. Non si può dire lo stesso per il resto dell’alta via, che va affrontata dopo attenta valutazione, con qualcosa in più di uno zainetto da cinque litri, due flask mezze vuote e un Garmin scarico.
La cima del pizzo Marona (2051) e la sua cappella sconsacrata, che funge anche da bivacco, si trovano al disopra della cappa di umidità che ricopre il lago: da qui, la vista sulla val Grande con il Monte Rosa alle spalle è semplicemente spaziale. Mi fermo qualche minuto alla piccola croce di vetta, godendomi la solitudine e il silenzio, e mi incammino poi verso la Zeda.
Dalla croce di vetta del monte Zeda butto un occhio verso la val Grande, dove si inoltra il sentiero Bove; ripromettendomi, prima o poi, di percorrerlo tutto, mi accingo a tornare alla civiltà, prendendo il più comodo sentiero che scende verso il passo Folungo passando per il bivacco Pian Vadà.
Il bivacco, dove si trova anche un’utilissima fontanella, è immerso nella nebbia. Da qui al passo Folungo si può seguire la strada sterrata in discesa o il sentiero che ne taglia i tornanti – io prendo il sentiero e ben presto arrivo in vista del passo.
Si trova, qui, un crocevia di sentieri e stradine. I pochi escursionisti che incontro sono arrivati quassù in auto, che mi pare più faticoso che salire a piedi. Studio i cartelli, visto che la batteria del mio Garmin è morta in cima alla Zeda, e vedo che l’alpe Piaggia è indicata tutto a destra, lungo una strada sterrata chiusa da una sbarra.
Sperando che il divieto di accesso sia rivolto alle auto e non vedendo sentieri alternativi, supero la sbarra e mi avvio lungo la strada in discesa. Ben presto mi rassicuro: sono ricomparse le balise dell’UTLM e riconosco la salita che, a suo tempo, mi ero sparata sotto il sole verso il cinquantesimo chilometro di gara. Ripercorrendola in senso contrario, so che arriverò al facile sentiero per Piaggia.
Le balise mi accompagnano fino alle prime, antiche baite di Piaggia. Da qui, non mi resta che tornare sui miei passi fino a Scareno.